Un boja più boja d'un boja di Renzo Martinelli

Un boja più boja d'un boja DELITTI E GIUSTIZIA D'ARABIA Un boja più boja d'un boja (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) GEDDA (Heggiaz), agosto. Non sono nato a buona luna. Se /ossi giunto in quest'ameno paese, tra questi colli come suol dirsi aprichi, in mezzo a questa gente così ospitale e pazzarellona, soltanto un paio di settimane fa, avrei potuto godermi, gratis, il ghiotto spettacolo d'una decapitazione. Vedete cosa vuol dire, tante volte, perdere un piroscafo o far tardi a un treno! Ho dovuto contentarmi di ammirare la scena in una brutta serie di fotografie, — Ma qui — dico — i giustiziati vii sembrano due! — Nossignore. Uno solo. E' il boia che ci si è dovuto rifare due volte. Capirà, era nuovo... — Oh, poveretto! Allora, ha fatto fin troppo... he fotografie rappresentano: a) la folla hi attesa; b) l'arrivo del condannato; c) un ufficiale di polizia che gli parla; d) il condannato in ginocchio; e) il condannato con un po' di testa in meno; f)lo stesso senza testa; gì la folla che fa ressa intorno al corpo macellato. — Ma tu che sei arabo, e hai fatto queste fotografie — dico, a uno che non mi pare il caso di nominare — caso ne pensi?... — Io stare marinaio. Vuol dirmi che un marinaio obbligato, come lui, a fare la spola fra Africa e Asia, e non certo su piroscafi da gran turismo, è ormai, un fatto di sensibilità, a prova di bomba. — Dove hai imparato a fare fotografie ? — A Das es Salaam. — E ora in cosa traffichi t — In tutto. — Anche in... passeggeri? Bidè, e mi fa vedere tutti e trentadue i denti. Che bella faccia da caposquadra negriero! II delitto di un Mohamed Si avrebbe torto, però, a credere che la Giustizia araba, di questi posti, sia assolutamente priva di ogni senso pietoso. Qui si vuole, per debito d'imparzialità, dimostrare il contrario. Prendiamo, giacché l'ho sott'occhio, il caso del giustiziato di due settimane fa. Nel trattamento inflitto a lui si ritrova, impeccabilmente, tutto il sistema della procedura locale per crimini d'assassinio. Quest'arabo, dunque, che chiameremo Mohamed per avere più facile il racconto, era un sambuchiere, colpevole d'aver scannato tre suoi compagni di navigazione, nel sonno, al largo di Oedda. Li aveva uccisi, e li aveva lasciati nel fondo del navicello perchè andassero alla deriva. Lui, poi, si era buttato in mare ed aveva raggiunto a nuoto la riva, raccontando a tutti che l'imbarcazione s'era perduta, col resto dell'equipaggio, in seguito a un urto contro uno scoglio. Idiota, d'accordo. Avrebbe potuto procedere, per farla franca, in cento altri modi più furbi. Ma poiché io non son qui per insegnare agli arabi la tecnica del perfetto assassinio, pigliamo il fatto di Gedda com'è successo, e il cervello dell'omicida com'era. D'altronde bisogna dire che se Moliamed fu per quattro quinti scemo, per un quinto fu disgraziato. Su cento imbarcazioni che, per fare un'esperienza, si andassero ad abbandonare in mare, a quattro o cinque miglia dalla costa, dove lui lasciò, appunto, il sambuco coi morti, scommetto che forse una potrebbe venire, per miracolo, a sbàttere a riva nei paraggi della città. Gedda è protetta, come dissi, da una triplice barriera di frangenti che si estendono a semicerchio davanti a tutta la zona abitata come una formidabile fortificazione apprestata dalla Natura. Alla banchina di Gedda noti attraccano che i leggerissimi sambuchi costieri, e le minuscole canòe dei pescatori. Ogni altro legno deve rimanere almeno a un paio di chilometri dalla costa; dove pure riesce a pervenire solo in grazia di un lungo e cau tissimo cammino a zig-zag. Ora — vedete il dito d'Allah! — una bella mattina, sette giorni dopo il ritorno del sedicente naufrago, i soldati di guardia allo sbarcadero di Gedda scorgono, a un tratto, a distanza di due o trecento metri dall'approdo, un sambuco che se ne viene bello bello a riva, aggirando, con rara perizia, gli ostacoli delle scogliere e dei bassofondi di sabbia, senza che appaia a bordo, né a poppa né a prua, la presenza di un uomo. Stupore anche più grande: il sambuco è senza vela, e remi non se ne vedono... Storie, direte. E può darsi, infatti, che molti di questi suggestivi ragguagli da fàvola sieno dovuti alla vecchia vena locale. Ma quel che è certo, è che, una mattina, il sambuco di Mohamed riportò a Gedda i tre morti che il sambuchiere assassino era sicurissimo di avere offerto ai corvi o ai pescicani. Sicurezza, del resto, per nulla assurda. In qualunque altro punto della 'costa, per miglia e centinaia di miglia a nord e a sud, l'imbarcazione fosse andata ad arenarsi, la sorte di quelle salme non poteva esser dubbia. Nessun occhio d'uomo le avrebbe mai potute scoprire, o riconoscere. Dunque, s'arresta Mohamed. Il giudice (ecco che la procedura incomincia) gli domanda: — Ammetti d'avere ucciso questi tre uomini ? Sì — risponde l'imputato — eAllah sa il perchè! In fatto di spiegazioni, qui, si è molto sobrii. I giudici non sono punto curiosi. A loro basta di sapere se il fatto sussiste. In quanto alla molla che lo }ia determinato, è cosa che solo Allah può valutare, e riparare, se del casoin sede degna. Fingere la speranza — Tu, dunque, hai ucciso — ripiglia il Cadi — e sci bene qual'è la pena che il Corano stabilisce per i colpevoli domicidio... ■— Lo so. — Dovresti essere ucciso... L'imputato s'inginocchia, e offre icollo, simbolicamente. Il Cadi lo fa rialzare. — E' presto — yli dice — e, del resto, non è detto che il Re non possa farti la grazia. Il He è generoso. Lo sai ? L'imputato torna ad inchinarsi; e tutti quelli che assistono all'udienza lo imitano per rendere testimonianza onore alla magnanimità sovrana. Il processo è finito. Mohamed vieripreso in mezzo a due soldati cobaionetta in canna e condotto alle prigTtngIpPemmsnfcs e n n ¬ ioni, in attesa che da La Mecca, o da Taif se è estate e il Re è in villeggiaura, venga il si o il no. Rarissimi, i sì. E, ad ugni modo, non mai per delitti come quello clic grava sulla coscienza di Mohamed. n Heggiaz non si fanno grazie che per reati politici; cosa che ognuno-.ia. Però, la finzione della speranza c'è; e tutti, a cominciare dal più direttamente interessato, si contengono come si trattasse d'una cosa vera e posibile. La pietà, attaccata al grossolano chiodo d'una vecchia bugia, non a, naturalmente, che allungare e aumentare lo spasimo del morituro; ma iononpertanto, da tempo immemorabile, questa crudelissima misericordia continua ad accompagnare, con sinistra puerilità, tutte le esecuzioni capitali. Fino all'ultimo, sin quando cioè a lama del boia non gli è arrivata, di sorpresa, sul collo, una voce dolciastra continua a dire al condannato che non bisogna disperare e che, anzi, la grazia è quasi sicura. Spesso, questa remenda commedia, si prolunga per molti e molti venerdì di seguito; sempre in mezzo a tutta una folla che sa, ma che finge — anche con sè medesima — di non sapere. La scena è sempre uguale. Il colpevole arriva, in mezzo alle guardie, ed ha le mani legate dietro il dorso. In mezzo al quadrato, un ufficiale di poizia gli si avvicina, gli batte una ma no sopra una spalla, e gli dice: — Tu sai quello che hai fatto... Tu sai quale sarebbe la pena che ti meriti... Ma tu sai anche che il Re è generoso, e che quasi certamente ti permetterà di vivere ancora... Intanto, preparati a ricevere cinquanta curbasciate... Vedi bene che è poco... L'imputato ringrazia il Re, ringrazia 'ufficiale, e s'acconcia nella posizione necessaria per ricevere le bòtte sulla schiena nuda. Un quarto d'ora, e lo spettacolo è finito. (Ammenocchè non vi sieno altri colpevoli da trattare). La folla se ne va delusa. Nemmeno questa è stata la volta buona. Bisogna aspettare un altro venerdì. Eppoi, chissà!... Infatti, per il caso di Mohamed, per esempio, ne sono passati ben quattro dei venerdì inutili. Al quinto, non ci fu più dubbio. Prima che il condannato arrivasse in piazza, s'era visto gironzolare tra i soldati che tenevano sgombro il quadrilatero un muscolosissimo negro, ignudo sino alla cintola, con in mano uno sciabolane a linea retta, così lungo che pareva un'asta da bandiera. Un alto clamore di voci verso la porta di città, fece intendere che il giustiziando stava per arrivare; e l'uomo con la spada andò a nascondersi dietro un gruppo di curiosi. Quando Mohamed fu in mezzo allo spazio libero, e l'ufficiale incominciò a fargli il solito discorso della speranza, il boia sgattaiolò, pian piano fin dietro le tue spalle, a distanza di due o tre passi, sempre procurando di restare coperto dalla figura d'un soldato. L'ufficiale disse o Mohamed: — Da La Mecca nessuna risposta. Segno buono. Quando il Re dice di no, lo dice subito. Anche per oggi dovrai prenderti solo qualche curbasciata. Mettiti in ginocchio... Mohamed s'inginocchiò, e rimase a testa alta a guardare l'ufficiale. Il boia, che aveva già preso posizione di tiro, faceva gesti inquieti per fare intendere all'ufficiale stesso che, in quel modo, non gli era possibile di colpire. La folla taceva, e Mohamed, non sentendo cadere sul dorso la solita verga, incominciava forse a capire... Allora, fu visto l'ufficiale, che aveva in mano un frustino, descrivere un geroglifico per terra, nella polvere, accanto ai ginocchi del condannato. Mohamed fece così per guardare, e il boia menò il primo fendente. Ho già detto che le fotografie sono due ognuna delle quali con una testa sempre un po' più piccola. espubpmrlatadnsoagdapsvmsdacudncsteDlavdnQrqcqxpapppodcnmacvdrIdaSi vuole un boja per bene Boia d'un boia! Tutta Gedda è ancora indignata verso così bestiale e presuntuosa imperizia; ed ha chiesto, a piena voce, la destituzione del voigarissimo macellaio. Perchè, Gedda, era abituata a vedere ben altro. Essa ha conosciuto dei virtuosi della spada, la cui fama aveva finito per raggiungere i confini di tutto l'Oriente. Figuratevi, mi raccontano, che, lui, per aumentare la pietosa sorpresa, portava via le teste al prossimo in questa maniera — vorrei dire: a volo. Il condannato camminava in mezzo ai soldati, verso il luogo della creduta fustigazione, e il boia, con la lama pronta, gli si metteva dietro, basso basso, carponi. A un tratto, un soldato, con uno spillone, vibrava al prigioniero un colpo secco, profondo, a un palmo giusto sotto il fil della schiena, un po' da una parte. Il giustiziando, com'è agevole immaginare, faceva un sussulto, e buttava, automaticamente, la testa all'indietro... Era in quest'attimo fuggitivo che il boia vibrava il suo colpo prodigioso recidendo netto il collo, come un stelo, Vi par, dunque, possibile che Gedda che Ita conosciuto tali epoche di splendore, possa adattarsi all'idea di un boia il quale, per portar via una testa, ci si deve rifare due volte? Evidentemente no. Questa grossolanità contrasta, del resto, con tutto quello che è l'indirizzo scientifico applicato in Heggiaz alle esecuzioni delle alte opere di giustizia Prendiamo, per esempio, i ladri. Non so se sappiate che per i ladri, in Heggiaz, non c'è prigione. La prigione c'è solo per gli ubriachi, e per i colpevoli di trame politiche. I ladri hanno la ma no e il piede mozzati, mano destra e piede sinistro, e subito son rimandati con Dio. Ora, al tempo di Re Hussein, cioè fino circa al 1927, queste amputa zioni venivano eseguite da un indigeno. Si direbbe: da un piccolo artigiano della chirurgia. Un taglio meticoloso, sì; qualche volta anche geniale, ma laboriosissimo. Spesso, il mutilato moriva o d'infezione, o perchè non aveva avuto la forza di reggere a tanta lunga sofferenza. Dopo il taglio, un tuffo dei moncherini nell'olio bollente, poi nella cenere; e nient'altro. Cose grezze, come vedete. Con Ibn Saud, invece, tutto molto migliorato. Le amputazioni le fanno 1 medici. La Civiltà, è vero, ha i piedi delicati, e sulle sabbie ci cam mina male. Ma qualche passetto, anche in questo forno, lo fa. Renzo Martinelli

Persone citate: Gedda, Ibn Saud, Re Hussein, Salaam, Storie