Ancona inaugura la statua di Traiano ricevuta in dono dal Duce di Marziano Bernardi

Ancona inaugura la statua di Traiano ricevuta in dono dal Duce Le celebrazioni marchigiane romanamente concluse Ancona inaugura la statua di Traiano ricevuta in dono dal Duce (DAL NOSTRO INVIATO) Ancona, 17 mattino. Ancona splendeva ieri mattina in tutta la letizia del suo Adriatico sereno, nella Ilice pacata di cui il settembre maturo avvolgeva Lungo Litorale dalla curva glauca del porto fino a Senigallia lontana nella nebbia azzurrina. Mai la vedemmo tanto bella e chiara e riposata sui suoi colli, sotto l'alta mole del suo San Ciriaco romanico. A guardarla dal Pincetto, ne distinguevi casa per casa, con tutta la sua zona nuova, allineata fra strade e corsi, da Piazza Cavour al monumento ai Caduti del drilli, la cosidetta Città Fascista, e in basso, quasi a picco, sotto l'antica cittadella, Porta Pia e il pentagonale lazzaretto del Vanvitelli, un tempo metà ospedale e metà fortezza e già armata di cannoni. Lì presso quei bastioni bagnati dal Canale erano nei 1918 i « mas » di Rizzo pronti alla gesta leggendaria; li cadde ferita la guardia di finanza che, secondo una delle versioni date all'episodio, smascherò i sessanta austriaci, i quali, travestiti da marinai italiani, erano sbarcati alla Marzocca e lungo la costa avevano tentato di forzare il porto. Il trimotore della Transadriatica, che fa servizio per Zara, si librava invece ora alto nel cielo e giovani atleti si allenavano in corsa intorno alle mura rosse della cittadella presso la Porta ài Capo di Monte. Tempi mutati! Aura di festa gloriosa Era infatti quella di Ancona, ieri, un'aura dì festa gloriosa. La fiera città adriatica, prospera sotto Roma, in lotta con ì nemici vicini e lontani per dieci secoli, rivale di Venezia e dì Amalfi, prima a patire le offese dell'ultima guerra, stava per vedere sciolto un suo voto antico, stava per ricevere il promesso dono del Duce, la statua di quel Traiano che dal suo mare era salpato per portare le armi contro i Daci e che il suo porto aveva ampliato e munito, presagendo le sue fortune marinare. Tutto aveva apprestato Ancona quanto era degno compiere per accogliere il grande simulacro. Ove appena due mesi fa esisteva il lurido cuneo di casupole fra via 29 Settembre e via Fryatt, si allargava il bello e vasto piazzale decorosamente sistemato dall'Ufficio tecnico municipale. La statua dell'Imperatore era lì, velata, dando le spalle a una recente architettura risolta con semplicità e severa eleganza, maschera assai bene applicata al gruppo di edifici avanzanti dalla demolizione: accorta sistemazione di un angolo cittadino che è destinato a diventare uno dei più bei passeggi italiani. Poche ora ancora e il velo sarebbe caduto fra le note di « Giovinezza » e lo sventolìo di cento e cento gagliardetti; e la cerimonia austera avrebbe concluso il ciclo delle grandi celebrazioni marchigiane. Raffaello, Bramante, Leopardi, Rossini e via vìa tutti gli altri figli illustri delle Marche, da Bartolo di Sasso Ferrato ad Alberigo Gentili, da Temistocle Calzecchia Onesti e Giovanni Branca a Bartolomeo Eustacchio, e poi Traiano successore di Nerva, vincitore dei Baci e dei Parti? Dove il ponte ideale fra l'uno e l'altro ciglio di una simile vallata di diciassette secoli? Ieri, da poche ore giunti da Urbino dove l'Umanesimo visse una delle sue giornate più fulgide e guardando sul palcoscenico del Teatro delle Muse quei fieri giovani che reggevano i labari delle Confederazioni delle Province, dei Comuni, labari recanti le aquile di Roma e i Fasci Littori, quel nesso e quel legame ci sono apparsi chiari. Era — come bene ha poi detto dinanzi alla statua di Traiano a tutto il popolo delle Marche l'on. Adelchi Serena, vice-Segretario del Partito — l'idea di Roma che si riallacciava all'idea del Rinascimento e fino a noi giungeva senza interruzione; era -- come ha limpidamente annunziato S. E. Balbino Giuliano, dopo l'orazione di Roberto Paribeni — Za continuità spirituale della nostra storia, il rinascere in noi della virtù latina, il perpetuarsi del sangue della nostra razza di Italiani. Di conquistatori, di dominatori o con la forza o con l'intelletto. Questo il significato della celebrazione di ieri. Da secoli l'ala di Roma non tornava a battere su questa terra. E' bastato il comando del Duce e l'aquila ha rivolato su questo lido adriatico. Ma quel comando viene dopo dodici anni di fatiche e di lotte, di volontà indomita. Non è una conclusione, perchè la Rivoluzione non si arresta: è una presa di possesso, un ammonimento, un'attesa. L'omaggio ai Caduti Giorno di mirabile festa, dunque, per Ancona; ed era bello scorgere fin dal primo mattino tutta quanta la città imbandierata — e sotto la brezza leggera i tricolori sventolavano nel sole — e le vie affollate, come se ogni casa avesse vuotato i suoi abitanti impazienti e uno sfiìflre continuo di drappelli di Giova¬ ni Fascisti di tutta la provincia e un inseguirsi ininterrotto di macchine. Giungevano da ogni parte: erano gli artisti, ieri l'altro convenuti ad Urbino a trattare gli alti problemi che abbiamo riferito, erano gli scrittori e gli autori, reduci da Recanati, dove, all'ombra del palazzo Leopardi, avevano discusso delle lettere nostre; erano gerarchi e membri del Governo che da Roma accorrevano a presenziare alla celebrazione. Da tutti i paesi marchigiani esaltanti la gloria dei suoi figli, gente veniva a inchinarsi dinanzi al segno di Roma; e in questo affrettarsi al ritrovo, puntuali tutti e in piena e festosa comunanza spirituale, stava forse la maggiore bellezza della cerimonia. Da un mese le Marche erano all'ordine del giorno della Nazione, non — come ha rilevato nel suo discorso S. E. Balbino Giuliano — per fomentare un orgoglio regionalistico, ma perchè dove ardimento e sapere, azione e bontà, valore e sacrifizio in una regione italiana rifulgono, è l'Italia intera che si gloria e ne partecipa, è il Paese intero che si svela in mio dei suoi aspetti. Valore e sacrifizio anche. E così l'omaggio ai Caduti anconetani, coti l'offerta di corone di alloro al bel monumento che sta in fondo al Corso, da parte dei rappresentanti del Governo, del Partito, della Confederazione nazionale dei sindacati fascisti professionisti e artisti e dei gerarchi e delle autorità locali, aperse la serie delle cerimonie e della giornata. Quaranta o cinquanta automobili giunsero rapide per il bel viale. Contro il marmo candido, che tra le sue salde colonne doriche mostrava lembi di azzurro smagliante, le Camicie Nere spiccavano .con effetto suggestivo e severo. Fu un omaggio rapido, quanto austero. Quindi il corteo giunse in Piazza Umberto per presenziare alla commemorazione traianea nel Teatro delle Muse. La celebrazione Il bel teatro, architettato da Pietro Ghinelli in stile neoclassico purissimo e sul cui sipario il Ferri dipinse un fantastico trionfo di Traiano in Ancona, così tutto bianco e oro, e gremito in modo inverosimile nei quattro ordini di palchi, nella platea e nella galleria, offriva uno spettacolo magnifico di eleganza e di animazione: belle signore anconetane e altre affluite dai vicini centri balneari della riviera adriatica; uomini quasi tutti in camicia nera, bimbi attentissimi e poi popolo, popolo ansioso della celebrazione. Sul palco, in duplice fila, le autorità venute per la cerimonia e quelle locali. S. E. Bruno Biagi, Sottosegretario alle Corporazioni e rappresentante il Governo, l'onorevole Adelchi Serena, Vice-Segretario del Partito, S. E. Balbino Giuliano, commissario della Confederazione nazionale dei Sindacati professionisti e artisti, Cornelio Di Marzio, Segretario della Confederazione, l'on. Calzabini, Segretario del Sindacato nazionale degli architetti, l'onorevole Orazio Amato in rappresentanza dell'on. Marami, commissario del Sindacato delle Belle Arti, i senatori Milioni e Felici, gli onorevoli Paolinij Colombati, Andrìanì, Ferronì, podestà di Pesaro, Aldo Vecchìni, Bartolìni, S. E. il Prefetto di Ancona dott. Catalano, il Segretario federale capitano Baroffio, il Podestà comm. Moroder e il Preside della Provincia comm. Scoponi, gli alti Magistrati anconetani, i Segretari federali delle provxncìe di Pesaro, Macerata, Ascoli, i Podestà dei capoluoghi della provincia di Ancona con i Segretari dei Fasci, il dottor Guglielmo Pacchioni, Sopraintendente alle Antichità e Belle Arti, le rappresentanze dell'Esercito, della Marina, della Milizia con il console generale Gatti comandante il 18.o Gruppo. Legioni, e dei Giovani Fascisti. Dietro, la selva variopinta dei labari, dei gonfaloni, dei gagliardetti, e cioè i labari delle Federazioni, dei Fasci di Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli, il labaro della Confederazione dei Sindacati professionisti e artisii, i gonfaloni delle quattro Provincie marchigiane, i labari di tutti i Comuni ove in questo mese di fervore culturale furono tenute celebrazioni; i gagliardetti poi di tutti i Sindacati professionisti e artisti intervenuti alle cerimonie degli scorsi giorni: un colpo d'occhio grandioso e severo. Allora risuonarono tre squilli di tromba e fra gli applausi si fece innanzi S. E. Roberto Paribeni, Accademico d'Italia, già direttore generale delle Belle Arti, archeologo dì fama europea e il maggiore storico dì Traiano, Z'Optìmus Princeps della storia e della tradizione, « il roman Prence il cui gran valore — mosse Gregaria alla sua gran vittoria». Il discorso di S. E. Paribeni « Nella vasta composizione a rilievo — egli comincia — che con più di 2500 figure, salendo a spira sul busto della Colonna Traiana a fiò-l ma, narra le vicende delle due guer- \ re daciche, a metà dell'altezza, dopo una grande figura di Vittoria che separa gli avvenimenti della prima guerra da quelle della seconda, è rappresentata, o anconetani, la vostra città. Nel vostro porto Traiano e parte del suo esercito si imbarcano per passare sull'altra sponda nella provincia di Illiria e muovere ancora una volta oltre il Danubio contro i maldomati Daci. L'antico artista ha reso con felice evidenza l'aspetto generale del luogo, col mare che si insinua facendo arco dinanzi alla collina, e si è studiato di riprodurre i monumenti più caratteristici della città: primo su tutti, in alto, il Tempio di Venere Genitrice, che Giovenale ricorda sull'Acropoli della vostra città, al posto del vostro bel San Ciriaco. L'imbarco avviene di notte; i vostri padri, con fiaccole accese, scortano l'Imperatore che, conscio delle urgenti necessità del momento, non rispetta il tempo dovuto al riposo e dagli antichi possibilmente sottratto ai rischi della navigazione. Nè solo un fuggevole imbarco avvenne allora in questi lidi, ma la città e il vostro porto rimasero base di operazioni per l'alta impresa. Costruttore infaticabile di strade e di porti, Traiano anche al vostro porto aveva rivolto la sua attenzione e le sue cure e voi gli dimostraste la vostra riconoscenza con la costruzione dell'alto agile arco trionfale che ancora oggi, esattamente 1820 anni dalla sua dedicazione gloriosamente intatto, adorna e illustra la vostra città ». Il significato del dono Esordio che muove dalla attenta lettura di uno dei più insigni documenti artistici e archeologici défflantichità, per commentare, al lume degli eventi storici, il significato e il perchè della volontà del Duce nel donare ad Ancona la bronzea statua dell'Imperatore Traiano, copia di quella che si conserva nel Museo Nazionale di Napoli e duplicato nell'altra copia che adorna la Via dell'Impero. Ma tosto Paribeni dal fatto sale all'idea e dal singolo episodio spalanca dinanzi all'attentissimo uditorìo una visione incomparabilmente grandiosa. A sommi capi accenna alle vicende che la storia dell'Impero dì Roma ebbe a subire attraverso interpretazioni grette e fallaci; specie in quei tempi in cui troppo prevalevano indirizzi filosofici edonistici o materialistici e principi liberali che conducevano all'esagerato inalzamento dell'individuo, a uno sconfinato desiderio di ogni libertà, a cui il nome stesso di impero sembrava ripugnare. Che cosa era mai questo impero di Roma se non una mostruosa tirannia imposta a tutto il mondo con la violenza delle armi e tenuta in piedi con la forza dura e spietata dì ferree leggi per sfruttare a beneficio di pochi le risorse economiche del mondo ? Il Fascismo restauratore possente di ogni gloria d'Italia, ha superato d'un balzo queste vecchie mentalità e sente la romanità dell'Impero, ma anche esso ha necessità di rafforzare l'intuito generoso con la profondità di una religione, di un ripensamento, di un rinnovamento culturale che non può compiersi in pochi anni. Ed ecco allora l'oratore prospettare la necessità di rappresentarci quale veramente fu questa storia di Roma e dì rendere giustizia a questa serie di Cesari « non adunata di paranoici e di delinquenti con qualche raro accenno di persone per bene, ma schiera di uomini che in generale ebbero per lo meno il senso del proprio dovere e delle proprie enormi responsabilità ». Quattro imperatori uccisi in combattimento contro il nemico esterno, una diecina a cominciare dallo stesso Augusto feriti in battaglie, sette morti di fatiche di guerra come Traiano, Marco Aurelio, Settimio Severo, che a 75 anni marcia fra i monti della Scozia, uno dei pochi che poterono morire nella propria casa e in piedi, perchè in piedi egli sentiva dovesse morire un Imperatore romano; e la figura stupenda, maschia, equanime, bella nell'anima come nel fisico di Traiano, figura di grande capitano e di saggio polìtico, di costruttore, a poco a poco si délinea nel dotto e minuzioso discorso. Il duro servizio di frontiera in giovane età, la nomina a Pretore sotto Domiziano, il comando delle legioni in Spagna e il governo della Germania superiore, la porpora imperiale cadutagli inattesa sulle spalle, porpo ra che il duro soldato, il saggio uomo di governo accoglie freddamente, i primi atti energici verso i Pretoriani, le prime provvidenze popolari e infine l'esatta valutazione della necessità di perpetuare la pace romana, fronteggiando coloro che volevano perturbarla: prima i Daci, poi i Parti. Prende allora il Paribeni a descriverci quei popoli e i loro costumi e insieme a rievocarci quello spirito di sincerità e di giustizia che spira da tutti gli atti di Traiano e che quindi anima anche la glorificazione artistica delle gesta di lui nelle due grandi guerre. Decebalo è vinto e si dà la morte. Allora, immediata e fervidissima inizia Traiano l'opera di organizzazione del nuovo territorio e quell'impronta di romanità che corso di secoli e mutare di vicende non valsero a cancellare. Ancora un largo accenno, anzi una acuta indagine offre l'oratore dei rapporti fra Traiano e i Cristiani, del suo modo di osservare il formidabile fenomeno nascente. Egli fu detto martìrìzzatore di Cristiani. Ma il Paribeni cita il famoso rapporto di Plinio, Governatore di Bitinia, e la risposta dell'equo Imperatore: « Tu hai agito come dovevi. Non si devono i Cristiani ricercare; ma se saranno accusati e convinti, è doveroso punirli in modo però che se qualcuno nega di essere Cristiano e lo dimostri col fatto in causa del suo pentimento, benché sospetto per Vaddietro, ottenga il perdono ». Perdono, più che repressione, era il suo ordine. «Questa — conclude il celebratore — è la grande figura di cui voi,.o anconetani, in virtù di antiche devote collaborazioni, avete da oggi l'orgoglio di conservare l'immagine. Cadde egli vittima del suo dovere e non vide completa e coronata di successo l'ultima sua fatica. Ma l'ora sua non trascorse sterile e vana; non sempre l'Italia potè e potrà godere del beneficio immenso che ora gode, di avere dei capi di perfetta saggezza e di eccezionale altezza di animo e di ingegno, quali Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini; ma non mài potrà essere dimenticato o abbandonato il solco possente che nella sua storia secolare ha impresso la pratica tutta romana delle più solide virtù civili: la rettitudine delle intenzioni, il quadrato buon senso, l'amore della giustizia, la devozione generosa totale, assoluta al proprio dovere. Sforziamoci di conservarla e di aumentarla e non cessiamo di confidare che ad essa la benignità di Dio si compiacerà ancora di dare, con qualche più eccelso segno del suo spirito creatore, quei fulgori di gloria e dì grandezza che non una volta sola permisero al nostro Paese di raccogliere intorno a sè il genere umano e di farsene guida e maestro del più alto avvenire». La nuova casa dei professionisti Non è ancora finita l'ovazione che accoglie le ultime parole del Paribeni, che prende a parlare S. E. Balbino Giuliano. Non un discorso, ma una improvvisazione arguta e geniale, fresca e alata. Egli, lo confessa, è contento, come capo della Confederazione dei professionisti e artisti, delle celebrazioni organizzate per comando del Duce dalla Confederazione medesima. Troppi celebrati? Ed ecco che la domanda gli porge il destro di parlare della bellezza — paesistica e spirituale — di questa terra benedetta che è l'Italia, bellezza che sempre si rinnova e si moltiplica per mille forme e per mille aspetti. Ed ecco che a grandi cicli e a sintesi vasta, egli illumina le tappe della civiltà italiana, risale alle origini, a Roma e alla sua storia, e da questa scende alla nostra storia presente per ripetere che se anche Mussolini ci avesse dato soltanto quel senso di Roma, il Suo nome, anche solo per questo, sarebbe grande e la Sua memoria imperitura. Quei medesimi applausi che avevano sottolineato i tratti salienti della improvvisazione felice, si fanno scroscianti alla chiusa e il pubblico sfolla commentando, mentre le autorità e i gerarchi si recano ad inaugurare la nuova sede dei Sindacati professionisti e artisti, dove prendono la parola S. E. Biagi e l'on. Serena. Ma se oltre mille persone hanno ascoltato la celebrazione di Traiano nel teatro, è poi l'intero popolo di Ancona, sono 'folti stuoli venuti da tutta la terra marchigiana che assistono nel pomeriggio, alle 17, dopo lo sfilamento di tutte le forze fasciste delle Provincie dinanzi al Palazzo del Littorio allo scoprimento della statua dell'Imperatore. Qui, fino a Porta Pia e in tutte le strade adiacenti la folla è veramente impressionante, una folla composta e ordinata sulla quale si alzano i gagliardetti, i labari, le insegne di tutte le organizzazioni fasciste delle Marche. Sono tesi i cordoni; ma ad un tratto, irresistibile, questa folla straripa e circonda il parco dove sono comparsi, con il Podestà di Ancona, il quale prende in consegna con brevi parole la statua donata dal Duce, S. E. Biagi e l'on. Serena. Cade il velario fra gli squilli di attenti e dì evviva. Il bronzo, dalla patina superba, si mostra per la prima volta nel sole anconetano e il vice-Segretario del Partito pronunzia il suo discorso. Dopo aver portato il saluto a S. E. Starace, alle Camicie Nere, pone in evidenza il significato politico delle celebrazioni marchigiane, che allargano il cerchio della gloria al popolo; rileva che in questo secolo caratterizzato dalle manifestazioni economiche in cui si accapiglia la plutocrazia internazionale, è stata questa una luminosa rassegna dì incomparabile bellezza. Dopo avere posto in evidenza ancora il significato dell'offerta della statua di Traiano fatta dal Duce, esalta la universalità di Roma di cui Traiano fu espressione nobilissima, universalità di Roma che si infiamma di una nuova forza e di una nuova bellezza nel secolo di Mussolini. Termina auspicando alle fortune di Ancona marinara e fascista, e col saluto al Duce, raccolto dai presenti con vibranti manifestazioni di fede. La parola di S. E. Biagi Un grido immenso accoglie l'invito del Vice-Segretario del Partito al saluto rituale; e appena placati gli applausi, prende a parlare S. E. Biagi. Ancora una volta le grandi figure marchigiane sono sinteticamente illuminate dalla parola del Sottosegretario alle Corporazioni, e nuovamente risuona l'elogio di Ulpio Traiano. « Con queste rievocazioni — dice S. E. Biagi — le Marche e Ancona congiungono gli splendori del Rinascimento alle glorie e alla potenza di Roma». E abbiamo ripreso — conclude fra interminabili acclamazioni al Duce S. E. Biagi, le antiche forme della vita romana, abbiamo riiicerdito il culto degli antichi monumenti e ci affrettiamo a trarne insegnamento e mònito. Occorre preparare gli animi, adeguare gli spiriti. Questo è il nostro dovere verso il Duce, che ha assunto per tutti noi il compito di ridare al nostro antico Paese la sua grandezza imperiale ». Così sul lembo di terra dal quale 18 secoli fa, Traiano partiva alla conquista dell'Oriente, si sono concluse le celebrazioni della gente marchigiana, che è come dire dell'Italia intera. Fino a tarda notte, con l'illuminazione del Largo Traiano e dei monumenti cittadini, con lo spettacolo di gala — il « Guglielmo Teli » diretto dal Maestro Marinuzzi — al Teatro delle Muse, con il concerto bandistico sul Piazzale della Capitaneria e i fuochi artificiali in mare, Ancona tutta ha vegliato festosamente. Poi il sonno è sceso sulle case finalmente, e il simulacro dell'Imperatore è rimasto solo a torreggiare nella luce bianca dei riflettori. Marziano Bernardi