Un mondo in attesa

Un mondo in attesa Un mondo in attesa NEW YORK, aprile. II Rio Grande: un fiume che divide due mondi. E' un modesto corso d'acqua per il Continente rigato da colossi quali il Rio delle Amazzoni, il San Lorenzo, il Mississipì, ma quando l'avete attraversato vi sorgono davanti le visioni di strane civiltà scomparse: gli Aztechi, i Maya, gl'Inca ; vi appaiono gli spettri di Monteztima, di Manco Capac, di Atanalpa. Non siete più nell'America della roccia di Plymouth e dei severi Puritani vestiti di nero salmoelianti con voce nasale. Siamo nell'America di Ponce de Leon e di Vasco Nuiiez Balboa, nell'America di Pizarro, di Almagro e di Valdivia. Tutta l'incredibile, sanguinosa, fantastica, inebriante, feroce avventura dei conquistadores si svolge nella vostra mente come imo spettacolo cinematografico prodotto da una fantasia selvaggia e priva di freni. Ma da quell'avventura è uscito un impero : l'impero dell'America latina che se ebbe in Simone Bolivar il suo lìbertador, l'uomo che lo distaccò dalla matrice europea, attende tuttavia il genio che ne valorizzi le immense risorse ancora integre o appena sfiorate, non per il beneficio di stranieri che le sfruttano a proprio vantaggio ma per il godimento e la indipendenza economica delle popolazioni che lo abitano. Attende ancora il serpente piumato della leggenda azteco-, l'essere di capacità direttive eccezionali che non diciamo riesca a fonderlo politicamente in una nazione sola (perchè la cosa è nella situazione attuale del mondo del tutto impossibile) ma per lo meno a organizzarlo e consolidarlo in un organismo solido e potente, capace di resistere alle mire di dominio indiretto e di monopolio economico a cui 10 fa segno l'America anglo-sassone. Purtroppo questa si è estesa ed ingrandita a spese dello sterminato territorio della conquista spagnuola. Alcune regioni vaste come nazioni europee sono state da tempo incorporate nella sua gigantesca compagine: la California, il Texas, la Florida. Ma adesso non si tratta più di espansione territoriale : si mira a un monopolio economico che si estenda dalla Baia di Baffin alla Terra del Fuoco. L'impero sorto dalla distruzione di un mondo che gli studiosi si affannano a far rivivere dagli scarsi resti- salvatisi dal fanatismo e la ferocia di soldatesche rozze e raccogliticcie sguinzagliate alla ricerca di ricchezze favolose, porta in sè i germi della sua debolezza : il particolarismo latino. Quel particolarismo che divise la penisola iberica in due nazioni, spezzettò per tanto tempo l'Italia in un mosaico multicolore e fece sorgere su questo continente venti nazioni appartenenti a una sola razza, che parlano la stessa lingua, hanno in comune la religione, i costumi, la mentalità e che non avrebbero alcuna ragione di restar divise o, peggio ancora, massacrarsi per quistioni di confine. Forse ragioni geografiche avrebbero sempre impedito che l'America spagnuola formasse un formidabile e unico aggregato come il Colosso del Nord, ila per lo meno tre potenti nazioni avrebbero potuto sorgere dallo spanish main che destava l'invidia e la cupidigia degl'inglesi determinati a sgretolarlo e tagliarsene larghe fette: una nazione comprendente tutta l'America Centrale, un'altra che consolidasse la parte settentrionale dell'America del Sud e una terza unificante i territorii dell'estremo Mezzogiorno. E invece? Furono seguite le divisioni amministrative della Corona spagnuola, venti nazioni ne sono risultate e l'attuale guerra tra la Bolivia e il Paraguay è uno dei fenomeni rivelatori di una debolezza intima derivata da un primo errore. Forse è mancato un cemento umano che, alla pari di quello romano, fosse provvisto di formidabile potenza adesiva. Queste ed altre cause che contribuiscono allo Stato d'impotenza economica, di disordine morale, di assenza d'iniziativa caratteristiche dell'America latina, specie quando la si confronta con l'America anglosassone, sono mirabilmente studiate ed esposte nel libro di uno scrittore italiano che conosce i problemi dei paesi ibero-americani per esserci lungamente vissuto ed essersi appassionato alla loro causa ch'è la causa della latinità e della civiltà stessa (Oreste Villa - L'America latina problema fascista — Editrice «Nuo va Europa», Roma). Desidererem mo che in Italia si scrivessero più li bri di questo genere che aiutano a comprendere i grandi problemi esteri e invogliano a incanalare le nostre energie lungo sentieri nuovi e inesplorati lasciati finora in completo dominio di popoli più attivi. Il male ha radici profonde. « Le Nazioni come l'Italia e la Spagna — dice il Villa — cioè le più interessate per 11 loro materiale uomo che avevano radicato e quindi per interessi costi tuiti, non hanno sufficientemente compresa la situazione di queste repubbliche e la necessità di un'azione organica e metodica per contrarrestare l'invadenza yankee ». E come non l'hanno compresa Italia e Spagna non l'ha compresa l'Europa tutta. 1 paesi europei o hanno temuto di disgustarsi gli Stati Uniti o sono intervenuti come l'Inghilterra e la Francia con idee d'egemonia se non politica per lo meno economica e commerciale. Perciò l'Europa ha «finito per perdere nell'America latina quella situazione di privilegio che già aveva acquistata prima della guerra mondiale », lasciando il campo libero agli Stati Uniti che nel nome della dottrina di Monroe vi hanno imposto il loro predominio economico e, indirettamente, anche politico. La storia e linfluenza della dottrina di Monroe sono esposte chiaramente nel libro del Villa, come pure è messo nella dovuta evidenza l'imperialismo degli Stati Uniti che incombe simile a un de¬ stino ineluttabile su tutto l'immenso territorio al Sud del Rio Grande. Occorre trarre da tale situazione ..,conclusioni pessimistiche? Non lo:crecliamo. Si può addurre il magni- nco esempio dell indipendenza eco nomica del Venezuela e la fierezza indomabile con cui il popolo messicano arretrato, impoverito, lacerato da fazioni sanguinose, si è sempre opposto ai tentativi di assorbimento v insonni; Gram!--^sono lequistioni che a proposito del-Ul'America latin* toccano più davvicino l'Italia : la quistione economicocommerciale c quella emigratoria. Nei riguardi della prima il Villa deve dolorosamente ammettere che «la realtà del commercio italiano è inadeguata e modesta in confronto alle effettive possibilità che l'Italia ha in questi paesi. Perchè difetta di organizzazione, per quanto, stante le basi che essa ha con tante colletli- vita locali, avrebbe potuto collegarsi vari mercati e conformarsi ai biso gni locali ». Tutto a vantaggio degli Stati Uniti i quali hanno ritratto dall'impero economico pan-americano profitti inestimabili, benché questo colossale monopolio sia oggi minacciato da due nazioni recentemente arrivate nella competizione intcrna- zionale: Giappone e Russia. I giornali americani hanno gettato l'allarmc: nell'Uruguay questi due paesi hanno quasi soppiantato il commer ciò americano. E con un sistema che gli americani non sono mai stati disposti a usare: quello di acquistare merci dai mercati in cui si esportano le proprie invece di pretendere di vendere solamente. P>ttliÀc americane cor una situazione disperata c Uj hi quanto all'emigrazione le reconfrontano perata che finirà accrescere la loro debolezza. Le correnti immigratone valide, quelle dei paesi europei più affini per temperamento e per cultura, quelle apportatrici di civiltà sono chiuse per sempre. Sono esse le più salde, ciucile che hanno resistito alla crisi e costituiscono l'ossatura economica e sociale delle nazioni dove si sono!"e colonie italiane e te-esempio, del Sud cieliri a cui sono state' spalancate'lej tin stabilite : « . desche, per Bra " rasile sono tipiche per tutto il Con-|lente». Oli orientali, gli slavi, i;norte di quel mondo in formazione, costituiscono fin da ora un problema d'assimilazione che, col tempo, diverrà insolubile. Per combattere il pericolo « le nazioni europee che hanno fomentata nell'America latina l'emigrazione dovrebbero considerare l'opportunità d'inserire nelle loro collettività d'<,l;rc oceanj un elemento giovane che p.issa aggiornare e rinnovare mentalità e sentimenti e idee, onde non atrofizzare una massa di emigranti che altrimenti si sperderebbe ». Ci sono scrit tori ibero-americani che hanno visto chiaro nella situazione dei loro paesi e guardano all'Italia come a untaro a cui ispirarsi prr la propriaredenzione. «L'Italia — dice Victorde Valdivia — ci sta dimostrandoche un sol uomo può modificare fon damentalmente la psicologia di Paese... Una vera opera di educa zione dovrebbe salire dalle aule lln! za della Patria e dell'Umanità merica latina deve orientarsi decii samen te verso il Fascismo...». Coltermina il libro delj ^ ibeVo-a^rkn^o^gR tan- to conosce e ama con passione diperfomentare la nostra personalità co-me Nazioni granai e sovrane... Mus-solini, senza essere anglosassone, cidà l'esempio». E il De Mactzu •« Nel Fascismo si radica la salve/-T'A |quale aU£,ur;0 ; Villa: con l'ai smo che stanno riportando I Italiastudioso e di latino, trovi la sua redenzione ispirandosi agli ideali politici economici e sociali del Fasci-, rtando 1' verso più alti destini. AMERIGO RUGGIERO

Persone citate: Almagro, Gram, Monroe, Oreste Villa, Pizarro, Simone Bolivar, Vasco Nuiiez Balboa, Victorde Valdivia