Tempesta sulle Sette Montagne

Tempesta sulle Sette Montagne Trenta secoli di favola e di storia Tempesta sulle Sette Montagne (Dal nostro Inviato speciale) KONIGSWINTER, dicembre. Il tempo imperversa e tira un vento funesto sui faggi intirizziti senza fronde, con poche spoglie citrine, sopra la corrente del gran fiume canuto che va verso il mare e segue il suo fato. Venuti il mese addietro per la caccia alla volpe (le Sette Montagne sono il Parco Nazionale della Rcnanìa) cacciatori e gente di qualità han dovuto riparare anche loro, quando han voluto darsi buon tempo, nella illustre Cantina del Drago, e meditare sul corno di Sigfrido: i più avventurati si sono spinti nella wagneriana vullc dell'usignolo, per pochi passi. Le volpicine tenere han di certo sentito l'odore dei cani, ma il loro dio le protegge: proteggono le altre fiere le raffiche e % rovesci di pioggia, tutti gli dei della selva. I fulmini di Wotan Una sosta si è avuta ieri, ed è stata uìw, festa. Scrosci di fucilate ripetevano a distanza il rombo dei tuoni, era come se da un momento all'altro i crateri spenti dì queste montagne stessero per scrollarsi, svegliarsi, rivomitar fuoco: certo era Wotan, dalle dieci mani, che dall'altura di Godesberg, già suo sacrario, scagliava a vuoto tutti quei fulmini. Uno spettacolo grandioso, e che aveva del magico: delle fughe galoppanti di nuvole correvano da cima a cima, e soltanto le cime emergevano, fuori dell'umidità vaporante dalle gole delle montagne: apparivano, scomparivano, fra gli squarci di nebbia, erano delle ombre gigantesche, spettrali. Tratto tratto i picchi più alti si profilavano riuscendo a fissarsi nelle immagini note, si decomponevano nella foschia, fumigavano come battuti dal fulmine. Pareva di as statere alla faticosa gestazione del mondo, a un travaglio di elementi che si sciolgono dal caos, che si separano e prendono forma. Nulla, in realtà, di più soprannatu rale di questa natura diabolica, dominata dalla presenza del Beno. Tra piano e monte è lui che lavora, che sommerge le campagne nella nebbia quasi che dappertutto ci avesse disteso il suo letto, che le rende amene versando su esse la bontà dei suoi doni, che riverbera gli altipiani strisciando il suo corso d'acqua fra la loro duplice fila, che modera, altera le stagioni. Nel tempo dei tempi i monti della Selva Nera come i Vosgi formavano un solo e unico complesso geologico, e la scienza tedesca ci assicura che fu lui a spezzare la chiave di volta, a spartire in due e a rovinare pei- sempre, per l'eternità, ciò che la mano di Dio aveva fatto, e che doveva chiamarsi con un nome tedesco. L'arenaria rossa con cui s'è costruito il duomo di Strasburgo e con cui sono costruite le cattedrali romaniche alla destra del Reno è chiamata pietra dei Vosgi, dai Francesi, pietra della Selva Nera dai Tedeschi: è la stessa, la si trova nei Vosgi e nella Selva Nera egualmente, è stata messa U per dare scandalo e perchè facesse da campo d'accusa. Allorché disseccatesi quelle masse enormi di alluvioni che sono le montagne, si formarono sui versanti grandi colate di neve, questo fiume violento si spinse innanzi fino all'oceano mutando faccia alla terra, sovvertendola da quello che era, e imponendosi agli uomini che l'abitavano come una loro immanente, non evitabile fatalità. Vorrebbero i Tedeschi, ohe sanno bene come andarono le cose, far risalire a lui già dalla preistoria l'origine del loro impeto guer- , Padrc Reno poco ha di Paterno, co- ime almeno noi lWcndwa,mo nutic e\divora i suoi figli, U nutre, £esw«- nerò verso le frontiere dell'ovest, di là da esse, in una terra che pari a quella eh'è alla sua destra vuol essere per lungo tratto ancora patria tedesca. Egli corre per la Via Mala, difatti, balzando giù dai ghiacciai nelle valli alpestri, odorose a primavera di timi, di menta, di genzianelle. Figure di sogno e di carne con dei sortilegi che conosce egli solo. Miti e favole si sparsero sulle sue rive, vi crebbero e spiccarono il volo divenendo il sogno di tutto un popolo, l'anima della sua anima. Esseri immaginari in comunione diretta con le belle fanciulle e coi bei cavalieri sopraffecero questa umanità facile al fantasticare e che li adorò come le sue divinità tutelari. Sono vivi nella nostra memoria: gnomi che abitano il sottosuolo, ondine dalle chiome verdi, fluttuose, spiriti delle rocce e delle caverne, cacciatori neri che attraversano le siepi cavalcando su dei cervi immani, la vergine del pantano nero, le sei vergini del pantano rosso, lo stornello che propone gli enigmi, il corvo gracchiante delle spaventose canzoni, la gazza che racconta la storia di sua nonna, gli omiciattoli grotteschi di Zeitelmoos, Everardo il Barbuto che dà consigli ai principi smarritisi nella foresta, Sigfrido che scanna i draghi dentro gli antri, la coorte dei Nibelungi, degli abitatori di questa terra nebbiosa, che essi tingono di sangue. Il diavolo quassù pone una pietra a Teufelste-bi, e ci mise anche ima scala, su uno di questi crateri spenti, a Teufelsleiter, per predicare in pubblico e tirar dalla sua i più semplici, che gli credevano: dall'altra parte del fiume Dio eresse un altro pulpito, il Pulpito dell'Angelo. Le Sette Montagne si riempivano di idre, e dall'imbocco del Rheingan il vento della Wisper soffiava portandovi dei nuvoli di streghe, piccole come le cavallette. Il Drachenfels ebbe la sua tarasca, la vergine serpente strisciò nei suoi sotterranei profondi, le sette sorelle che ridevano sempre furono punite e mutate in rocce, il demonio Urano passò il fiume con sulle spalle una grossa duna rubata al mare, e spossato dalla fatica la lasciò cadere stupidamente, ingannato da un vecchia, qui, dov'è il Loosberg. In quell'epoca immersa per noi in una penombra in cui dei magici bagliori scintillano qua e là, non c'è altro nei boschi, sulle rupi, in quelle valli, se non apparizioni, visioni, incontri prodigiosi, cacce infernali, e suoni d'arpe nei cedui, canti e melodie di cantatrici invisibili, orridi scoppi di risa di viandanti misteriosi. Ci sono pure degli eroi umani, ma altrettanto fantastici dì codesti esseri sovrannaturali: Cimo di Sayn, Sibo di Lorch, il pagano Griso, Attich duca d'Alsazia, Thassìlo duca dì Baviera, Antiso duca dei Franchi, Samo re dei Vendi: e tutti errano sgomenti per queste selve di alto fusto che danno le vertigini, e cercano e piangono le loro belle, lunghe ed esili principesse bianche incoronate di nomi incantevoli: Gela, Garlinda, Liba, Scionetta. Codesti avventurieri mezzo sprofondati nell'impossibile e appena e a. grande stento trattenuti per il tallone alla vita reale, vanno e ven gono un po' dappertutto in queste leggende, perduti verso sera nelle foreste inestricabili, schiantando i rovi e le spine, come il Cavaliere della Morte, di Diirer: li segue un levriere sfiancato, li guarda fra due rami una larva non vista, mentre essi si appressano nell'ombra a un vecchio carbonaio seduto accanto al fuoco, e che non è altro che Satana, ammucchiante dentro un calderone le anime dei trapassati, o se no a qualche ninfa randagia affatto nuda che offre delle cassette ripiene, colme, d'infinite cose preziose. A volte sono dei naneroltoli che si avvicinano a loro, e li fermano, restituiscono la sorella, la sposa o la fidanzata, ch'essi trovarono dormente hi ci- ma a un monte o nel più fitto della bo n su un letto (U muscMo in /o„. do a u% ^ padifjlin)W, tappezzato di comUii di crisUaii, di piccole concin¬ glie. Eroi chimerici fra cui sorgono tuttavia, finalmente, figure d'ossa e di carne, Carlomagno, Orlando, Ottone, il Barbarossa. Strada di preti e di soldati Al tempo dei romani e dei barbari questo fiume era la via dei soldati, nel medio evo era tutto orlato di Stati ecclesiastici, posseduto da abati, da principi vescovi, da arcivescovi elettori, e fu non senza verità chiamato la via dei preti: non è da dire che neppure oggi sia soltanto un panorama internazionale. Carico di storia non meno che di leggende, gli è impossibile di sostare nel ritmo del suo divenire, vivo nelle passioni che suscita, e di cui te- stimoniano i ruderi delle torri smozzicate, di fortilizi e castella. Il vecchio Reno dalla barba limacciosa che i Romani han salutato Rhenus superbus ha rovesciato sulla Germania gli eserciti d'Italia, di Spagna, di Francia, lia rovesciato sull'antico mondo romano ancora aderente le antiche orde barbariche, scatenò guerre tra la gente stessa che attirava lusingando sulle sue rive, tra i sig?iori feudali. C'è qui a Rheus il trono di pietra del feudalesimo, dove il sacro romano e germanico imperatore veniva eletto e s'incoronava, ma c'è un po' dovunque il vestigio di quell'epoca, ch'è quella antica e classica della Germania. Codesti formidabili baroni del Reno, prodotti robusti di una natura aspra e selvatica, annidati nei basalti, protetti nei loro buchi merlati e serviti in ginocchio dai loro ufficiali, come l'imperatore, uomini di preda che somigliavano a un tempo così al gufo che all'aquila, potenti solamente intorno ad essi, poco distante, ma lì intorno onnipotenti, padroneggiavano il burrone e la valle, levavan soldati, battevano le strade e imponevano pedaggi, taglieggiavano i mercanti, sia che venissero da San Gallo o da Dusseldorf, sbarravano il fiume con delle catene e mandavano dei cartelli alle città limitrofe, se s'arrischiavano queste di far loro affronto. E' in questo modo che il burgravio di Ockenfels provocò il grosso comune di Linz, e il cavaliere di Hausner la città imperiale dì Kaufbeurn. Talvolta le città non sentendosi abbastanza forti, avevano paura e-si rivolgevano all'imperatore -per averne soccorso: il burgravio scoppiava in una feroce risata, e alla festa del Santo patrono si recava in maniera Insolente nella città, pel torneo, montato su un asino, ben guernito, d'un suo mulino. Durante le spaventose guerre della ca-si! di Nassau e di quella dì IsenburgAparecchi di codesti cavalieri che aveva-no le proprie fortezze nel Taunus, spin- sero l'audacia fino ad andare a sac-cheggìare un sobborgo di Magonza, sor-to gli occhi dei due pretendenti che sidisjnttavano la città. Era il loro modo di essere neutri: il burgravio non era nè per Isenburg ite per Nassau, era per il burgravio. Solo sotto Massimiliano, allorché il grande capitano del sacro impero, il Friindsberg, ebbe distrutto l'ultimo dei castelli, s'estinse quella teiribile specie di gentiluomini, che incomincia nel decimo secolo coi burgravi eroi e finisce nel decimoscsto, coi burgravi briganti. Egli ha visto il volto, ha riflesso l'ombra, sulla sua corrente, di quasi tutti gli uomini che da trenta secoli in qua lavorarono la terra con quel vomere che si chiama la spada. Cesare ha traversato il Reno risalendolo da mezzogiorno, Carlomagno e Bonaparte han fatto di questo immenso fossato una barriera e una muraglia. Da Attila a ! Gustavo Adolfo scesi dal settentrione, e da Druso che ha la pietra tombale a \ Magonza, fino a Luigi XIV e agli eser' citi rivoluzionari di Francia, sono ì destini d'Europa ch'egli ha rimescolatocon quelli della sua gente. Chi ami ì simboli, qualcosa a Kònigswinter troverà che lo farà meditare: l'immensa arcata coperta d'edera, del Rolandseck, fronteggiantc la Caverna del Drago. Favola e storia si guardano. Ciò che tocca, trasforma. Dal San Gottardo alle pianure di Frisia scava rocce, terre, lave, sabbie, si fa nei canneti un letto tortuoso di duemila leghe, •porta in giro per il vasto formicaio europeo il fragore perpetuo delle sue 011\de, cintura d'imperi, freno dei conqui\statori, serpente enorme del caduceo \dcl dio Commercio, disteso sopra l'Eli' rapa. Ercole Reggio