Tre quintali d'oro cavati da un vecchio sogno

Tre quintali d'oro cavati da un vecchio sogno Gialli baglio**! sull'Altipiano eritreo Tre quintali d'oro cavati da un vecchio sogno ( DAL NOSTRO INVIATO ) MASSAUA, settembre. La nota più saliente della vita attuale dell'Eritrea è l'oro. Domando se è poco. Oro, oro vero, oro in polvere, in {scaglie, a pezzi, a chili, a quintali. Non oro ire sogni e in discorsi. Io stesso, con - i e » i queste mani, ne soppesai qua e là, nei vari « campi » dell'Hamasien, per almeno dieci chili complessivi. La giornata non l'avrei potuta scegliere meglio. Era un ultimo di mese, il giorno, cioè, in cui i cercatori ammucchiano tutto quello che han raccolto in un mese, e se ne vanno all'Asmara per depositare, come è d'obbligo, alla Banca d'Italia il frutto delle loro fatiche. (Da una parte l'oro, da quell'altra, a pronta cassa, tanti bei bigliettoni da mille. Dodici e mezzo per ogni chilogrammo). Dunque, dicevo, in Eritrea, nella famosa Eritrea, l'oro, il famosissimo oro, c'è pei- davvero. Erano almeno quarant'anni che si diceva di sì e di no. Ovvero, che si diceva di sì, ma che si stava lì a discutere se valesse la pena di tirarlo fuori dalle pietre e dagli scisti dove Domineddio l'aveva sminuzzato e nascosto. Ora, il vecchio problema è stato risolto, una volta per tutte, in senso affermativo. Sì, vale la pena. Vale molto la pena. Dal momento che l'oro c'è, e che tutti i paesi del mondo van gridando « oro! oro! oro! », sarebbe assurdo che l'Italia non venisse a prenderselo qui, che è casa sua. Della risorta attività aurifera nella nostra Colonia del Mar Rosso — dovuta al concorso di circostanze favorevoli, cui accenneremo in seguito — si parla, ormai, da parecchio tempo; e già i cercatori, e i concessionari, hanno avuto chi s'è occupato del loro dramma romantico, delle loro ansie, delle loro pene, delle loro odissee tra selve e burroni .d'inferno — tutte cose che i cercatori, in fondo in fondo, anche se qui, tra loro, ne ridono un poco, leggono sempre con un sacco d'ambizioso piacere —; e, poche settimane fa, si è visto anche un comunicato, di sapore ufficioso, nel quale si davano ragguagli molto confortanti e molto pratici, — grammi e chili, lire e centesimi —, sui proventi dell'ultima annata. Ma, ora — almeno per me, e per chi ha fiducia in me — c'è di più. Io, l'oro, l'ho visto e l'ho toccato. Ho visto, toccato (e riposato subito) l'oro fatto appena prigioniero dell'amalgama di mercurio, e l'oro già libero e lustro, già inebriante, già perverso, da mettere in vetrina. Poi, ho voluto vedere di più. Ho voluto vedere, e ho visto, l'oro che la terra non s'è ancora lasciata portar via. L'oro che, nel quarzo, a venti, trenta, quaranta metri sotto la bàttima del sole, borboglia tra le pagine lacerate dov'è scritta la storia delle più remote età geologiche; e che, ora, fa lume ai pipistrelli, pènduti dal soffitto delle lunghe gallerie cieche dove i negri che le hanno aperte, spariscono a giornate, come talpe. Io, checché aveste potuto credere, me ne infischio di pipistrelli. E sono secso a trovare l'oro in casa sua. Cominciarono i Faraoni Un po' di storia, se la gradite. Eravamo al tempo della seconda di nastia faraonica, e già branchi innumerevoli di schiavi egizii erano a sforacchiare queste montagne per cercarvi il prezioso barlume. Di tali bimillenarie esplorazioni, probabilmente assai fruttuose, si vuole facciano larga, esaurientissima testimonianza alcuni oggetti di metallo e di terra cotta (vasi, anfore, tartarughe, e che altro?) rinvenuti nel corso dei lavori di scavo di certe gallerie sul territorio immediat amento prossimo all'Asmara. In più punti, e non solo per la presenza di codesti oggetti, i minatori si trovarono a dovei constatare che la loro opera si andava svolgendo su lince già battute. Dovettero accorgersi, cioè, che non stavano aprendo una galleria nuova, ma, bensì, svuotandone una vecchia. Dopo duemila anni e più, l'oro rimetteva l'uomo alle calcagna dell'uomo. Difficile è farsi un'idea dei frutti che questa campagna aurifera condotta o forse aspramente combattuta sull'estremità nord dell'acrocoro d'Etiopia potè dare ai Faraoni; e difficile è, parimente, immaginare quale potè essere la causa del successivo abbandono dell'impresa. Ma, per fortuna, è anche ve- ro che la cosa non è poi d'un interesse mortale. Quel che si sa — e per la storia a volo che s'ha da fare basta e n'avanza — è che, dopo quelle dei Faraoni, le prime orme umane che si ritrovano intorno ai giacimenti auriferi dell'attuale Colonia Eritrea, sono orme portoghesi; 1 pri?>ii serii esploratori del felicissimo Regno di Prete Gianni. In seguito, rudimentalissime traccie abissine. Poi, inglesi. Ma qui, come vedremo, s'era già al tempo nostro. Fece mai, la storia, anche una storia frettolosa e confidenziale come questa, salti più pazzi? Ma cosi è, e non c'è rimedio. Nemmeno negli archivi del Governo della Colonia è possibile trovarne una migliore. I Re abissini, che regnarono, fino al nostro arrivo, su questo territorio, erano quegli storici che tutti conosciamo. Ricerche fatte in Addis Abeba hanno dato risultati nulli. Perciò per poter cominciare a fare un po' di cronistoria meno vaga è necessario arrivare al giorno in cui, dai palmo di terra d'Assab, dove c'entrava a malapena la nostra bandiera, l'Italia, all'eroico prezzo che si sa, venne ad arrampicarsi fino all'Asmara; e a restarvi più per volere dei morti che dei vivi. E' da allora, da quasi subito, che l'oro d'Eritrea comincia a ritornare tema di grandi speranze, dì studi appassionati, di vivaci polemiche, di piccole infamie. Ma le testimonianze sono, per la maggior parte, di natura verbale. ■ Un sonetto: un'epoca Il dott. Tazzer, capo dell'Ufficio Minerario d'Asmara ha fatto tutto il possibile, ora che l'oro eritreo è diventato una cosa seria, per veder di rimettere insieme qualche documentazione scritta, stampata. Ma, cerca cerca, non è riuscito ad altro che a recuperare alcune monografie, d'un valore documentario assai scarso: e un gioiello di sonetto, che merita di essere riprodotto integralmente. Parla il «Don Chisciotte» del li> maggio 1891. La democrazia del temilo, — impagabile collaboratrice degli abissini sul campo di Adua —, si dilettava molto, come si sa, di poesia. Di poesie come queste: IL FILONE D'ORO Che n'e successo del filone d'oro clic si dice trovato su all'Asinara? E ciuci che vanno domandando, in coro, (incili clic han letto la notizia rara. Che ri'è avvenuto? C'è questo tesoro, nascosto in seno della terra avara? O. invece, e una trovata di coloro che voglion vender l'Eritrea più cara? Chi lo sa! Stanno zitti. Ma, frattntito. la gente osserva, ed ha le sue ragioni, che il caso, poi, non istituisce tanto... Perché può itarsi che, dilapidato tant'oro avellilo, noi, fra cine' burroni, nualcuno, ua poco!in. n'abbia trovato! La firma non c'è. Peccato. Era un morto del quale avremmo fatto molto volentieri la conoscenza. Perchè se, dal punto di Vista strettamente lirico, la composizione può lasciar qualcosa a desiderare, come valore di documento storico non si potrebbe andare più in là. E' tutta un'epoca che ne esce riassunta e illuminata. A poco più d'un anno da Adua, c'era gente che, in Italia, a Roma, poteva abbandonarsi a esei-citazioni di cosi nefanda ironia! Nella raccolta che Tazzer ha fatto, per conto del Governo della Colonia, questo sonetto ci sta a meravìglia. Senz'averne l'aria, costituisce, senz'altro, il cimelio più significativo fra tuttti quelli che sono stati raccolti in tema di sogni dorati. Non solo, infatti, esso è li in funzione di carta probatoria dell'interesse suscitato in Italia dall'oro eritreo fin. dai primi tempi del nostro arrivo all'Asmara; ma anche, e di più, coma punto di infallibile riferimento per tpgssedqnrsftcpdaB valutare gli spazìi stellari che si sono n , , a e e n , , . i a o o o ù, r intromessi fra l'Italia di Di Rudinì e quella di Mussolini. Non a caio, forse, — nulla succede a caso, nel mondo, — l'oro beffato e diffamato dalla democrazia, che ne faceva tutt'una cosa coll'onore e col sangue, è venuto a premiare la fede, la pertinacia, la fatica dei « cercatori » fascisti. Fra « quei tempi » e questi, il profilo dell'attività aurifera in Eritrea può essere molto rapidamente schizzato. Una ripresa di qualche importanza, almeno sotto il punto di vista dei propositi, fu quella della Società Mèdrisien, avvenuta intorno al 1900. Ingegneri inglesi, ma capitali italiani. I primi ritorni sulle traccie faraoniche e portoghesi si debbono a loro; che iniziarono pure la serie delle gallerìe e dei pozzi fatti con criteri, per alloru, modernissimi, e qualche volta audaci. Le ricerche furono limitate a una zona distante da Asmara circa diciotto chilometri, con un provento complessivo di circa centosessanta chili di minerale, in quasi un decennio. La mano d'o pera costava all'incirca quanto oggi, e l'oro, che ora è sulle dodici lire e mezzo al grammo, non ne valeva allora che tre. Fu facile persuadersi che l'uscita sarebbe sempre rimasta al disopra dell'entrata, e nel 1909-10 la Mèdrisien fu. L'eredità venne raccolta dal Governo, il quale comprò tutti gli impianti esistenti per seicentomila lire, e rinviò la ripresa delle esplorazioni a tempo migliore. Intanto, qualche cercatore solitario stava lavorando, alla meglio, con alterna fortuna, a Serva, lungo l'Anseba, trenta miglia a noi'd-est di Cheren Ma nel 1906, anche questa impresa si anemizza, decade, finisce. L'oro c'era, si vedeva, dava febbri e vertigini; ma era duro da venir fuori. La fatica rudimentale dell'indigeno non bastava quasi a pagare se stèssa, e i macchininovi costavano fior di quattrini. Sa rebbe stato necessario istillare nello spirito dei capitalisti italiani un po' di fede africana, un po' d'amore di ventura. E ci fu chi ci si provò. Il vecchio coloniale ing. Cappucci — imi personaggio di primo piano sul teatro della guerra del '96 — corse come un ispirato, come un pazzo, da un capo all'altro d'Italia, in cerca di soldi. Non ne trovò, e anche lui dovette dire addio al bel filone che aveva scoperto tra i selvaggi roveti di Dasè, a sud di Barentù. Una profezia avverata Dal 1910 al 1913, tutto resta fermoPian piano, anche i ricordi e raminarici si attenuano. Sull'oro eritreo si ricomincia a sorridere di scetticismo I pionieri-apostoli son trattati da gente a cui ha fatto male il sole. E' nel 1918 che il discorso ricomincia serio, anche se non ancora fortunato. La Banca Italiana di Sconto prende in concessione, per lo sfruttamento minerario, quasi tutto il territorio eritreo, — oro, ferro, rame, pe-trolio —, e il vecchio armamentariodella Mèdrisien rifiorisce e rientra infunzione. Così, fino al 1921. Fino aquando, cioè, la Banca Italiana dSconto crolla, e va a rifascio con essatutta l'organizzazione mineraria della Colonia. Dal 1922 al 1931, altro letargo, altra stasi. Non c'è che un vecchio cercatore, Luigi Silvestri, che continua ad essere attaccato, di quando in quando, dalla febbre aurifera, come dalla terzana, e si ostina, solo, o aiutato da pochi indigeni, con mezzi economicda far ridere e strumenti meccanici da far piangere, a far buchi e gallerie, e a racimolare nel fondo di vecchie bacinelle arrugginite un po' di perfido giallo. Miserie. Più sudore che altroUn mese memorando restò quello in cui il febbricitante cronico 7-ìhscì a mettere insieme circa centoventi grammi d' oro. Cercatore e profeta. « Qui, un giorno » — diceva — « finiremo per non circolare più. Ci saranno più cercatori d'oro che coloni. Vedrete... ». Un anno dopo si doveva, infatti, vedere che il vecchio minatore aveva ragioneFra le miniere d' oro già in efficienza sulPaliopiano e nella bassa regione degrandi fiumi dell'ovest, e i permessi desplorazione rilasciati dal Governo del la Colonia, siamo, a tutt'oggì, alla bui la cifra di quasi centoventi nominatifi. L' oro consegnato, in poco più ddue anni, alla Banca d'Italia supera i tre quintali. Ma allora — sento dire — perchnon andiamo tutti a raspare la terrin Eritrea? E ancora: è agevole, o no, entrarnel numero dei cercatori'! Vedremo, in un prossimo articolo come risponde a questi due punti interrogativi S. E. il Governatore. E', credo, la mia, la prima tntervista che S. E. Riccardo Astuto concedeufficialmente, sul tema dell'oro che dàe può dare, la bella Colonia affidata asuo sagace governo. Renio Martinelli Pozzo di scavo di una miniera.