I problemi internazionali angustiano l'Inghilterra

I problemi internazionali angustiano l'Inghilterra I problemi internazionali angustiano l'Inghilterra Un colloquio Grandi-Simon Londra, 19 notte. La settimana a Londra si apre con una ripresa eccezionalmente intensa di attività politica, tanto nel campo interno quanto in quello internazionale. Il Parlamento inaugurerà domani la nuova sessione dei suoi lavori col discorso di Re Giorgio e col consueto imponente cerimoniale consacrato da una tradizione secolare. Poi si verrà ai ferri corti, poiché la Camera incomincerà questa volta sul serio ad affrontare il tremendo problema della riforma costituzionale dell'India, che minaccia di produrre una falla entro il partito conservatore a tutto vantaggio di quelli di opposizione. Il Governo dovrà tener fronte alle ostilità di Churchill, di Lord Lloyd e dei loro compagni e al contempo dovrà occuparsi e anche seriamente preoccuparsi dei gravi problemi internazionali. Marsiglia, la Sarre, la flottali calderone diplomatico da molto tempo non è stato così in bollore come negli ultimi tempi. Vi è la mossa jugoslava a Ginevra che desta a Londra serie apprensioni in quanto minaccia di turbare la tranquillità europea, così penosamente ristabilita dopo l'assassinio di Marsiglia. Vi è il problema della Sarre, dal quale l'Inghilterra sarebbe tanto felice di tenersi estranea, se la sua appartenenza al consesso delle Nazioni non le imponesse impegni tassativi. Aveva in un primo tempo tentato di considerare il problema della Sarre anzitutto come una questione franco-tedesca e solo in secondo luogo come una questione internazionale. Oggi per necessità di cose si accorge che è internazionale e niente altro che internazionale. Vi è poi l'insanabile contrasto di vedute sul terreno navale fra Inghilterra, Giappone e America, contrasto ap: profonditosi oggi in modo quasi drammatico dal « no » preciso opposto da Tokio agli ultimi concilianti suggerimenti di MacDonald, di Simon e dell'Ammiragliato britannico. L'Inghilterra quindi deve al contempo sorvegliare la situazione interna che, grazie all'India, può da un istante all'altro determinare svolgimenti inattesi; deve tener d'occhio l'America, che non cela ormai più il suo malumore e le sue diffidenze, non riuscendo a bene interpretare la politica conciliativa di MacDonald col Giappone e non può, lo voglia o no, ignorare le faccende del continente europeo. Stamane il nostro Ambasciatore Grandi ha avuto modo di passare dettagliatamente in rassegna al Foreign Office con Sir John Simon in un colloquio inconsuetamente lungo, i problemi internazionali dell'ora, non uno eccettuato. Il fatto che a Roma è radunata la Commissione della Sarre, il fatto che l'Italia è interessata come le altre grandi Potenze alla soluzione di questo problema, conferisce una speciale importanza all'incontro odierno fra i due statisti. Non va d'altra parte ignorato il fatto che l'atteggiamento di assoluta intransigenza adottato dal Giappone e la volontà ormai ferma di esso di denunziare il Patto di Washington, pone sul tappeto problemi che non possono essere in alcun modo ignorati dalle grandi Potenze navali del Continente, e ciò tanto più in quanto in alcuni ambienti americani si stanno già ponendo le mani innanzi per salvaguardare ad ogni costo posizioni acquisite, anche per il caso in cui gli accordi navali esistenti dovessero andare a catafascio. Corre voce a questo proposito che la delegazione americana vorrebbe che i rapporti di forze attuali fra le tre Potenze rappresentate ai colloqui di Londra e ffa queste e le altre non fossero in alcun caso modificati, mentre i delegati giapponesi stanno sforzandosi di seminare zizzanie fra Londra e Washington, dichiarando a MacDo nald e Simon che sono pronti ad ac cettare qualsiasi statuto di inferiO' rità di fronte all'Inghilterra, ma non intendono in alcun caso essere posti a un livello più basso dell'America. Il gioco nipponico Si asserisce stasera che nel colloquio avuto oggi dall'ambasciatore Matsudaira con Simon, il rappresentante del Giappone abbia appunto sostenuta questa tesi, giustificandola col fatto che Tokio è convinto che l'Inghilterra non potrà in alcun ca, so concentrare la totalità della sua flotta nel Pacifico. Di guisa che per il Giappone non esiste affatto il pericolo di una egemonia navale dell'Inghilterra. Diversa per contro sarebbe la situazione del Giappone di fronte all'America e con questa Tokio esige di trovarsi in posizione di rigorosa parità. Non si sa quali accoglienze otterranno a Washington queste idee nipponiche, ma non è difficile prevederlo. Si direbbe anzi che Tokio le formuli per esasperare i contrasti e accelerare l'inevitabile crollo del Patto di Washington. Al tempo stesso, come dicevamo, fra l'Inghilterra e l'America incominciano a sorgere divergenze più sottili e per questo più pericolose. Giovedì scorso i delegati americani, al termine della loro conversazione con MacDonald e con Simon ebbero la chiara sensazione che l'Inghilterra avesse ventilata l'idea di un accordo navale anglo-americano da concludersi nel caso in cui le conversazioni in corso si risolvessero in un fallimento. La notizia si diffuse in Inghilterra e vi ottenne accoglienze forse troppo calorose. A Londra si corse ai ripari dicendo che giovedì si era parlato della forma che un accordo navale avrebbe potuto assumere nel caso in cui crollasse il sistema di limitazione definito dal trattato di Washington. Di una intesa navale anglo-americana neanche una pa- diccdttgdtrcddcstuscrpvpFmvccdrccmsepislslsgCdttEnmrcdscrisMprsslrtccpaBcdsdpgmftmnrola. R. P.

Persone citate: Churchill, John Simon, Lord Lloyd, Macdonald, Re Giorgio, Simon Londra