Morte della palude lungo l'Adriatico leccese

Morte della palude lungo l'Adriatico leccese LA PUGLIA ALI/ ORDINE DEL GIORNO Morte della palude lungo l'Adriatico leccese (Dal nostro inviato) FRI GOLE, settembre. • Su questi ss chilometri di litoranea adriatica, quasi alle porte della città protetta dal Vescovo Oronzo, per una profondità di 20 mila ettari, la morte era signora. Alla fatica tremenda e naturale del terreno roccioso, frantumato in superficie, per cui il contadino doveva palmo per palmo cercare tra le pietre la- sua terra, alla orribile condanna del sole che, ricacciate nella profondità, le acque, aveva fatta quella poca terra arida e povera, si aggiunsero le bassure pantanose, dove le acque, compresse dalle pietre tombali delle roccie sulle colline, sfociavano, filtravano, disordinatamente, polverizzavano le roccie, impastavano la terra,, cambiavano in melma la pianura, colavano nei fossati impermeabili e vi restavano. E dal sole e dalla bellezza nascevano le arie pestilenziali. Tutto si disfaceva, si inquinava, la terra e gli nomini, le cose e gli animali. Il volto nuovo Oggi che io discendo dalla lucente bianchezza di Lecce, verso il mare, alia ricognizione della terra in via di salvamento, sento gonfiarmi il cuore d'orgoglio. Il latifondo, questo resto di attrezzatura feudale, in cui il senso della proprietà è quasi frantumato; il terreno lasciato inasprire selvaggiamente, senza coltivazioni; le roccie affioranti che rendevano difficile ogni semina: le paludi litoranee dove l'acqua piovana ristagnava e dove sboccavaìio da vie lontane le sorgenti, dove filtravano le acque freatiche; le scarse abitazioni; la malaria fulminante; la mancanza di acqua- pura; ecco le caratteristiche di questa sona appena pochi anni fa. Oggi, quando arrivo al centro agricolo di Frigole già il volto nuovo della terra appare meraviglioso. Tutta cintata da una muraglia bianca e pulita, questa città iti miniatura, con le sue strade larghe che sfociano nella pianura, colle sue case nuove o riattate, con le sue cantine, i suoi forni, con gli ambulatori, col bagno pubblico, con i magazzini, con la sua pie cola chiesa, colla luce, con l'acqua, i pozzi, le stalle e il caseificio, presiede alla vita di una tenuta di 2S87 ettari. Lecce è lontana appena undici chilo metri. A tutta prima le difficoltà enormi spaventarono i bonificatori, poi di un tratto tutto fu risolto e in un anno e anche meno di vita, ecco che già si avvia verso il più fortunato avvenire, Il lavoro che ferve attorno a questo centro aziendale dell'Opera Nazionale Combattenti, è immenso. Tutto è in via di trasformazione, la città agricola ha l'aspetto d'un enorme cantiere. Ecco il paesaggio delle seminatrici e delle aratrici, i vomeri, le trattrici, le macchine pronte alla trebbia, quelle in riparazione, selva infinita d'attrezzi atti a rovesciare la terra, i depositi di petrolio e di benzina-, le fascie dei cingoli pronte a recingere le ruote perchè non s'affondino nella terra troppo tenera. Al di là del recinto tutto l'aspetto della campagna che si stende fino al mare rivela il sommovimento latente. Mano a mano tutta l'opera di bonifica appare attraverso i canali scavati, le colmate compiute, fino agli specchi d'acqua delle lagune, dove non si poteva assolutamente asciugare il terreno. Vedo i segni della bonifica antecedente, quella tentata con mezzi insufficienti e che non fu resa possibile forse perchè la fede non era ancora altissima. E attraverso un viale d'olivi superbi, sulla strada poderale in costruzione,resto di un disgraziato tentativo dell'antico proprietario e del suo successore immediato, l'Istituto dei Fondi Rustici, da cui l'Opera Combattenti s'ebbe l'eredità ponderosa, sbocco sulla terra magnifica tra filari di granoturco cosjl alti da pensare a una irrigazione. E invece dal 3 aprile non una goccia di pioggia è caduta. Un trattore a cingoli squassa il terréno e lo rovescia umido e scuro al sole. Dall'alto della strada, vedo così a grandi tratti le tre zone di bonifica: la prima che confina con l'Agro di Otranto e va fino al Faro di S. Cataldo, la seconda che da questo va a Torre Chianca, la terza che arriva fino a Torre Specchiolla. Qua e là sono sparsi i vecchi trulli, costruzioni trogloditiche, fatte con la pietra tolta ai campi. Laghi e colmate I laghi e le colmate appaiono sul paesaggio netto che i canali e gli allaccianti in una rete inestricabile, illuminano di striscie d'acqua marezzata dal vento. Mano a mano che la bonifica procede, piombano i contadini sul terreno che emerge e lo seminano. A granoturco prima, perchè la sua qualità di pianta soffocante seppellisce la malattia nella profondità della terra. Le uniche cose vecchie, sulle piccole alture, sono costituite dagli oliceli, du qualche frutteto e dai rari vigneti dati ai contadini a miglioria. Tutto il resto è nuovo, e come se fosse stato creato ora e tutto ha la meraviglia della giovinezza. Anche la vecchia palude di Gianmatteo, la prima colmala, con sassi, con sabbia, con terra, rabbiosamente, come quando si deve vincere lu prima difficoltà insuperabile. Ora il canale allargato e rivestilo di «lattoni in cemento, specchia dalle sue acque il volto nuovo dei medicai. Sei chilometri più in là, passa l'acquedotto di 8. Cataldo, /„ spiaggia di Lecce e ancora più giù questo si raccorda col nuovo acquedotto che porte sddAgmtfcoztnmdcfilpsvmdmvnrmclrmcnleztgcosecdlburAsrlsgcclctsli s rà l'acqua alla Borgata Grappa, Oltre, la vecchia palude ancora vive, coi trulli spettrali, simili a marabutti desertici. Traverso il borgo anch'esso in trasformazione. I vecchi alloggi desili operai cambiano faccia. Si fabbricano anche qui gli ovili, le stalle, le nuove case e le arcate dell'acquedotto in costruzione sembrano già placare la se te inestinguibile della terra. A mangio la palude Longa che segue, era ancora palude. Dopo tre mesi, quindici ettari sono già coltivati. E co- sì fino alla palude di Gensi, fino all'Idume. I musi dello pecore cercano fili d'erba tra i quadrati neri delle arature. Attorno al canale centrale che convoglia tutte le acque alte e basse e le immette nel mare, la terra è grassa, pattumosa, difficile ad arare. Poiché la forza delle radici nelle piante malsane che la ricoprono e tale che se non si ottiene il rovesciamento completo delle zolle, la bonifica diventa inutile. Tanto che è stato costruito a Sant'Agostino di Ferrara un aratro speciale, simile a quello adoperato per il pantano di Varcaturo nella bonifica napoletana. Fuori della palude la terra ricomincia rocciosa. Fino all'Idume, alla sua foce, al limile della palude Fetida che i filari dei canneti proteggono dalla violenza dei venti marini. Anche qui, al bacino dcll'Idume, la parte più paludosa c impossibile a prosciugarsi per canalizzazione o per idrovore, è stata trasformata in lago e messa in comunicazione col mare. E la duna è stata imbrigliata con siepi morte. Fino allo scorso anno qui le zanzare volavano a nuvole basse, anche di giorno; oggi la vicinanza del mare e l'opera continua dell'uomo le ha definitivamente sepolte. Lungo l'acquedotto S'è cominciato dalla parte più difficile; si finirà tra poco per attaccare la desolazione di questa terra nella parte più alta fino agli oliueti. E anche qui già la bassa ramaglia è divelta e il terreno spazzato a fuoco. Tutta questa zona alta arde ora sotto l'impulso dei venti e tra le fiamme le erbe secche e i rami spinosi crepitano con un furo- re così selvaggio da temere che da un momento all'altro il fuoco s'avventi anche sii noi. Il vecchio bovaro che da quarant'anni vive in questo inferno, porta lontano le mandrie che al calore levano il muso e hanno brividi d'inquietudine. Costeggio ora l'acquedotto fino alla zona rocciosa dove i pascoli sono più tranquilli. Nei vecchi oliveti dati a miglioria, le piante nuove già innestate, crescono al ripopolamento. Ed eccomi a Gianmatteo, al vecchio oleificio e alla trebbia che macera instancabilmente il nuovo raccolto. Gelsi e ulivi a perdita d'occhio e la vecchia casa dei coloni; poi per la nuova strada al borgo Piave, uncora in vista dell'Adriatico sonoro. Sci famiglie nell'abitato, sette nelle case sparse, una in una vecchia masseria della Cerva Lura. Questi sono i cittadini del borgo. Altri ne verranno e già i capifamiglia sono giunti a far conoscenza della terra che dovranno lavorare. Terra dove la falda freatica è cosi prossima alla superficie che i pioppi vi crescono rigogliosi e svettano già al vento. Di qui fino alle parutoic della laguna di Acquatina, traverso un'altra piccola palude già colmata, sorpasso il collettore generale e giungo fino all'idrovora, una vecchia idrovora che ancora va a caldaia ma che sarà presto trasformata elettricamente. Una cavalla brada, sotto il sole che spacca sembra impazzita tanto scalpita e sgroppa e scarta. Lancio un saluto a Torre Venere, l'ultima Torre della bonifica che s'illumina con l'ultimo sole e via per la strada poderale rientro ìlei recinto di Frigole, come al tempo dei tempi, nel-, la città munita e difesa. Una casa colonica in costruzione at-i tira la mia- attenzione: c'è il solo trac-i ciato sulla terra, ma il direttore della \ bonifica me la costruisce con la ]anta-\ sia in pochi secondi. Qui la cucina e la stalla e la stanza da letto del pianterreno e soi>ra oltre i muri ideali le altre due stanze da letto e il fienile. — Se tra quaranta giorni ripassa, la potrà trovare forse anche abitata — mi dice con un sorriso ampio. Come nelle favole, tutto in una notte sola. Entro il recinto mi incontro con un uomo stranissimo. A vederlo così sembra uguale a tanti, ma a scoprirgli un tubo di vetro in mano con una borsa di pelle in fondo, finisci per interessartene. Specie poi quando sai che è un famoso cacciatore di zanzare. Se le succhia col tubo, le imprigiona nella borsa e le porta al dottore che le mette al microscopio e ci studia. Non è il suo unico mestiere — che sarebbe troppo bello — è anche infermiere e distributore di chinino. Questo me lo rim}>iccalisce nel concetto, tna quando lo guardo all'opera, distinguere le .anofele dalle csanofclc, scoprire i maschi e le femmine — le femmine che sono le pericolose — un rispetto] nuovo mi prende per lui, un rispetto dcl\ suo coraggio che è forse più grande di quello dei cacciatori di leoni. Ora posso dall'alto del recinto merlato come quello di una fortezza vedere e riepilogare tutta questa formidabile opera. La bonifica coi suoi 863 mila metri cubi di colmata, i 30 ponti e f^nticclli in cemento, i SP chilometri a. strade nuove, le case costruite, i 57 ettari dei bacini a marea, i H chilometri dell'elct- . e, le opere future: la strada che per. trodotto, i 10 chilometri di canali e V SO chilometri di acquedotto per cui l'acqua dal lontanissimo Sele arriverà fino a S. Cataldo. 23 chilometri andrà da S. Cataldo a ! Torre Specchiolla, la foce armata «Ha1 lai/una- dell'Acquatina, i nuovi bacini al marca e gli altri ì,10 mila metri cubi'di colmate, i 22 ponticelli eie chilometri del nuovo acquedotto. E mail mano dalla bonifica, irreali quasi nell'ombra che sale, i terreni nuovi nati da questa lotta formidabile dell'uomo con la natura: 123 ettari di vigneto; 522 ettari di oliveti; 87 ettari di ] bosco; gli orti e i seminativi per CJ6',ettari. I 160 ettari dissodati e giù il ter-, rcno ancora in travaglio ma che pre-lsto sarà costretto a fruttare. Nelle case lontane appena distingui lim «riu, tnanhi* ,,in rf„^„„„„ 7„ i bili nella foschia, già fo, se doimono <cjfamiglie vecchie e le nuove 1J, ginn te in questi giorni. Le altre 18 forse sono già in marcia dal fondo di questa terra di Puglia, pronte al richiamo. Dietro a me gli uomini della fatica superba cantano una canzone tutta trilli e volate, una canzone che sembra nuova come la loro anima nuova. Alberto Simeoni Vista della testata nord-ovest con colmata della grande Laguna Acquatina Un tratto dell'acquedotto S. Cataldo

Persone citate: Alberto Simeoni, Cerva Lura, Del Giorno, Longa, Torre Chianca, Torre Specchiolla, Torre Venere, Vescovo Oronzo

Luoghi citati: Ferrara, Lecce, Otranto, Puglia