Esuli

Esuli Esuli Il cane nero gli voleva bene; di Botto il tavolo guardava il suo padrone con gli ocelli fissi, due occhi come certi bottoni di vetro dei vestiti delle donne; lo contemplava, aveva paura di perderlo, era orgoglioso di lui. E' raro che i cani si accorgano della povertà, dello squilibrio, della sconritla, e neppur questo se ne accorgeva; la slessa grazia delle loro pose è un lusso : questo si stendeva come un tappeto di pelle ai piedi del suo padrone; alle volte gli camminava avanti con l'aria dei cavalli impennali o dei cervi sospettosi nel bosco ; o prendeva delle pose da belva e, puntando le zampe davanti, si metteva a l'are delle lunghe scene modulando il suo abbaiare che prendeva dei toni sgarbati e sordi; alle volte, in un angolo della stanza, seduto, agitava le zampe davanti : questo era davvero curioso, gli accadeva certo in uno di quegli slanci improvvisi che hanno i cani, e in genere quando si dimenticavano di ìui, o quando udiva il suo padrone parlare in qualche luogo o lo capiva intento a qualche cosa ; in quell'atto pareva che pregasse; lardi il suo padrone se ne accorgeva: la bestia immaginava certo che il suo padrone lo vedesse attraverso i muri e i mobili, come noi immaginiamo che ci veda Dio quando preghiamo nel segreto delle nostre case. Bastava questo cane per empire di superbia il suo padrone. Questo animale era il suo lusso, il suo amico, il suo schiavo, la sua potenza. Erano amici, certo; ma quando qualcuno si curvava a carezzare la bestia, vibrandole le dita sul cranio, e quella stava attonita, con le zampe aperte come le gambe d'una sedia sgangherata, questo il suo padrone non lo poteva tollerare: 10 chiamava vigliacco, lo trascinava sgarbatamente, pel guinzaglio, e quello si accucciava con le orecchie basse; la notte, quando il paese era al buio, e il mare non si sentiva ne si vedeva, la bestia urlava sotto i colpi dello scudiscio, e la notte era piena di quel latrato. Più nero della notte, nero sulla strada bigia tra gli argini delle tenebre, il cine si contorceva come una nera radice, A casa, solo nella sua cuccia, si passava la lingua sul pelame nero come chi biascichi un ricordo passato. 11 padrone lo chiamava all'improvviso con trasporto; la bestia levava gli occhi come se non lo conoscesse, e come se fosse tornata nel suo mondo di bestia delusa dell'uomo. Oh poverino ! — prorompeva il suo padrone intenerito. Il padrone era il dott. Stump, un filosofo, con la capacità d'odio propria dei filosofi. Era naturalmente un filosofo incompreso, cacciato o fuggito ai suoi paesi del nord e approdato a una spiaggia solitaria italiana. In basso fiottava il mare, sul mare erano le terrazze dei due caffè che avevano veduto in pochi mesi un mondo del tutto inaspettato: persone fuggite chissà di dove, forse dal gelo, dall'isolamento, dal disordine, quasi tutti uomini; le poche donne erano indistinte e sfiorite, nascoste sotto grandi cappelli di paglia da mietitrici, che stavano sempre in disparte con le loro grandi borse di tela ricamata a punto e croce sulle ginocchia. Doveva trattarsi d'un dolore che non si poteva portare in due; difatti tutti erano soli. Ma gli uomini erano turbolenti : predicavano a lungo da un tavolo all'altro; uno diceva qualche cosa a voce bassa, come un'orazione; gli altri ascoltavano guardando il mare; poi parlava un altro, a occhi bassi, come se leggesse quello che diceva nelle venature del marmo del tavolino. La sera si accendeva il lume a gas di petrolio; l'oste non finiva mai di pompare mentre cercava di capire qualcuna di quelle parole in quel linguaggio monotono. Le donne sfiorite stavano da una parte, come sogni passati; gli uomini davanti alle bottiglie del vino coi visi reclinati, o posati sulla palma della mano, o chiusi fra le mani incrociate : facevano pensare all'infanzia nei paesi lontani, alle madri, ai figli, alle donne. Dovevano aver perduto tutto, se avevano perduto anche le donne. Si sentiva sciacquare il mare, si sentivano i passi e le voci nell'abitato, e quel rumore di uccelli appollaiati ; la sera familiare a chi era nato in quel paese riempiva il cuore di gratitudine. Come un maestro che occupa la sua cattedra, il dott. Stump sedeva al suo tavolo. Si metteva a parlare con un tono autoritario, mentre il suo cane stava solenne a guardare davanti a sè. Ma pare che non gli volessero dare ascolto : protestando, l'uno dopo l'altro abbandonavano la terrazza. Strillavano poi da lontano, e il dott. Stump rispondeva levando 11 pugno. L'oste avrebbe voluto sapere che cosa si dicevano; si domandava poi dove avessero lasciate le loro donne e perchè le loro donne li avessero abbandonati; questo gli pareva il segno di un'estrema miseria, e gli bastava ad avere orrore della civiltà. Nella sua mente, e forse non sbagliava, si faceva l'idea che il dott. Stump fosse orgoglioso di avere un compagno e un suddito nel suo cane, che gli altri glielo invidiassero, e che proprio per questo portava lo scudiscio come uno scettro. Era violento il dott. Stump. Per quanto l'oste non capisse nulla di quello che dicevano intorno a lui, tuttavia osservava quando il dott. Stump sedeva al suo tavolo e cominciava a parlare col tono di chi recita un sermone d'una religione esotica; voleva aver ragione, e pareva che battendo il pugno sul tavolo minacciasse. In quel mondo stretto, che doveva passare tutto per la medesima strada, sedersi intorno al medesimo terrazzo, accadevano cose davvero curiose, che si capivano soltanto a barlumi. Alcuni di quegli uomini rimanevano la sera alle loro finestre e di là parlavano ironicamente al dott._ Stump. Una sera il dott. Stump passò senza guardare e andò a sedersi al caffè di fronte, attento però se qualcuno lo seguisse. Soltanto le due donne sfiorite lo seguirono, forse per poter carezzare il cane nero in compenso della loro solidarietà; davano di nascosto al cane qualcosa da mangiare, per propiziarselo, aspettando trepidanti che facesse festa a loro, che le guardasse, che muovesse la coda a fiocco fissandole coi suoi occhi scrii. Il dott. Stump parve irritarsi per questo fatto, tornò al caffè che aveva abbandonato come chi si arrende, fra il silenzio di lutti. In (pici tempo si sentiva la notte come frustava il cane, più del solito.Una di quelle notti, dalle finestre partirono voci che inveivano contro di lui ; lui dalla finestra cominciò a predicare; si vedeva la sua ombra nel rettangolo illuminato: la montagna ingrandiva le sue parile come un megafono, con un lungo stupore di quelle parole incomprensibili. Gli altri alle finestre sghignazzavano. Ma il dott. Stump aveva anche una figlia, oltre che un cane fedeleLa figlia arrivò appunto in quei giorni. 11 dott. Stump era dunque straordinariamente ricco, aveva qualcuno al mondo. 11 cane si sdraiava ai suopiedi orgogliosamente e non tollerava che altri si accostasse. La tìgliola era pallida, con due occhi chiarii capelli nerissimi, i movimenti curiosamente incerti, come se ad ognalto si ricordasse d'una rigorosa educazione e sentisse ancora gli avvertimenti della governante. 11 dottStump era contento di vedere la .terrazza insolitamente affollala e tutti che guardavano sua figlia. Era bella sua figlia, e ne era contento. La luce della lampada a gas di petrolio pareva più sfavillante, sotto l'arco davanti alla bottega c'era molta gente del paese. Faceva quasi caldo, come se l'aria all'improvviso si fosse addolcita. Sotto l'arco i giovani marinai facevano il chiasso e scherzavano dandosi delle botte. La fanciulla notava ogni cosa e la trovava bella pareva che chiudesse ogni cosa entro di sè abbassando le grandi frange delle ciglia. Faceva proprio caldo. E poi la serata era chiara chiara. 11 giorno non finiva mai di tramontare per quanto il sole fosse già scomparso; tutto l'orizzonte del mare era d'argento e l'acqua odorava. Il padrone del caffè si ricordò di chiudere la porta della stalla vicina. I monellsulla spiaggia giocavano gridandoLa fanciulla, volgendosi indietro, notava che dietro la chioma del buganville fiorito stavano degli uomini e dei ragazzi zitti. Ella stava al centro di quella creazione come se avesse portato un suo regno. Quello spettacolo nuovo l'aveva lei nelle mani e nel passo; pareva che se lo traesse dietro. Mentre ella indicava tutte quelle cose a suo padre, le cose sscoprivano; stormivano gli alberi, imare gridava, i ragazzi saltavano al legri. Il dott. Stump era divenuto più cordiale; le povere donne con la borsa di tela a punto e croce chia mavano il cane e gli davano un podi biscotto. Poi si sentiva correre icane qua e là per la spiaggia fra richiami della gente. Il giorno dopo s'accorsero che il mare era caldo, che era già avanti la primavera e che si potevano fare i bagni. Il mare era chiaro, pulito, e si ripuliva come una bestia. Buttava sulla spiaggia le stelle marine, le conchiglie, le matasse gialle e violette delle meduse, e buttava anche i frammenti dei coralli. I coralli piacevano alla figlia del dott. Stump. Ne cercavano tutti, e glieli portavano. Andavano curvi per la spiaggia ; qualcuno chino sull'acqua cercava di afferrarne tra il gioco delle onde, e spesso si sbagliava e non pescava altro che un frammento rosso di mattone. V'erano dei rametti di corallo gracili come ramicelli secchi, o a chicco, o tarlali, lavorati dal mare nei modi più strani. Ma uno, il signor Hamon, che non parlava quasi mai, beveva molto, e quando si ricordava d'essere stato abbandonato dalla moglie si buttava in mare vestito, e lo ripescavano sempre, arrivò con un corallo lungo e grosso come un dito, che formava una specie di tronco nodoso e ramificato, una meraviglia. Molti si misero a cercare con più zelo, altri rimasero a sedere sulla spiaggia, separati l'uno dall'altro, a guardare assorti il mare. Il signor Hamon quel corallo così grande doveva averlo comperato ; era impossibile che l'avesse trovato proprio lui. Piano piano quelli che ancora cercavano si arresero, non cercarono più. Pareva che fosse finita una festa. Guardavano ora come il signor Hamon teneva compagnia alla ragazza. Ella rideva di quando in quando a scoppietti, mentre il signor Hamon le parlava agitato come al solito e con gli occhi da forsennato. Gli altri, uno dopo l'altro scomparvero, cercarono altri luoghi, altri caffè e osterie, come se si evitassero. Ed era stato così bello, in quei pochi giorni dei coralli, s'erano sentiti come tornati indietro negli anni, a un tempo in cui tutta una scolaresca può amare una medesima fanciulla. Ora, odiavano quella donna, la odiavano disperatamente, odiavano di nuovo suo padreodiavano il signor Hamon. Non la trovavano più neppur bella. La vedevano, dalle loro finestre, come andava su e giù per la spiaggia deserta con Hamon, e come vagavano qua e là in barca. Erano soli, quei dueabbandonati, inquieti lungo le prode e le strade. E il dott. Stump li aspettava. Un giorno, invece di picchiare il cane alzò lo scudiscio su sua figliaPoi, un giorno non li trovò più. Èrano partiti nella notte. La sera seguente al caffè si organizzò all'improvviso una festa da ballo. Ballarono tra loro e si ubbriacarono. Quando entrò il dott. Stump, gli fecero una grande ovazione e lo portarono in trionfo, CORRADO ALVARO

Persone citate: Botto, Hamon