L'arte di correre

L'arte di correre Problemi di ciclismo L'arte di correre I nostri corridori su strada hanno finito, per quest'anno, di correre al1 estero, almeno in prove degne di rilievo, e le loro ultime esibizioni in patria non possono ormai più cambiare il quadro dell'attività nazionale, ne offrirci materia nuova di giudizio sugli uomini e sulle cose dello sport ciclistico nazionale. Abbiamo, cioè, già in mano tutti gli elementi per dare uno sguardo riassuntivo ai vari aspetti della trascorsa stagione, sportivi, tecnici, organizzativi. Sguardo che potrebbe sembrare un'affrettata anticipazione, ma che non è, dal momento che esso vorrebbe essere, mi si permetta l'immodestia, un piccolo ma sincero e sereno contributo di lunga esperienza a quell'esame dei problemi ciclistici che gli operosi e volonterosi dirigenti stanno in questo periodo compiendo e che sboccherà nei provvedimenti per l'annata ventura, già preannunciati per novembre. Che cosa ha dimostrato l'annasa per quanto riguarda il materialeuomo? Un atleta è emerso dalla cintola in su fra i duecento e più avversari che attualmente militano nelle file professionistiche: Learco Guerra. Vincitore di quattro prove di campionato e di dieci tappe nel Giro d Italia e secondo a Lipsia, a Guerra nessuno può negare un'assoluta superiorità nazionale, sia in corse in linea, sia a tappe. Non è qui il caso di illustrare la classe di questo corridore; mi basterà dire che, pur non raggiungendo essa il limite, forse inarrivato, di quella di Girardengo e Binda, si può considerare come eccezionale. Non c'è, quindi, da stupirsi so. fra lui e gli altri ci sia un distacco netto, perchè i « fuori classe » non spuntano come i funghi. Ma questa considerazione non mi pare che basti per renderci soddisfatti della levatura in generale dei nostri corridori. Su di essa ha espresso recentemente un giudizio non del tutto ottimistico anche Emilio Colombo. Ma, rovistando tra le vecchie carte, ho ritrovato giorni fa un mio articolo pubblicato su Sport. Fascista cinque anni fa, in risposta alla domanda che mi era stata fatta: « Il ciclismo è in decadenza?». Allora dominava Binda, Girardengo era sullo scorcio della sua carriera, Guerra cominciava a farsi largo. Oggi queste posizioni sono rispettivamente occupate da Guerra, Binda, Olmo, e, se volete, Martano. Tutt'attorno, più o meno auree mediocrità, uomini della giornata, promesse più deluse che mantenute. Ebbene, allora scrivevo: «Il ciclismo italiano vive da anni del lustro di uomini eccezionali che danno l'illusione di una potenza e una floridezza d'assieme che non esiste ». La stessa cosa scriverei ogjri, forse dicendo « uomo », anziché « uomini ». Di questa temporanea scarsezza di elementi eccezionali non si può far colpa a nessuno. La classe è un dono di natura e, anche se il livello generale della robustezza di un popolo si eleva, come nel clima fascista, i prodotti di eccezione possono mancare. Ma appunto per questo è nostro maggior dovere allevare, di; rigere, usare quelli più modesti di cui disponiamo con criteri che traggano da essi il massimo rendimento atletico e sportivo. Neppure la Franeia ha oggi un Lapize o un Henri Pelissier," eppure è uscita da quello stato di inferiorità in cui si dibat: teva fino a pochi anni or sono e oggi dispone di un discreto nucleo di buoni corridori, di vecchia e nuova guardia, che hanno uno stile, un temperamento, una personalità. A voler essere sereni osservatori delle cose e degli uomini di casa nostra e di oltr'Alpi, non si può fare a meno di rilevare una profonda differenza fra corse e corridori francesi e italiani; più combattute, più incerte le une, più brillanti e più padroni del mestiere gli altri. Non so se perchè provenienti da altri strati sociali, o più amanti o meglio in grado di accrescere anche il loro patrimonio di cultura e di educazione, sta di fatto (ed è meglio il riconoscimento (e il rimedio che la negazione, per orgoglio, e la continuità, per indifferenza, del difetto) che i nostri corridori sono in generale più greggi e meno svegli; iniziano la carriera per istinto e così la continuano, autodidatti del loro mestiere, sdegnando ogni insegnamento o consiglio (e non so, d'altra parte, dove potrebbero trovarlo), incuranti di rimediare alle proprie manchevolezze fisiche, inconsapevoli dell'importanza che ha lo stile e la tattica in corsa, vittime del divismo che ancora impera. Per fare un esempio, un corridore della forza di Martano sarebbe cresciuto in Francia un bel pedalatore e un buon tattico (cioè il contrario di duello che è) e non sarebbe giunto quest'anno fino a Luchon per trovare la giusta posizione in macchina. La sua inferiorità nei confronti di Magne è stata tutta di stile, di condotta di corsa, di intelligenza nella preparazione. E di fronte a questo atleta esuberante, anzi, sciupone di grandi mezzi fisici, sta il molto men provvisto, ma ben allevato Olmo, che la guida di Olivcri ha fatto un modello di pedalatore. Insomma, grande « asso » si nasce, buon corridore si può diventare; ma finora nè l'ente centrale, nè le Case, nè le Società hanno fatto niente per istradare un giovane a questo mestiere e per insegnarglielo. Non abbiamo istruttori, allenatori ciclistici, e nemmeno veri direttori sportivi, che sappiamo come i pochi che portano questo nome non possono comandare agli « assi », 1 quali voglion formata la squadra e la fanno manovrare come a loro resta comodo. Occorre assolutamente aver cura del nostro materiale-uomo, specie in periodo, come è indubbiamente quello che attraversiamo, in cui esso non è di qualità sopraffina. La buona posizione e azione in macchina, possono aumentare del venti per cento il rendimento del ciclista; la preparazione è arbitra del¬ la messa a punto del motore umano, il senso tattico dà una personalità al corridore, una fisonomia alla corsa. Fin che tutti questi elementi saranno trascurati avremo dei brutti pedalatori (e non lo saranno solo quelli che nascono col senso dello stile), degli istintivi e degli empirici che solo per caso trovano la loro forma migliore, dei corridori senza temperamento e senza idee. Ma non basterà mettere i giovani in condizione di far rendere al massimo i loro mezzi fisici; questo è un problema tecnico che non va disgiunto da altri di ordinamento e di organizzazione di uomini e cose che danno vita allo sport ciclistico. Se esamineremo le ragioni per le quali non siamo riusciti in cinque anni a vincere il Giro di Francia e da due non possiamo riconquistare un titolo mondiale su strada (mentre nei sei anni precedenti ne avevamo ottenuti otto), perdendo, così, ogni diritto a proclamarci la prima Nazione ciclistica del mondo; se daremo uno sguardo all'aspetto delle nostre corse, confrontandole con quelle che si svolgono all'estero; se ci domanderemo che cosa significa l'affiliazione delle Case se il presidente della Federazione ha con loro contatti solo in occasione di amichevoli ritrovi, mentre poi esse discutono dei loro interessi in riunioni gelosamente segrete; se vedremo perchè un dirigente di velodromo deve pagare un corridore fino il cinquanta per cento di più di quello che egli chiede; allora sarà facile convincersi che molte cose sono da riformare e riordinare affinchè 1' attività ciclistica si svolga più intonata alla situazione interna ed estera e dia migliori frutti non solo alle Case che le danno il maggior alimento, ma anche ai corridori che la praticano e, soprattutto, allo sport nazionale di cui deve essere, come è già stata, lustro e vanto. Su questi temi mi intratterrò in seguito. Giuseppe Ambrosìni

Luoghi citati: Francia, Italia, Martano