La pittura italiana d'oggi

La pittura italiana d'oggi La pittura italiana d'oggi Materia viva e rovente in sobbollimento continuo, plastica proiezione di un mondo interiore che di giorno in giorno muta e si supera nell'atto stesso che tenta concretarsi nel linguaggio delle forme visibili è l'arte figurativa nel suo divenire. Da quando l'uomo con lince, colori, volumi, volle aggiungere all'universo sensibile l'universo degli aspetti interpretati, cioè la poesia, l'urto fra la realtà immanente delle cose create e la realtà del pensiero che queste cose pensa in modo sempre diverso e talvolta, nella medesima ora, opposto non cessò di scuotere il terreno della rappresentazione artistica ; e quelle stesse parvenze che oggi ci appaiono fisse, cristallizzate nei cànoni di una beltà intangibile conobbero le fasi della violenza dialettica, furono alternamente esaltate e vituperate. Soltanto al tempo, come alla lontananza, è dato di sopire i clamori di ideali forze in contrasto, di dimostrarci la necessità fatale della lotta fra ciò che è e ciò che si evolve e sarà. Allora, viste in prospettiva, le fratture che ai protagonisti di «ssa lotta sembravano enormi nella tradizione si ricompongono nella loro verità storica di semplici episodi d'un cammino inevitabile; gli abissi diventano rughe ; di intere folle contendenti non resta che qualche nome; e le opere infine, entrate ancor grondanti di litigi nei musei, stupiscono dopo appena qualche anno per •la loro pladdità. Rivoluzionari i [Macchiaiuoli? Scandalistico Manet? Degno di ostracismo da ogni mente benpensante Modigliani? Già ci paiono assurdi quei sarcasmi, risibili quelle condanne. E la « deformazione » dei pittori ferraresi del Quattrocento dal Cossa al Tura, allora? E la reazione dei Carracci al manierismo cinquecentesco? E l'irrompente verismo del Caravaggio contro l'Accademia? Rivoluzioni non meno grandiose di quelle che travagliano Ottocento e Novecento. Eppure ci occorre uno sforzo — ed uno sforzo quasi unicamente culturale — per rappresentarcele vive nella loro entità: tanto si son proporzionate, pacate ormai e conseguenti, al naturale procedere dell'arte. Che prova ciò? Due cose anzitutto. Che indipendentemente dai loro risultati positivi tutte le tendenze estetiche, anche quelle che sembrano più assurde, anche quelle che, come il Futurismo, capovolgono forse per la prima volta gli scopi della rappresentazione e ne invertono gli elementi, si giustificano di fronte al pensiero perchè traggono le loro ragioni ideali da un detcrminato momento di esso, si che il dileggio e lo sdegno, spontanei sfoghi del sentimento offeso, non hanno diritto di cittadinanza nella critica esercitata con intelligenza filosofica. Poi, che se la storia dell'arte è fatta dai contemporanei, soltanto i posteri sono in grado di scriverla, passato che sia appunto il tempo necessario a proporzionare in adeguata prospettiva azioni e reazioni i cui attori furon portati a sopravalutare o ad abbassare secondo i loro temperamenti. Sulla fine del IQ-- a Galleria Pesaro Anselmo Pucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, riero Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi iniziavano un movimento che Pucci battezzava col nome fatidico di Novecento. L'anno seguente, nella medesima galleria milanese, aveva luogo la prima manifestazione dei novecentisti, che Margherita Sarfatti presentava alla Biennale del '24. Nel 1926, ampliatosi il gruppo, s'allestiva a Milano, auspice sempre la Sarfatti, la « Prima Mostra del Novecento Paliano », tosto seguita da quelle portate all'estero e nei '29 dalla «Seconda Mostra». Furibonde polemiche scossero allora l'Italia intera. Una lotta di violenza inaudita s'impegnò fra le avanguardie e le masse artistiche conservatrici (posta del gioco era non solo un'idea, ma il diritto stesso di esistere, il lavoro ed il pane) <; per il trapasso della modernità dai tentativi singoli, isolati, personali alla collettività artistica e persino alla ufficialità ». Vinsero le prime ; e ciò che era scanda Io divenne norma in breve accettata. Sono trascorsi appena cinque anni dalla « Seconda Mostra » di sapore ancora polemico. Ed ecco che persino la parola Novecento già è ana cronistica per esser caduta dalle élites nella spicciola moda commerciale (abbiamo i caffè Novecento, i tappeti Novecento, i confetti Novecento) ; ecco che ora sorge come nuova speranza la.reazione naturalistica già capitanata da Soffici ed Oppo', di cui attendiamo vedere i primi frutti questo maggio a Venezia. Conferma di simili verità elementari è il nuovissimo libro di Vincenzo Costantini, La pittura italiana contempo ranca dalla fine dcll'Soo ad ogni, stupendamente stampato con centinaia d'illustrazioni dall'Hoepli (Milano, 10.34, pagg. 435, L. 60). Libro coraggioso perchè, fra il moltiplicarsi di monografie e di saggi aiv che su artisti viventi ed operanti, è la prima volta che si tenta in Italia uno studio d'insieme dell'arte attuale esclusivamente italiana; che con la lava ancora ardente di molteplici e simultanee eruzioni ci si sforza di plasmare i grandi blocchi dell'edificio artistico contemporaneo. Assunto, come abbiamo detto, impossibile ove l'impresa fosse stata condotta con l'intento di scrivere la storia dell'arte italiana dagli ultimi ottocentisti agli odierni novecentisti illumi nandola di quel giudizio critico con sistente in una valutazione di indivi dui, di tendenze, di momenti, che qualsiasi storia di un'attività spiri tuale sottintende. Ma il Costantirr è notoriamente un temperamento teorizzante, portato per natura all'è same del fenomeno più che all'apprezzamento del risultato; è un diagnostico più che un terapeutico; e più che la definizione critica dei valori gli sta a cuore la loro indaginslorica. Escluso il giudizio soggettivo, stabilito il principio che «le arti figurative, riguardate entro il quadro generale sociale, entro l'organismo e lfunzione spirituale della collettivitumana, derivano dalle correnti depensiero contemporaneo » onde ogntendenza ha una sua storica ragiod'essere e le opere sono anzitutto dedocumenti, gli è stato possibile abbracciare la creazione artistica del'ultimo mezzo secolo studiandola appunto come una serie di fenomenpressoché di pari importanza, e dparlarci d'alcune centinaia di autoquasi esclusivamente come loro drette e inevitabili conseguenze : daperiodo così detto umbertino ch« sfuma dolcemente verso la pitturlirica » agli ultimi veristi che discendono dal migliore Ottocento impressionista e macchiaiuolo, dai classicsti che si rifanno ancora al Rinascmento per la loro ansia del quadrdi grande respiro al fauvismo chinizia l'avventura surreale, dal Futurismo che esaspera la tendenza astrattiva ai « metafisici » che si sforzano di « uscire dal confine indivduale per cercare, quasi negli spa siderei, un incanto magnetico », daprimo Novecento che tenta « una definitiva e completa emancipazione della nostra arte da ogni influenza d'oltr'Alpe » alla formazione dei suosottogruppi, dalla ripetizione stanca delle sue forinole all'inizio della reazione naturalistica quando « la tradizione benignamente accoglie i rientrati » ; e tutto ciò senza interferenze polemiche, prese di posizione prò o contro questo o quel periodo, questa o quella corrente. Chiave di volta nell'ampia indagine è per il Costantini la presenza nell'ultimo cinquantennio artistico dun metaforico fiume, quasi uno Suge, che segna il limite fra la tradizione e l'avventura « spinta nelle sfere inesplorate dell'irrealtà metafisica o nelle tenebre del sogno del mondo spiritico magnetico » : cioè fra la realta e l'astrazione. Ecco che a un certo momento alcune masse ne tentano con violenza e frastuono la traversata : « Una specie di urto psicologico agita, sconvolge le anime eper un momento, le smarrisce. Dqua son rimasti coloro che arrestano la tradizione a Degas, a Renoire, non sempre, a Cézannc ; ai macchiatoli od in genere ai veristi deRisorgimento: infine son rimasti sacerdoti fedeli al creato naturale. Di là son passati gli anti-naturalisti; quelli che pretendono sollevar i piedi da terra per navigare negli spazi astratti del surrealismo ; 0 quelli che vogliono sprofondarsi nel misterioso umano sottosuolo dell'istinto, della subcoscienza. Fra alcuni di coloro che stanno alla destra sponta e alla sinistra v'è però un punto di contatto : l'opposizione alla massa umbertina che, con indifferenza, sta con i rimasti. Ma il filo che lega gli estremi oppositori naturalisti ed antinaturalisti è troppo tenue per sopportare lo strappo o il volo violento e perpendicolare di questi ultimi ». Parabola pittoresca e quanto mai aderente alla verità. Tutto ciò non è che il presentimento e il preludio della guerra, il caos divampante che sconvolge le coscienze, le conseguenze spasmodiche del naufragio d'una civiltà. Ma il limite resta utilissimo ad una partizione ideale. Di qua dunque l'Ultimo Ottocento (Sartorio, Tito, Innocenti, Grosso, ecc.), la pittura lirica di vena dannunziana e pascoliana (Laurenti, Mentessi, Balestrieri, De Carolis, Nomellini, Baccarini, Romani, Discovolo, Gaudenzio gli estremi veristi (Puccini, Ghiglia, Tommasi, Bazzaro, Vinzio, For- izzini, Scattola, Mi- lesi, Dall'Oca Bianca, Migliare,Brass, e via dicendo 1, i «classici»isolati (Mancini, Carena, Fioresi, Steffenini, Marchig) ; di là i fauvislì e i seguaci della «Scuola di Parigi da Modigliani a Severini, da Cam-pigli a Paresce, da Tozzi a De Pisis , i futuristi di cui Balla e Boccioni, Carni e Severini restano i primi apostoli guidati dal profeta Marinclti, i metafisici che riconoscono in De Chirico, poi in Carrà, Savinio e Nathan i massimi esponenti, i neoclassici da Casorati ad Oppi, da Sbisà a Trentini e a Donghi, quindi la formidabile falange novecentista con alla testa il gruppo citato. « Comincia un'opera di selezione e di penetrazione della modernità nelle masse, nella società artistica e nei suoi gangli ufficiali. Infine il timone cade in mano ai moderni. Ecco la funzione storica del '900 ». La pittura non è più che polemica; ma già s'insinua il desiderio, il bisogno della resipiscenza : « A poco a poco le deformazioni in molti vengono soppresse... Nella totalità si nota il ritorno della tradizione... A conti fatti, si nota una definitiva e completa emancipazione della nostra arte da ogni influenza d'oltre Alpe. L'innesto attualistico è stato però necessario ed ha giovato al riscatto ». ! Non chiederemo al libro del Co stantini, così pericolosamente e co raggiosamente equilibrato sul terre ino sconvolto da un cataclisma, più 1attente precisazioni ; non gli rimpro-rercremo incompletezze ed omissio-ni specie nel dizionarietto degh artisti contemporanei che chiude il volume. Piasti segnalarlo come il più utile orientamento fra la pittura italiana dell'ultimo mezzo secolo, di cui oggi si disponga quale opera organica. Anche perchè il libro contiene implicita una sua severissima morale. Come dicevamo infatti in principio, ogni fenomeno artistico si giustifica di fronte al pensiero. Ma risultati son quelli che contano nella vita. E se tanta è la diffidenza universale per l'arte contemporaneacausa ne è la serie di queste forse necessarie, ma ad ogni modo tragiche avventure estetiche in cui tanti valori naufragarono, e per le quali superstiti dovettero tanto lottare per salvarsi. Non per nulla si ripete che urge ricostruire sui rottami. Ed è fortuna per noi che, più che delincarsi speranze, già la ricostruzione si affermi. MARZIANO BERNARDI.

Luoghi citati: Cézannc, Italia, Milano, Paliano, Parigi, Venezia