La Consulta di Lione

La Consulta di Lione La Consulta di Lione La brillante vittoria di Marengo' (14 giugno 1800), risollevando le fortune della Francia, veniva anche a ridestare le speranze dei patriotti italiani; ma essa serviva insieme a moderarne le pretese, ad ammonire che l'indipendenza e l'unità d'Italia, concepite come una fulgida méta per il potenziamento delle forze nazionali e per l'equilibrio dell'Europa, non potevano essere il clono di contingenze esterne, per quanto fortunate, ma potevano soltanto nascere da una lenta e interna maturazione. Nonostante la vittoria, la guerra tra la Francia e l'Austria era stata ripresa, Malta era caduta nel dominio inglese, e, anche dopo il ristabilimento dei Governi provvisori, nella Cisalpina, in Piemonte, in Genova, nuovi e ingenti sacrifici si richiedevano alla Francia per garantire il suo predominio politico. In realtà, il tenace sforzo militare francese, sostenuto dalle fortune napoleoniche, era coronato, dopo nuove sanguinose battaglie, da successo : la pace con l'Austria era raggiunta a Lunéville (9 febbraio 1801), con un ritorno alle condizioni di Campoformio, salvo qualche lieve miglioramento strategico a favore della Francia sulle frontiere del Reno e dell'Adige ; e quindi si stringevano gli accordi di Firenze col Regno di Napoli (26 marzo 1801) e di Aranjuez con la Spagna (21. marzo 1801). Ma anche questi accordi, che garantivano ormai la pace con la maggior parte degli Stati europei, salvo l'Inghilterra, erano sempre fondati sul presupposto di una effettiva supremazia della Francia, e pertanto non costituivano che un armistizio continentale. Le speranze degli Italiani, dopo Marengo, erano state riassunte nell'inno di gioia di Vincenzo Monti; ina esse vacillavano nelle più grandi incertezze. Anche il memoriale dei patriotti napoletani, redatto dal Paribelli poche settimane dopo la vittoria di Marengo, e consegnato al Primo Console, nell'autunno del 1800, se tornava ad insistere sulla convenienza politica, per la pace di Europa, « di riunire tutta l'Italia sotto un solo governo, analogo a quello della Francia, abbastanza potente da essere in grado di garantire con le sue proprie forze la sua indipendenza e la sua felicità, e da servire di baluardo a tutti gli altri popoli repubblicani, che lo circondano, contro il furore e l'ambizione della loro implacabile nemica, la casa d'Austria, la quale, mercè questa combinazione politica, sarebbe confinata di là dalle Alpi italiane, termine che la natura stessa sembra aver segnato al suo dominio», tuttavia esso non si faceva illusione al cuna, e prevedeva che, per allora almeno, non si sarebbe potuto pensare seriamente alla libertà delle altre parti d'Italia. Oramai, il Primo Console, rag. giunta la pace vittoriosa con la maggior parte dei suoi avversari, rivolgeva tutta la sua attenzione al consolidamento interno della Francia e alla intensificazione della lotta contro l'Inghilterra. Il problema italia no diventava un'altra volta d'ordine secondario; anzi una sua soluzione in senso conservatore poteva giova re ai propositi, ancora fluttuanti di Napoleone. Mentre i democratici più accesi venivano lasciati da parte, il Primo Console chiedeva i suggerimenti degli spiriti più moderati : Melzi, Aldini, Marescalchi. Francesco Melzi, chiamato da Buonaparte per dare consigli sulla soluzione del problema italiano, giungeva a Parigi, dopo un lungo viaggio, il 26 marzo 1801, quando, nonostante la pace di Lunéville, per le pressioni della Russia e della Spagna, desiderose di favorire le case regnanti dei Borboni di Parma e dei Savoia, spogliate dei loro domimi, restava ancora incerto l'assetto da darsi alla penisola. Ma il Melzi, mente posata e tuttavia pe hetrante, se anche non si faceva illusione alcuna sulla realizzabilità dell'ideale unitario, che era nell'ani mo di tutti gli Italiani amanti della patria, non era uomo da nascondere quella profonda convinzione, divenir ta generale, dopo le prove degli ulti mi anni, per cui, nell'interesse della pace, si doveva escludere la resurrezione di una Repubblica cisalpina, sotto dipendenza francese, che avrebbe costituito ancora, per la sua inferiorità, un oggetto di cupidigie e di discordie. Anche limitata a una parte dell'Italia settentrionale e centra le, la nuova costruzione politica, per il Melzi, doveva generare uno Stato indipendente, capace di servire da bilancia tra la Francia e l'Impero di Austria; e questo Stato indipendeiv te non poteva essere che un Regno organizzato nei suoi limiti naturali; tra le Alpi occidentali e l'Adriatico, o almeno fino all'Adige, sotto la signoria della Casa di Savoia. La proposta non poteva piacere al Primo Console, che, tiell'udirla, si oscurò in viso, e dichiarò che la Fran eia non avrebbe potuto fare a meno di mantenere, nel suo proprio interesse, la preponderanza sull'Italia Ma essa non restò senza conseguenze; poiché, se anche la notizia dell'assassinio dell'imperatore Paolo di Russia, esonerando Buonaparte da un vincolo di riguardo verso i Sa voia, gli aperse la strada a rompere ogni ritegno e a decidere l'immediata annessione del Piemonte alla Francia, lo indusse tuttavia a non pregiudicare nulla per l'assetto futuro della rimanente parte d'Italia, e a convocare una consulta dei principali rappresentanti delle provincie italiane, per affidare ad essi, ilmeno teoricamente, una decisione sui loro futuri destini. L'idea nacque durante ì colloqui tra il Primo Console e il Melzi, e fu col'pfLitoddpccpgsOCGbtoOscdrncgarmfleacrqtnfnpdaapdsvnfdslttnalppcdpPfsenlqnnddgnsrtulsazccgmvsPcrnncsCsgdmvsdspmnqnltRfRsIurazgpcnmela e o o i u confermata nelle consultazioni coll'Aldini e col Marescalchi. Fu decisa pertanto, nell'estate del 1801, per la fine dell'anno, la convocazione in Lione di una assemblea di delegati italiani, scelti nei comizi convocati in ogni dipartimento, con l'incarico di deliberare sulla forma e sulle regole da darsi al nuovo Stato. Compiute le elezioni, muovevano pertanto ai passi alpini della Francia, quasi nel cuore dell'inverno, circa 454 delegati, tra cui erano i nomi più cospicui della nuova Italia risorgente, tra la Sesia e il Rubicone : Visconti, Castiglioni, Montecuccoli, Opizzoni, Rangoni, Melzi, Paradisi, Caprara, Serbelloni, Aldovrandi, Giovio, Pallavicini, Moscati, Gambara, Lechi, Borromeo, Triulzi, Fantoni, Belgioioso, Mangili, Cagnola, Oriani, Codronchi, Bellisomi, Dolfin. Era la prima volta, dopo lunghi secoli, che si raccoglieva una cospicua assemblea politica di Italiani, per deliberare sulle sorti di un vasto territorio e di una notevole popolazione, tra cui erano città importanti, come Milano, Bologna, Novara, Bergamo, Brescia, Modena, Ravenna, ed altre numerose. Le riunioni si iniziarono, nella città francese, fin dalla metà di dicembre, sotto la larvata influenza di Talleyrand, e i lavori delle varie Commissioni furono rivolti all'esame della nuova costituzione, il cui progetto era stato redatto a Parigi. Ma, nell'assenza di Buonaparte, questi lavori procedevano con lentezza e tra incertezze non lievi. L'arrivo di Buonaparte, l'u gennaio 1802, rianimò l'entusiasmo e la fiducia dei deputati. Ma quando, nella Commissione principale, composta di trenta membri, si passò alla designazione dei nomi di coloro che avrebbero dovuto essere presentati alla scelta del Primo Console, per co prire le principali cariche pubbliche della nuova Repubblica, si impegnò subito la battaglia che si era già più volte accennata nella prima Cisalpina, e che si era poi nettamente affermata nelle richieste dei patriotti durante il periodo della reazione austro-russa e nella pr-eparazione del l'assemblea: la battaglia per l'effettiva autonomia del nuovo Stato. Tutti i voti per la presidenza designarono il nome del Melzi, a cui fu posto accanto, per necessità elettorali, quel lo dell'Aldini. • Questa affermazione non poteva piacere al Dittatore, che, noi lo sappiamo, per necessità politiche indeclinabili, aveva ancora posto a base del nuovo Stato il principio della preponderanza francese. Talleyrand, Petiet, Marescalchi si affrettarono a far conoscere che, per la sicura esi stenza del nuovo Stato verso l'estero e per il consolidamento interno, era necessaria una presidenza autorevo le, la quale non poteva essere chi quella di Napoleone. Le resistenze, negli ultimi giorni di quei dibattiti, non furono lievi : il Botta, assente dalla Consulta, ha torto nell'accusa di servilismo da lui gettata sui delegati. Gli atti della Consulta di Lio ne, che saranno fra breve posti a di sposizione degli studiosi, lo dimostre ranno a chiara luce. Ma l'esito della battaglia non po teva essere diverso. Fu presentato un voto, in cui i delegati chiedevano la presidenza di Napoleone ; ma que sti aveva già dichiarato che avrebbe attribuito la vice presidenza al Melzi, e che tutte le altre cariche pubbliche sarebbero andate ad italiani. Si venne così alla seduta finale, che fu tenuta nel pomeriggio del 26 gennaio, nella grande^ aula della dimessa chiesa del Gesù, dove si solevano tenere le riunioni plenarie. Era stato eretto un palco apposito per il Primo Console, il quale intervenne coi suoi ministri e generali : Talley rand, Petiet, Murat, Chaptal, Cervo ni, e con un brillante seguito di ge nerali e prefetti. Giuseppina, col suo corteggio, era nella tribuna sopra stante. Cessati gli applausi, il Primo Console pronunciò, in italiano, un di scorso, che il Botta accusa di alteri già, ma che rispondeva alla realtà della situazione e conteneva una promessa di meglio. Il discorso raccolse vivi applausi, e ad esso rispose, con sincera ammirazione e con dignitosa deferenza, il Prina. Si passò quindi alla lettura del testo della costituzione, che era stata preparata dalle Commissioni. Era rimasto incerto il titolo da darsi al nuovo Stato, poiché non si voleva quello aborrito della vecchia Cisalpina, e su altre proposte, in attesa della volontà del Dittatore, non era stata presa deliberazione alcuna. Allorché il segretario, che era il Ronchetti, iniziò la lettura, egli si fermò al titolo: «Costituzione della Repubblica... ». Varie voci imperiose si levarono nella sala: «Italiana, Italiana ! ». Il Primo Console fece un cenno di assenso, e si volse sorridendo al Segretario. Questi compì, a voce alta, la formula: «Costituzione della Repubblica Italiana ! ». L'entusiasmo che seguì, nell'aula già elettrizzata, a queste magiche parole, è concordemente attestato, con diversi particolari, dai cronisti, e non è descrivibile, se non pallidamente, dallo storico. I deputati si erano tutti levati in piedi, usciva dai loro petti un grido d'entusiasmo, gli applausi suonavano incessanti. Il Pri mo Console, sorpreso e colpito dal l'impeto di questo entusiasmo, era diventato pallido, e girava gli occhi pensosi. L'applauso si rinnovò più volte In tutti quei cuori generosi, vibrava un sentimento di passione per il nome caro della patria ; sorgeva la spe ranza di un avvenire migliore. Passava nelle loro menti il ricordo del l'antica grandezza, la visione dei limiti sacri segnati dalla natura all'Italia, tra le Alpi e i tre mari; e, nell'entusiasmo della nuova dignità ingBccosoiddpdpinmdsbusgqLvuqcnoneltrrsdnlegmspdemlcDsgcrdancaclnvtcpdtcsaqtpiqrssLNigcgLndptYidptcBbaLgpddcmf guadagnata, era il rimpianto per tanti fratelli ancora disgiunti e oppressi dalla tirannide. Quando l'applauso si spense, la promessa, contenuti n quel nome, era già divenuta per gli Italiani un impegno. L'italiano Buonaparte, che ben l'intese, ma a cui forse erano troppo note le difficoltà della realizzazione, ne restò sorpreso e turbato. L'entusiasmo si rinnovò, quasi dentico, quando, proclamato Presidente della Repubblica italiana, Napoleone chiamò a sé il Vice presidente Melzi, lo abbracciò e lo baciò per due volte. Dopo tanti sacrifici, dopo tante ngiustizie, per la prima volta il nome dell'Italia, rimasto fino allora a designare un popolo disperso e diviso, suonava, in una grande assemblea politica, ricco di promesse per una non lontana resurrezione. Arrigo Solmi. dbEctbaislqnmdqdUotg