Riserve francesi all'azione jugoslava

Riserve francesi all'azione jugoslava PER LA PACE CONTRO LE PROVOCAZIONI Riserve francesi all'azione jugoslava „ ,. Parigi, 28 notte. Ii*r™?*"1 francese| le manifestazioni in favore della composizione pacifica della vertenza jugoslavo-magiara. Il Figaro scrive che la Francia non deve perdere la bussola nelle complicazioni e contraddizioni di cui offre spettacolo tutta la sua politica estera, nè lasciarsi impressionare dalle Dressioni che si tenta di farle subire. «Meno che mai — scrive Wladimiro D Ormcsson — sarà il caso di prendere alla lettera le minacele jugoslave di « passare nel campo della Germania » giacché la Germania è amica dell'Ungheria e Belgrado non avrebbe nulla da guadagnare all'operazione ». A giudizio di Pierre Dominique, il Governo francese ha il dovere di conservare i nervi a posto e di far comprendere alla Jugoslavia che vi sono limiti che l'interesse della pace non permette di oltrepassare per nessuna ragione e in nessun caso. I rimproveri mossi da Belgrado a Budapest pel diritto di asilo concesso ai fuorusciti croati, rimprovero copiosamente sviluppato nell'odierno memoriale jugoslavo, non impressionano il collaboratore diplomatico della République, il quale ricorda che di attentati terroristici se ne sono prodotti sempre indipendentemente dalla volontà dei governi e dei popoli che ebbero a soffrirne le conseguenze. La prima volta che Alfonso XH1 venne a Parigi gli fu gettata contro una bomba, eppure la Francia e la Spagna erano nei migliori rapporti. Quando Alessandro H visitò^Napoleone III un polacco gli sparò addosso e un francese amico della Polonia 10 insultò per via. Non per questo Russia e Francia si fecero la guerra. Orsini che attentò ai giorni dello stesso Napoleone UT, veniva da Londra, allora luogo di ritrovo di tutti i rivoluzionari d'Europa. Eppure la Francia si guardò bene dal rendere 11 Governo britannico responsabile dell'accaduto. Caserio, che era italiano, ammazzò il Presidente Carnot. Ma l'Italia non venne messa in causa per questo. H terrorismo, insomma, per la sua essenza e per necessità, è talmente internazionale che sarebbe assurdo, allo stato attuale della legislazione, voler farne un argomento di conflitto fra gli Stati. « Io voglio bene alla Jugoslavia — continua il Dominique — ma se fossi stato jugoslavo ecco quello che mi sarei detto: nel 1914 un certo Prinkip, serbo di Bosnia che sognava di una grande Serbia, è venuto in Serbia per procurarsi delle bombe. Il colonnello Apis, del secondo ufficio serbo, glie le ha fornite per mezzo di un intermediario perchè era prudente. Questo colonnello Apis, del resto, doveva finire fucilato nel 1917 a Salonicco per avere preparato un attentato contro il Principe Reggente. Era uno specialista. Ad ogni modo, egli aspettava senza dubbio nel 1914, dalla bomba di Prinkip, un semplice effetto di terrore. Egli sferrò invece la grande guerra. Di questo fatto il Governo serbo è perfettamente innocente, bisogna dirlo e gridarlo, ma i Governi non sono sempre padroni dei loro agenti, sopratutto del loro « secondo ufficio ». Oggi che accade ? E' l'Ungheria che è in gioco e dietro di essa è la Germania. Ma io parlo di gioco politico. Del resto, quando si uccide Duca, Dollfuss e Alessandro è sempre in funzione della stessa idea: « terrorizzare ». Chi si uccide? I padroni dell'ora? Via dunque. Degli irresponsabili. E che i capi possano trarre partito da questi omicidi e che essi siano pronti a farlo, siamo d'accordo. Ma di là a pensare che li abbiano comandati c'è una bella distanza. Io dico questo pensando all'Ungheria, all'assassinio di Re Alessandro, ma potrei dirlo anche a proposito degli eventi che hanno preceduto la grande guerra. Nel 1914 Apis avendo scoperto Prinkip e Prinkip essendosi mostrato coraggioso, l'irreparabile non era compiuto. Il mestiere di Bertchold era di assicurare la pace. Ma Bertchold non ha fatto il suo mestiere e l'Austria-Ungheria (spinta dalla Germania e dal cardinale Merry del Val) entrò nel ballo. Ecco il delitto, il vero delitto, il delitto politico e sociale. Ebbene, quello che l'Austria-Ungheria ha fatto nel 1914 non solo non bisogna che la Jugoslavia lo faccia nel 1934, ma non bisogna neppure che essa abbia l'aria di avviarsi su quel cammino ». Sauerwein su Paris Soir giunge alle stesse conclusioni ma riponendo la propria fiducia nell'amichevole collaborazione franco-italiana più che non nella spontanea moderazione jugoslava. Secondo questo giornalista la Francia non avrebbe nessun motivo per non associarsi al gesto con cui l'Italia ha dichiarato di appoggiare la domanda ungherese di discussione immediata del memoriale jugoslavo. A non lasciar trascinare le cose c'è tutto da guadagnare. « Forse che a Roma e Parigi — scrive il Sauerwein — non si possiede abbastanza volontà e sangue freddo per condurre questo processo verso la sua conclusione normale necessaria pur impedendole di scuotere la pace dell'Europa? Forse che non si vede che è solo ai terzi che questa disputa può profittare? Sarebbe lamentevole che l'attentato di Marsiglia impedisse il Ravvicinamento franco-italiano. Questo Ravvicinamento il Governo francese non lo concepisce senza la riconciliazione con la Jugoslavia ed è pure l'interesse dell'Italia. Una intesa che non conglobasse i nostri amici di Belgrado riuscirebbe a dividere l'Europa fra una coalizione occidentale e una coalizione orientale che l'appoggio della Germania potrebbe rendere temibile. Nessuno lo vuole nè a Roma nè a Parigi. Qualche giorno fa a Ginevra quando si discuteva il testo della querela jugoslava Lavai ha detto ai jugoslavi: «Io do al vostro paese una parte di importanza capitale perchè il nostro riawicinamento con l'Italia non si effettuerà che con la vostra collaborazione. Si può dunque dire senza esagerazione che voi assumete cosi una parte di arbitri. Ma questa parte ha la sua responsabilità e in cambio della nostra fiducia posso chiedervi della saggezza e della moderazione ». Queste parole non potranno certamente essere dimenticate nè dal Governo nè dalla stampa di Belgrado ». Mentre la polemica segue il suo corso non senza una certa svogliatezza significativa, i giornali segnalano ancora una volta il prossimo arrivo a Parigi di von Ribbentrop con la missione di ottenere il collaudò di Lavai agli armamenti tedeschi in cambio del ritorno del Reich a Ginevra e nella Conferenza del disarmo. In questi ambienti tende ad affermarsi il timore che il passo fatto a Berlino dall'Ambasciatore d'Inghilterra sir Eric Phipps tanto pro so von Neurath quanto presso Hitler risponda al proposito britannico di raffreddare l'inclinazione a un riav- vicinamento franco-tedesco che generalmente si attribuisce al Ministro degli Esteri francese. C. P.