Il "socialismo,, di Sombart di Giuseppe Piazza

Il "socialismo,, di Sombart Dall'economia all'etica Il "socialismo,, di Sombart BERLINO, settembre. , tDopo Spengler, ecco ora Sombart I uall'opera per aggiustare il suo mon do, dopo la rottura di porcellane arrecata dalla rivoluzione nazionalsocialista! Poiché questi benedetti rivoluzionari son fatti così: un bel giorno fanno attorno a sè una quantità di cocci, e poi senza curarsi del proverbio che a stretto rigore imporrebbe loro di pagare e di portarseli via, continuano imperturbati per la loro strada, lasciando agli altri la cura di riaggiustar tutto. Questi altri sarebbero i filosofi tipo Spengler e tipo Sombart. La loro fatica appare duplice : aggiustare il mondo del proprio pensiero alla nuova realtà creata, o far la luce del pensiero davanti ai passi di questa realtà. Ma, in fondo, le due cose sono tutt'una. Decidere se sia il pensiero che abbia bisogno del fatto, o se sia il fatto che abbia bisogno del pensiero è vecchia questione oziosa, che va risolta nel senso reciproco, come dimostra la doppia constatazione che non v'è da un lato uomo d'azione che non desideri alla fine di mettere la cupola basilicale della Teoria alle sue costruzioni, e che dall'altro non v'è pensatore il quale non finisca per andar dietro all'umile fatto e leccargli i piedi come un segugio... Si potrebbe, ricordandosi dei ladri di Pisa, dire scherzosamente che Teoria e Realtà litigano di giorno e di notte vanno insieme a rubare, se Sombart nella prefazione del suo libro (Deutscher Sozialismits, Buchholz & Weisswange, Berlin, 1934) non ci dicesse ambiziosamente che compito della prima è per lui di fare ognora luce alla seconda; ma se togliamo loro quel po' di comodo buio la notte, quand'è che le manderemo a far man bassa insieme?... Ognuno ricorda, perchè ne riferimmo largamente ai lettori, la fatica di Sisifo durata recentemente da Osvaldo Spengler per salvare il suo cadente mondo dall'improvviso assalto di vita rappresentato in Occidente dal Fascismo. Era davvero uno sforzo disperato, una .salvazione alla rovescia, poiché si trattava di salvare ciò ch'era per definizione morto ■e perduto, il cimitero di idee cioè del necessario tramonto dell'Occidente, dall'improvvisa ripresa ideale, morale e politica rappresentata dal Fascismo, il quale mandava a spasso tutti i pessimismi di professione. Era difficile cavarsela. Ma Spengler se la cavava con abbastanza disinvoltura, ischierando senz'altro il Fascismo in . fila e alla pari con tutti gli altri « so\ cialismi » del vecchio tempo, rei tutti \ dell'ineluttabile decadenza della raza a bianca. Il « socialismo » fascista, li vorando anch'esso, non meno che cp lello marxista sul concetto di massa , era intinto della medesima pece, e,i come esso, era reso responsabile d*.^'-l'inevitabile tramonto, di cui era ria it'altro che l'ultimo stadio : con ess*> la razza bianca, ammalata a moi "te di socialismo, non faceva che rivd Itarsi disperatamente sull'altro fianco nel suo letto di dolore e di mori e. E tanta improvvisa cecità per i vai uri di rinnovamento ideale e morale \della rivoluzione fascista finivano ! per trascinare Spengler all'inaudiio semplicismo ed economismo bruto »di ridurre tutto a una questione di \tariffe, fino alla paradossale conclusone che con un del resto impossibile ribasso di salari fino al livello di calmiere negro o giallo si potrebbe* salvare un mondo ideale e morale iti decadenza... Disavventure di questo genere non possono c; tpitare a Werner Sombart che, scevrit > da pessimismi di maniera, è tratc 0 invece dal sano senso storico e /.lolitico di cui ha sempre assistito le \ sue costruzioni economiche, a percorrere proprio il cammino inverso, 1 a risalire cioè dal puro economismol professionale largamente professate\, quand'era di moda e di prammatica, ;nel tempo precedente, a un eticismo a i-soluto, pienamente sviluppato e articolato, il quale giunge fino al chiaro'irigetto del valore economico autonomo, dell'Economia stessa cioè con le valore. Il fatto va segnato e festqT£'at0 ,con tu.lt' i riti e sacramenti, pciichè è la prima volta, se Dio vuoili:, che è dato vedere un economista eli quelli coi fiocchi, e niente affatto .degli ultimi venuti o formatisi alla nnova atmosfera, pronunziare una così netta condanna dell'economismo;. E per chi come noi ha fin da assai .tempo prima fatto consistere propri t> in questo tutto il cardine del propr io pensiero e il proprio apprezzarne! i to del tempo nuovo, deve essere O'ggi di un gaudio tutto speciale poter registrare le nuove pagine di Somiiwrt nelle quali, investigando la miiglior definizione possibile dell'era precedente, egli fa la critica delle fon-mule «era liberale», «èra indivVlualistica » e simili, e si ferma al ['unica veramente espressiva e razion ale, e che tutte le comprende: èra ec cmomistica. Lera degli economisti, adoratori del fuoco che, deificando ìiì Numero al luogo dell'Idea, e avvicendo la felicita al livello dell'utilità,! avevano elevato la torre babelica dUi desideri e degli appagamenti ali I-infinito, per la scalata al cielo di cui già il carme d'Orazio rilevava il carattere sacrilego. Quel che è nuovo ni3 1 libro di Som bart è il tentativo o i piuttosto l'af fermazione di una stclria della_ civiltà, e eli una discriminai 'ione dei tempi', sulla base del morn ento decisivo nel quale l'Economia, i ino allora allo stato più o meno libero e selva slbdanmi«qbrlcNcdvztbrndnDdlmdradcgllssvtecld , tico alle porte della Polis — per I usan: Ia forma immaginosa che ri e e o r o e i e n t o e o i a e a a i e , o a i o l o e a ee e a ooa aea me im f lmvo la suono tante volte sotto i portici dell'Accademia — per così dire si inurba, consente di lasciarsi imporre redini e briglie, e procede per le vie aggiogata al carro AdYEtos sovrano, guardata a vista dal codazzo armato dei Nomoì, o Leggi. Questo inurbamento, questa politizzazione e « socializzazione » dell' Economia, questa subordinazione e questo imbrigliamento della fiera dell'utilitarismo grezzo e individuo sotto la legge della comunità statale, è ciò che Sombart chiama « socialismo ». Niente altro che un « normativismo» che riferisce continuamente l'individuo alla società. « Quello stato della vita sociale — così suona la definizione sombartiana — dove la condotta del singolo viene per principio stabilita per via di norme obbliganti che ripetono la loro origine da una generale ragione fondata sulla natura della comunità politica, e che trovano la loro espressione nel Nomos ». Di tanto in tanto vengono alla fiera domata più o meno allentate sul collo le redini, e si ritorna a periodi di maggiore o minore liberalismo o individualismo economistico. La storia dell'umanità civile non sarebbe altro che una continua alternativa di periodi di economismo liberalistico con periodi di « socialismo ». A grandi linee, nella storia antica dell'Occidente, due grandi periodi di allargamento di freni e di liberalismo si ebbero : uno in Grecia al quinto secolo, e gli si erse di contro il movimento « socialistico », soltanto letterario, del filosofo dell'Accademia; e un altro in Roma negli ultimi decenni della Repubblica e primi dell'Impero, fino a che la legislazione di Diocleziano non restituisce i freni, dando inizio a un'era di « socialismo» Alla fine del Medio Evo l'Europa ricomincia lentamente a liberarsi dai freni, e la tendenza individualistica e liberalistica cresce a poco a poco a dismisura fino al diciottesimo secolo. Col secolo diciannovesimo infine ricominciano in grande stile i movimenti correttivi socialisti più o meno letterari e di vario stampo, fino all'esperienza politica del marxismo, e, ininterrottamente, a quella del Fascismo. Anche qui dunque, non meno che in Spengler, Marxismo e Fascismo appaiono in fila, in progressione storica, come due socialismi o piuttosto due successivi conati di una medesima ripresa socialista. Ma la differenza, a parte la diversa prospettiva a cui i due autori si fermano nel fissare il concetto di socialismo sta in ciò: che, mentre in Spengler la serie progressiva procede dall'uno all'altro in avanti, in Sombart essa ritorna indietro in senso correttivo. L'ansia « socialista » del mondo insomma, delusa dall'adulterazione marxistica, è ripresa e corretta dal Fascismo. Esatto. Ed è uno dei pregi più notevoli del libro la disamina delle pecche e dei peccati originali individualistici, liberalistici, materialistici, o, infine, « economistici », che il socialismo marxista derivò dall'era liberale in cui nacque, e che costituirono la sua intima tragica contradizione, e la ragione del suo miserabile fallimento. Ma il « socialismo » di cui Sombart ci parla, e di cui ci fa un quadro quanto mai commisurato e perfetto, dedotto, come è suo costume, fino ai minuti particolari con rigore assiomatico assoluto, si direbbe quasi spinoziano o euclideo, oltre che spinto fino alle più estreme architetture (fino, ad esempio, al « principio del Capo » proclamato per diritto divino, fino ai piani di un'economia diretta, fino alle necessarie limitazioni e controlli statali da imporre alle invenzioni della tecnica, e fino ancora alle indicazioni di una ragionevole autarchia, o piuttosto di un regolamento autarchico dei rapporti economici con l'estero redenti dal liberalismo astratto del passato) non è già il Fascismo, bensì è un « Socialismo tedesco », o come egli spiega e indaga, un « Socialismo per tedeschi ». Ci si domanda: si deve con ciò intendere il Nazional-socialismo in atto nel suo paese, di modo che l'autore voglia dirci che questo sia il socialismo vero e perfetto atteso dalle folle, e scevro finalmente da quei mortiferi elementi di «economismo» liberalistico e materialista che trassero alla rovina il suo predecessore ; oppure l'autore ha inteso soltanto proporre uno specchio di vera perfezione al Nazional-socialismo stesso? Abilmente, o piuttosto con abilità e virtuosità, il Sombart cura su questo punto di lasciare alquanto indecisi e indissociabili i confini tra la realtà e il modello; e non sono davvero queste danze sulla corda le parti più pregevoli dell'opera. Già, in fatto di virtuosità il lettore non può aver avvertito la molto elaborata definizione stessa del concetto di socialismo, contenuta assai equilibristicamente nel minimo di termini che era necessario per schivare la discussione di quanto vi è di programmaticamente mancato — e tuttavia di persistentemente demagogico — nella seconda parte del nome nazional-socialista ; e su ciò getta luce, a un certo punto, l'incondizionata approvazione che l'autore ha occasione di manifestar di passaggio alla soluzione data da Mussolini al problema sindacale. Altro punto, fondamentale questo, dove la danza sulla corda conduce l'autore a una irreparabile caduta è là dove, discriminando i concetti di razza e di nazione, gli accade inevitabilmente di mettere in rilievo la infodatemprfeprresesenimserimchmmtedmsm« (mbstbdlodtapdcidtesccseasmrigtoecèlagpEpglitdmmbiirevzmladucscmctivcmmpzppprsgmfidsgtelpcTd forza idealistica ed espansiva della nazione, in confronto del materialismo disperato della razza, arrivando a dire che perfino in un negro può albergare spirito tedesco... Non si poteva pronunziare un'eresia antinazionalsocialista più evidente e più inconciliabile! Ma l'autore, a questi fondali di scogli pericolosi, si guarda dall'indugiarsi e vira rapidamente al largo con la sua nave, verso il mare dell'esposizione teorica; e nella prefazione ci spiega avere egli preferito di regolare a questo modo prudente e riservato i rapporti fra la realtà e la teoria, nella certezza di servire così assai meglio il suo paese. E' lecito dubitare di questa opinione. Si può ritenere che infinitamente meglio egli lo avrebbe forse servito trovando in sè il coraggio di rilevare i purtroppo numerosi elementi di pernicioso « economismo » che inficiano e debilitano il movimento nazionalsocialista, e che, irrimediabilmente collegati al crasso determinismo razzista da cui esso fondamentalmente scaturisce, sono non meno gravi di quelli del determinismo classista che portò alla rovina il « socialismo » suo predecessore. Giuseppe Piazza

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