Naumachie lacustri

Naumachie lacustri Naumachie lacustri LAGO DI COMO, settembre. Lunga la strada per Tipperary : sinuosa quella che da Como conduce a Musso. Chi l'ha praticata (e quale automobilista o pedone ignora questa arteria turistica tra le più celebri d'Italia?) sa per esperimento che questa strada « fa venire i gattini ». L/amico Carlo è un asso del volante : nulla lo esalta quanto l'ebbrezza della velocità. Pure, su questa strada che ogni cinquanta passi «fa gomito »,\Carlo non schiaccia l'acceleratore con imperioso piede, sì lo accarezza con la punta della scarpa. Delicatezza toccante, e di cui tengo a esprimergli la mia riconoscenza. Il « passo d'uomo » è in onore di me che sono il peso morto, non già di lui che è un peso attivo. Chi guida la macchina fa corpo con essa, partecipa del suo movimento e della sua direzione, esclude tra la forza di gravità del veicolo e la sua propria, quella molesta asincronia che è la cagione prima dei « gattini ». Ma non tutti i guidatori hanno la delicatezza dell'amico Carlo. Incontriamo parecchie automobili ferme sul margine della strada. I viaggiatori scesi a terra mostrano un interesse vivissimo per il panorama lacustre, il conducente poggiato il gomito al volante fuma una sigaretta con aria annoiata. E' dunque sincero, profondo, imperioso questo interessamento estetico? No, e le facce cadaveriche di costoro, dicono chiaro che le loro vie digerenti sono in tumulto. La libertà di cui fruisce il veicolo privato, non è consentita al veicolo pubblico. Le corriere hanno un loro orario preciso, nè bastano le condizioni stomacali di alcuni viaggiatori a farlo variare. Ecco perchè sulla corriera che fa servizio tra Como e Colico, si ripetono non di rado quegli stessi drammi che turbano le delizie dei viaggi in mare; e mentre il terrestre paccobotto passa sbuffando e giravoltando tra il turchino del lago e il verde dei monti, vediamo i miseri naviganti sporti con mezzo busto fuori del finestrino, che si reggono con la mano la testa ciondolante. « Signora » più di qualunque altra parte dell'Europa, l'Italia varia essa sua signorilità da regione a regione, la modula dal corrusco e dal turrito, al mite e al gentilissimo. Questa campagna lombarda che io vo solcando ora nel pieno del sole, ora nella «sordina» del cielo chiuso, ora nella foschia sconvolta dai temporali estivi, questa campagna è « patrizia » e in ciò che gli uomini vi hanno edificato, e nella « architettura » dei monti, dei piani, delle valli ove brillano le ac que tra soffici vegetazioni, e si aprono i laghi : occhi luminosi della terra. La strada corre quando sul libero rialzo della riva, quando tra i muri di queste ville nobilissime che la scavalcano con ponti fioriti, e scendono al lago con i loro parchi ove il giardino si mischia alla foresta. Cittadine, paesi, villaggi si danno la mano torno torno alle sponde. Ben raro che una desertica frattura rompa la viva catena. Due stili diversi si as sodano in ciascuno di questi « cen tri » : quello turistico con i suoi brillanti rifugi e i « forestieri » vestiti di bianco che oziano al sole, quello terriero con i suoi abituri grigi e Fattività degli autoctoni che si aggrup: pa intorno al porto. Minuscoli questi porti, ma perfetti in sè, riduzioni fedelissime dei fratelli maggiori che si aprono davanti al mare, e in armo nia con questo mare in miniatura sul quale brillano di notte le loro lanter ne verde e rossa. Dal bacino di Co mo che è tutto un alveare di vita civilissima, si passa al livello del ceri trolago ove il « costruito » si fa più rado, e la natura riacquista suoi steri diritti. Fronte a Ossuccio cui vigila un vetusto campanile in forma di macinino per il pepe, l'isola Comacina aspetta che gli « artisti % cui essa è destinata per regale dona «ione, vengano a colonizzarla. Fiden- te in questa aspettazione, la futura Insula Beatorum ripensa ai Misteri che altre volte l'hanno resa famosa. Nel secolo decimosesto, la Comacina era il quadro consacrato di quei sacri mimi, che di poi hanno reso nota la tedesca Oberammergau. Gli attori erano terrazzani del vicino borgo di Sala, e tutti gli anni si riunivano nella chiesa di San Giovanni in questa isola, cui accorrevano spettatori da tutte le parti del lago. Più sopra, e mentre si aprono davanti a me sponde salvatiche del capolago, scopro dentro una insenatura paciosa una grigia flotta di mas. Gli scafi alla fonda celano le armi sotto la tela bigia che copre la tolda. Basta una leggerissima deviazione dell'angolo visuale, a creare in me un umore gulliveriano. Tosto i navigli bambini ingigantiscono e prendono l'aspetto truce di guerreschi e armatissimi vascelli. Ecco il mio animo predisposto alle cruenti naumachie di cui il lago di Como fu lo specchio. Questa in agguato nel suo nido è la flotta della Finanza, vigile sempre a sventare le insidie di chi Avvolto in mezzo a un turbine DI nevi che giù fioccano, A periglioso evento Affretta il suo cammin. La baldanzosa attività di un porto militare, si scopre inaspettatamente al mio sguardo. Per le strade, nelle osterie, sui muretti della darsena si affollano marinai vestiti di bianco e il bavero filettato di giallo. Qualcuno dietro a me dice : « Sono marinai d'acqua dolce ». Questa denominazione poco si affa ai fasti marinari del luogo. Il bianco ferry-boat che dall'elegantissima Menaggio trasbor da le automobili dei turisti all'opposta sponda, avanza schiumando verso la punta di Bellagio. Là ove brìi la un edenico asilo, guatavano altre volte le bombarde del castellano di Musso, pronte a vietare il passo alle navi dei « camicioni rossi». «Questo terribilissimo luogo, dice l'apologeta di Gian Giacomo Medici, ha una sommità di rara amenità per molti arbori di aranzi ed olivi, un bel pala gio che fu già la delizia del Marche sino Stampa, primo favorito del Duca Lodovico il Moro ». Tutte queste cittadine — Bellagio, Menaggio, Chiavenna, Moltrasio, Tremezzo questi siti il cui solo nome basta a evocare quella ineffabile serenità che nasce dalla mancanza di preoccupazioni e dai capitali in banca, erano fortissime rocche, munitissime ca stella, sedi di rapine, di stragi, di morte. In tutti i tempi — nel roma no, nel gotico, nel longobardo et ultra — questo lago fu teatro di guerre terrestri e navali. « Sull'onde di Garda e del Verbano — dice l'auto re agghindatissimo e sgrammaticato del «Falco della Rupe» — galleggiarono intere flotte. Ma fra l'acque che si stendono a specchio degli Insubri monti, quelle su cui il furore belligero si dispiegò più fiero ed ostinato, si furono pur sempre le Lariane. Oltre gli indigeni abitatori, tra cui durarono continue discordie, i Romani, i Longobardi, li Elvezii e le genti Ispane, Galliche ed Alemanne pugnarono navalmente sul lago Comasco : qui si sfidarono da inveterato odio sospinte le fazioni Guelfe e Ghibelline: e come i mari di Panama e del Messico ebbe pure questo lago i suoi filibustieri, e furono questi i Cavargnoni che sbucati dai di- roccioso, sede di questo condottierorupi delle loro montagne lo occupa;rono per alcun tempo, mettendo ogni luogo che assalivano a ferro ed a fuoco ». Mai però la guerra navale divampò con tanta furia e con tantagrandezza, quanto ai tempi di quel Gian Giacomo Medici che la voce popolare soprannominò Medcghino, e che con la forza e soprattutto con l'astuzia si rese padrone del castello di Musso e signoreggiò sulle due sponde del lago. Con lievi pressioni del piede sull'acceleratore, l'amico Carlo mi porta in vista dello sprone che alla gloria del capitano univa la triste fama del pirata. La rocca s'inerpica sul Bregagno, tra il verde dei pini e l'argento degli ulivi. Brilla a mezza costa il marmo a nudo. Solidi garretti doveva avere il signor del luogo, se ogni qualvolta rincasava gli toccava la fatica che oggi tocca a me; ma, uomo galante, le sue donne le alloggiava non quassù, ma nel borgo di Musso che siede quasi a livello del lago. Del castello che fu tra i più potenti d'Italia e il primo che portò casematte e piattaforme per le « artillerie », ben poco rimane. I Grigionij cui per l'accordo stipulato tra il Medici vinto e lo Sforza vittorioso fu concesso di smantellare questa « spina del loro cuore », hanno lavorato con uno zelo che la rabbia ingigantiva. Qualche frammento di muro, la base di una torre di guardia, la chiesuola di Santa Eufemia (intatta questa ma così rimaneggiata che di « suo » non serba se non i muri dell'abside e le due colonnette del pronao) in cui celebrava quel Teodoro Schlegel, abate di Fristenbtirgo, vicario del vescovo di Coirà e acer rBMspvdsvldsnmqsedteAqcsggtpn rimo confutatore della « Schiavitù di Babilonia ». Ma l'opera maggiore del Mcdcghino, i Grigioni non sono riusciti a distruggerla : quel taglio ciclopico che il Medici aveva aperto nel vivo marmo per guardarsi le spalle dagli attacchi della Lega Grisa, «fossa di ardire veramente romano (Giovius dixit) e che direi volontieri in latino hiantem vallcm ». Le mura del castello dichinavano al piano, scavalcavano a ponte la strada Regina, scendevano al lago, si univano ai muraglioni del porto. Sorgevano quivi i cantieri in cui notte e giorno si lavorava a fabbricare navi nuove e a riparare quelle che le colubrine dei ducali avevano messo a mal partito. Delle mura lunate del porto, emergono tuttora due grigi monconi. All'alba del 21 agosto 1531, uscì da questo porto la flotta medicea all'incontro delle navi ducali, che nel pensiero del duca Sforza, dell'ammiraglio Gonzaga, del governatore spagnolo di Como Pedraria e soprattutto di Carlo V, dovevano stroncare per sempre la potenza del Medeghino. In testa galoppava la capitana « opera maravigliosa dell'arte delle fabbricazioni navali ». Pinta di rosso con bande nere, torreggiava sulle altre navi. « Salve, Domine, vigilantes » era il suo motto, e in cima all'albero maestro squillava la sacra « Martinella ». Seguivano scalpitando VIndomabile comandata da Gabriello fratello minore del Medeghino, il Busto di Ferro comandato dal Borsicro, la Salvatrice comandata da Falco di Nesso, il Sant'Ambrogio, lo sciame delle borbote, delle piatte, delle scorribiesse piene di archibugieri, di guastatori, di incendiari che sentivano alle mani un ardentissimo prurito. Le flotte nemiche s'incontrarono tra Bellagio e Cadenabbia, stettero un po' a guardarsi in cagne-1 • e > -i_ ' sco, poi il fuoco fu aperto da una borbota e da due piatte di Gian Giacomo. La battaglia divampò su tutta la linea. I grossi vascelli si schiaffeggiavano a piene bordate. Il grasso tuonare delle bombarde era punteggiato dal picchiettio degli archibugi. Fra il rombo delle artiglierie, lo stormire dei tamburi, l'urlo dei combattenti, le grida dei feriti, squii- lavano alti, metallici, insistenti, i rintocchi della « Martinella ». Una nube densissima squarcia' - da lampi incessanti, avvolgeva le due flotte. Il Tivano non alitava quella mattina (così chiamano il vento di tramontana che dal far del giorno fin presso al meriggio soffia sul lago di Como) pure le acque ribollivano in tempesta. Infine, e quando la maggior parte delle navi ducali erano ridotte allo stato di crivelli, i mussiani al grido «Per la spada di San Michele!» presero all'arrembaggio l'ammiraglia dei comaschi. Cadde il Gonzaga per mano di Gabriello, e sull'albero della capitana vinta fu issata la bandiera di Gian Giacomo Medici, con le sue palle rosse in campo d'oro. -1.1— : n».. Così ebbe termine nell'agosto del 1531 la battaglia navale di Bellagio... Di Bellagio, ove al caldo del nuovo sole gentiluomini in maglietta, gentildonne vestite più di pelle che di stoffa, stanno assaporando quella ineffabile felicità che nasce dalla mancanza di preoccupazioni e dai capitali in banca. Alberto Savinio IlSdl'vindpdatetrdMfpamsamte MUSSO n RUDERI DEL CASTELLO