Nello vecchia terra di Salento di Alfio Russo

Nello vecchia terra di Salento Nello vecchia terra di Salento (DAI NOSTRI INVIATI) Lecce, 7 notte. La terra salentina, antica e saggia, terra di poeti e di soldati dalla quale nacque il cantore del valore « dei forti romani alti come il cielo », Ennio, l'Omero italico, sobria e tenace, ardente e volitiva, aprì questa mattina tutto il suo cuore esprimendo la sua fede e la sua speranza. Adunata contadina L'annuncio dell'arrivo del Duce, aveva suscitato inenarrabile commozione e mentre giungeva l'eco formidabile delle manifestazioni baresi, qui l'attesa e l'entusiasmo si accrescevano smisuratamente. Il Salente attendeva da tempo quest'ora, la sua ora, e però si preparava con tutto l'ardore all'accoglienza. Tutti i paesi e i paesini dove sarebbe passato il treno presidenziale si erano adornati di bandiere, mentre la folla abbandonando le case, s'avviava verso il capoluogo, e Lecce s'avvolgeva tutta nel più pittoresco e smagliante manto di drappi, di arazzi e di bandiere, fin sulle cime dei suoi bei campanili. Nelle piazze e nelle strade fin dall'alba bivaccavano folle di contadini venuti dagli estremi confini della provincia; s'aggiungevano ad esse le altre via via sopraggiungenti con treni autocarri biciclette; infine sulle vìe si rovesciava la gente cittadina gioiosa e rumorosa e la innumere massa cominciava quindi a ordinarsi in cortei per raggiungere ì posti di concentramento. Di tanto in tanto legioni di Giovani Fascisti s'aprivano la strada e facevano argine alla folla mareggiante. Il sole s'alzava su questo magnifico scenario dandogli i più bei colori; i vessilli issati in cima alle case trepidavano sotto il vento lieve e avvampavano nella luce mattutina. Gremite le strade e le piazze, la folla dava l'assalto ai balconi, alle terrazze, ai poggioli e dava la scalata perfino i tetti. Era tutto il popolo salentino ansioso di vedere il Duce, di aprirGli il suo cuore e di mostrarGli la sua fede. I raggruppamenti dei militi e quelli dèi Giovani Fasci sti, costituivano due quadri fra i più belli del grandioso raduno e pitto resca e commovente insieme era la partecipazione dei giovanissimi e delle donne popolane, le quali reca vano per mano e in braccio i loro fi glioletti; poderosa appariva l'adu nata contadina. Le colonne campagnole s'erano riversate in città all'alba, avevano in grande parte compiuta la strada a piedi. Nella notte la vasta campagna serena era stata percorsa da canti, gioiosi e illuminata da fiaccole. L'ammassamento dunque era dei più grandiosi e impetuosi e si dilungava dalla stazione fino alle vìe < alle piazze del centro; le vìe, insom ma, parevano selciate di teste urnane e perfino gli spalti dell'antico castello guerriero erano ricoperti di gente clamorosa. Intanto, mentre ferveva l'attesa, s'adunavano alla stazione le autorità fra te quali il Segretario del Partito, ministri e sottosegretari, deputati, segretari federali e podestà. Reparti armati facevano corona al Palazzo ferroviario e alle linee per rendere gli onori al Duce al Suo arrivo. L'at tesa bruciava: giungeva di lontano il clamore popolare, l'eco dei canti; dagli ottoni lucenti delle fanfare sgorgavano torrenti di note squillanti; incontro al Duce, ancora lontano, andava l'anelito della folla, ma l'ora era ormai vicina. All'annunzio dell'arrivo auspicato, le campane diedero il primo saluto mentre dalla folla prorompevano scrosci impetuosi di applausi. Il Duce discese sveltamente dal treno mentre i reparti armati Gli rendevano gli onori e immediatamente, sempre affettuoso e sorridente, apparve al vastissimo raduno, diritto sulla Sua automobile scoperta. Si levò irresistibile la prima ovazione le acclamazioni inondavano tutta la'città, s'espandevano fino alle campagne. La visita all'Ospedale Sanatoriale FI Duce, passa trionfante tra la folla in gioioso tumulto, accoglie l'impeto ardente, la devozione, il giuramento del popolo. Ammira lo spettacoloso raduno, sorride ai bimbi offertiGli dalle mamme sulle braccia, e come padre amoroso di questi bimbi, di tutti i bimbi d'Italia, si reca dopo la rivista popolare, a inaugurare la nuova Casa del Balilla, superba costruzione di stile fascista. La sagoma di questa Casa è arditissima e, come concepita genialmente, ben s'innesta nello stile della città, barocco in gran parte e spesso assai squisito per linee e nel colore. Acclamato lungamente dai bimbi, Mussolini visita Za loro casa, tutto osservando e a tutto interessandosi, alla biblioteca, alla sala di convegno, alla palestra, ai vari uffici; e da questo luogo di giovi¬ nezza sana e gagliarda passa a visitare altre opere non meno di questa degne del tempo fascista e dell'umanità del Fascismo. Lecce realizza quest'anno due imprese di grande importanza, l'Ospedale sanatoriale e il Dispensario d'igiene sociale, mostrando di comprendere compiutamente i comandamenti mussoliniani dì assistenza ai lavoratori. Il grande ospedale è stato costruito in meno di due anni e sono stati spesi oltre dieci milioni di lire. La costruzione sorge su cinque ettari di terreno compresovi il parco, è di buona linea, a tre piani, completati dal semiinterrato e dal piano sopraelevato. Nei tre piani, terreno, primo e secondo, sono stati sistemati i locali per gli ammalati, nel semiinterrato trovano posto i vari servizi, nella sopraelevazione sono i letti dei bambini. Il Duce visita attentamente la bella e nobile istituzione, si sofferma in ogni reparto, s'interessa a tutto quanto interessa la vita dei sofferenti. La Sua profonda umanità, il Suo fermo amore per il popolo, s-i- rivelano dalle Sue stesse domande; Egli è il padre e il fratello di tutti gli umili. Dall'ospedale sanatoriale, il Duce passa al Dispensario d'igiene sociale. Qui, in Lecce, ce n'era già uno, ma in relazione allo sviluppo della lotta antitubercolare e di tutte le altre provvidenze per la salute del popolo si è ritenuto necessario, da parte del Consorzio provinciale, di costruirne uno nuovo e più ampio. Mussolini ne visita tutti gl'impianti e s'informa minutamente di tutti i servizi. La piccola Firenze pugliese, Lecce barocca, rivela ora al Duce alcune sue cose d'arte: Santa Croce, la bella basilica, fiore del barocco leccese, infine degnamente restaurata. Demolito da Carlo V, il tempio nel XVI secolo fu cominciato a riedificare dai frati celestini e i lavori durarono 150 anni: ma la rosea pietra leccese, docile allo scalpello, mal resiste al tempo e i secoli corrodevano i fantastici intagli, le colonne storiate, mutilavano tristemente i rosoni e le balconate; Santa Croce, insomma, perdeva le sue belle linee e forme; ma i maestri scalpellini leccesi, figli non indegni dello Zingarello e del Boffelli, sì misero all'opera e con arte paziente e intelligente rifecero il volto della basilica, la quale ritorna al suo antico splendore, magnifica e maestosa. Di Lecce barocca, questa basilica è il più bell'ornamento: ma altre opere di alto pregio appaiono al Duce durante la visita alla città. Ecco il Duomo medievale con le sue tortili colonne, i limpidi campanili del Ro sario, dei teatini, dei benedettini, quello elegantissimo di San Giovanni e del Carmine, il poderoso mastio del Castello e la statua di Santo Oronzo sulla Colonna Antica; ma Lecce romana non si disperde fra il 200 e 700, anzi si distingue nettamente per la via Appia e per la Troiana e per l'anfiteatro e per altri segni e orme inconfondibili e sopra tutto si distìngue per il volto veramente romano della bella gente sa lentina, ardita d'ogni impresa. Mentre il Duce vis-itava le opere, la- folla accorreva nella vasta piazza del Palazzo delle Poste, cintata in parte dalle muraglie dell'antico castello guerriero, tappezzate curiosamente dal tappeto amaranto delle buganville, arrampicantìsi fino agli spalti, e seguite tutt'ìntorno da filari di oleandri dall'amarognolo profumo. Qui Mussolini rivolgerà più tardi la parola al popolo: questo è il luogo del giuramento e del commiato. L'alta parola La vasta piazza è presa d'assalto in brevi minuti e smisuratamente colmata. La folla si distende per le vie adiacenti, sconfina in altre piazze dove sono stati collocati numerosi altoparlanti. L'attesa dura molto tempo fra canti e suoni, fra appelli e invocazioni al Duce il quale, annunziato da gioiosi clamori, fa il Suo ingresso nella grande piazza accolto da formidabili ovazioni. Quando Egli appare dal balcone, mille e mille mani si protendono, mille e mille voci L'acclamano, Lo benedicono. Al comando di Starace — « Saluto al Duce! » — scoppia un urlo possente, smisurato, interminabile : « A noi! ». Il Duce risponde al saluto, sorride lietamente e poi, quando finalmente la folla sì acquieta, parla. Il Duce, dopo aver manifestato la Sua profonda soddisfazione per questa visita alla terra e alle genti di Puglia fa un profondo elogio della fecondità dei pugliesi che dà loro il primato più importante ai popoli: il primato della vita. Ricorda che prima della Rivoluzione Fascista, la questione meridionale ricorreva soltanto nei pro¬ grammi elettorali in cui vecchie clientele politiche cercavano di conquistare delle posizioni quasi sempre per speculazioni d'ordine personale. Oggi la questione meridionale non è più all'ordine del giorno, perchè è passata all'ordine dell'azione e tutta la Puglia attesta questo profondo rinnovamento. Fa quindi un elogio particolare di Lecce che dimostrò il suo civismo e la sua sensibilità nazionale quando furono create, nella vecchia terra di Salento, le due Provincie di Brindisi e di Taranto. Dopo un accenno all'eroismo delle Fanterie pugliesi il Duce conclude affermando che la nuova Italia Fascista è in cammino e che arriverà alle sue mòte. Risuonano quasi a ogni parola applausi trionfali e alla fine la moltitudine vicina e lontana si disfrena in manifestazioni impetuose, interminabili. Le Sue parole sono passate di cuore in cuore; stasera e sempre in tutte le case saranno ripetute. Sono il viatico di questo popolo, il compenso alla sua fatica, la promessa del suo avvenire, la certezza della vittoria. Quante volte ancora la folla invoca il Ducei quante volte Gli ridice il suo amore nell'ora del commiato'!, quante volte Gli domanda la promessa del ritorno? Oggi, come ieri, come domani, co me sempre, il popolo si stringe viep più fortemente intorno al Capo; il Capo ne sente il palpito e in fondo la volontà. Questa parte leccese, del grande polittico mussolìniano in Pu glia, è fra le più luminose; in essa vi sono raffigurati i volti dei contadini di questa gente gagliarda e feconda; il suo incontro con Mussolini è stato dei più profondi e affettuosi. Resterà scolpito nelle cose e negli uomini, sarà l'inizio di altre imprese, di altre conquiste Alfio Russo