Bergson sulla via di Damasco

Bergson sulla via di Damasco Bergson sulla via di Damasco Se l'osse ancora in vita, oggi Giorgio Sorci esulterebbe. Era una sua idea fissa che talune dottrine del suo amalo Bergson fossero molto vicine all'insegnamento cattolico c che i cattolici francesi avessero torlo di attaccarle con tanta veemenza. Quella sua intuizione, o paradosso che fosse, ha avuto oggi una clamorosa conferma. Da tutte le parti del campo cattolico, in Francia, si levano lodi all'ultimo libro di Enrico Bergson, Ics deux sources de la morale et da la rcligìon. Le pagine che il vecchio pensatore ha scritto sul misticismo cristiano appaiono così luminose, che ci si meraviglia come egli abbia potuto vedere tanto a fondo senza fare appello ai lumi della teologia. Che un uomo estraneo alla fede cattolica abbia saputo descrive^ con tale finezza la vita religiosa, è giudicato un segno d'autentica grandezza. Persino la circospetta Revuc l'ho miste, custode della più intransigente ortodossia, non esita a conferirgli il titolo di « apologista esterno ». Si può dunque parlare d'una semi-conversione di Bergson? Le riserve degli scrittori cattolici sui particolari della sua dottrina sono ancora numerose e gravi, ma l'orientamento generale del suo pensiero sembra loro incontestabilmente cristiano: con una benevola interpretazione molte delle sue idee potrebbero acquistare un « senso accettabile». Eppure nulla in quest'opera che non sia uno sviluppo di pensieri precedenti. Bergson non ha fatto che concludere il suo sistema. Scindere, come si vorrebbe, quest'ultima fase dalle anteriori è un arbitrio. Per costruire il suo universo Bergson si era servito, come tutti i grandi pensatori, di due soli principii : la staticità e il dinamismo. Statica, rigida, inerte la materia: dinamico, fluido, agile lo slancio creatore della vita. Dal loro contrasto, si potrebbe dire dal loro giuoco, Bergson faceva risultare tutti i fenomeni della realtà. Ogni filosofo però, fatalmente, si accorge ad un dato momento che uno dei due principii è di troppo e che bisogna sopprimerlo o farlo rientrare nell'altro. Se l'essenza delle cose è una dinamica evoluzione, donde l'inerzia e la staticità della materia? Per rispondere a questa domanda Bergson ha dovuto affrontare i problemi morali e religiosi, che prima aveva lasciato nell'ombra. Solo per questa via poteva sperare di giungere a una visione unitaria delle cose. Anche qui è ricorso anzitutto alla sua prediletta distinzione di statico e dinamico. Delle religioni e delle morali vi è, secondo lui, un tipo statico, che nell'uomo è il surrogato dell'istinto. L'animale opera automaticamente a vantaggio della specie; l'uomo, dotato com'è d'intelligenza, potrebbe pensare soltanto a se stesso e forse non potrebbe neppure vivere, paralizzato dalla coscienza della propria debolezza e dall'idea deprimente della morte. La provvida natura gli ha perciò dato l'abitudine, che lo obbliga a vivere secondo gli interessi della vita collettiva. Ha collocato inoltre in lui una facoltà « Tabulatrice », che crea le immagini degli dèi e degli spiriti tutelari e reagisce all'idea della morte con l'immagine di un al di là. La morale e la religione delle tribù primitive sono di questo tipo. Esse hanno funzioni di freni, sono meccanismi di sicurezza a carattere conservatore. Ma il moto in avanti dell'umanità è dovuto a principii attivi, innovatori, rivoluzionari. Una volontà funzionante istintivamente, senza esitazioni e inquietudini di coscienza, non è un'autentica volontà inorale. Ed ecco la necessità di cercare altrove, da tutt'altra parte, la sorgente delle morali e religioni spirituali, cioè dinamiche. Nelle sue opere precedenti Bergson aveva celebrato l'intuizione, sola capace d'immergersi nello slancio interno della natura. L'intelligenza restava per lui alla superficie, era uno strumento per misurare e manipolare la materia. Sembrava che l'intuizione fosse da identificare con l'estro dell'artista. Oggi invece egli ci dichiara che essa è il privilegio dei mistici e che da essa prendono origine le morali e le religioni superiori. Solamente l'individuo d'eccezione, il santo, il profeta, può tuffarsi nella grande corrente. La sua anima coincide per uh istante col divino sforzo creatore e ne esce transumanata. 11 mistico può allora comunicare alle folle non una nuova dottrina, ma una emozione. Con le. sue parole semplici, ma senza replica, egli solleverà le ondate della fede. La nuova emozione sommuoverà e abbatterà le morali e le religioni vigenti, per esser poi a s"ua volta cristallizzata in formule e dogmi. Personalmente Bergson non è un mistico, ma un filosofo. Come filosofo egli crede però di dover ascollare la notizia che il mistico gli trasmette. Questi è in grado di testimoniare, poiché ha sperimentato, che la forza che sta alle radici del nostro essere è l'amore, e che Dio è amore. Cinque erano secondo S. Tommaso d'Aquino le prove razionali dell'esistenza di Dio : Bergson le lascia cader tutte per affidarsi a questa sola esperienza mistica. Essai gli consente di concepire l'attività divina. La creazione e la divina emozione d'amore che si è lanciata fuori di sè, quasi per ebra pienezza, nella grande corrente di vita che ci trasporta, ed opera con assoluta spontaneità e novità, con risultati imprevedibili. Però come l'emozione si raffredda in abitudini e dottrine, così anche il divino slancio creatore ha avuto momenti di stanchezza e di sosta : dal suo rilassamento è nata la materia. Ripren¬ dendosi, Io slancio ha cercato di riportare questa massa entro la corrente della vita e della coscienza; in unsolo punto è riuscito: nell'umanità; e anche in questa solo in alcuni individui, nei mistici, è riuscito ad aprirsi un varco sino a ricongiungersi con se stesso e a rifluire nel proprio seno. I più grandi esempi di emozione creatrice Bergson li ha trovati nel cristianesimo. I mistici greci e indiani sono rimasti alla contemplazione, mentre il cristianesimo è amore che si proietta in azione. Da Gesù glj uomini hanno appreso a sentire Dio come Amore operante. E' il misticismo che ha creato questa nostra umanità, che l'ha fatta uscire dai quadri dell'inerzia abitudinaria e la ha gettata sulle vie della storia. Ma è veramente cristiano tutto ciò? Loisy, storico delle religioni, ha notato che il mito di un Dio che si degrada nella materia per risorgere e redimersi nell'uomo è proprio dell'antica eresia gnostica. I cristiani non hanno mai pensato che Dio potesse stancarsi e irrigidirsi, nè hanno mai immaginato che avesse agito per una sorta di panica ebrezza. L'Amore divino, obiettano alla loro volta gli scrittori della Revue Thomiste, non è soltanto emozione, ma è anche pensiero. Anche nell'immagine di Dio si è riflessa quella che essi chiamano la « tara originaria» del pensiero di Bergson: il discredito dell'intelligenza a beneficio delle energie irrazionali dell'anima. C'è stato qualcuno che ha avvertito persino in questa teologia bergsoniana un'eco del protestantesimo liberale, che faceva della religione una questione di sentimento. In realtà l'emozione creatrice di Bergson non è il pallido sentimento, ma una sovrumana gioia. Più che ai protestanti è a Nietzsche che bisogna pensare. «** Sembrava a Sorel che ai cattolici dovesse esser particolarmente accetto il concetto bergsoniano della creazione continua ed imprevista, sfuggente ad ogni legge. Secondo lui esso rendeva plausibile il miracolo. Ora è proprio questa irrazionalità che non può essere ammessa dalla Chiesa. Se tutto è anarchica improvvisazione, il miracolo cessa di esse re una sovrannaturale eccezione. Affinchè le leggi naturali possano essese una volta tanto sospese, occorre che di regola esse governino la natura. Non è dunque questa la ragione dell'odierno fervore dei cattolici per Bergson e neppure il semplice fatto che egli non cortdivìde l'opinione, a quanto sembra ancora diffusa in Francia, che i mistici siano dei malati. La ragione è più profonda e risulta chiara, se si tien conto della presa di posizione di Alfredo Loisy, il modernista che si è ribellato alla Chiesa in nome della critica storica e che era, tra la teoria di Bergson e la realtà dei fatti storici, non ha trovato rispondenza alcuna. Loisy nega che si possano distinguere religioni statiche e dinamiche : anche i tabù e i riti magici sono nati da sentimenti e da emozioni e un certo senso mistico è sempre esistito nei rozzi culti primitivi come nelle grandi religioni. Ma soprattutto Loisy rifiuta l'idea che le grandi religioni siano apparse bruscamente, quasi per subita esplosione. Proprio nel caso tipico del cristianesimo egli non scorge una soluzione di continuità, una specie di scatto : il Dio di Gesù era ancora il Dio d'Israele, anche se era già il Padre di tutti gli uomini. Ecco il punto essenziale della controversia : Loisy rappresenta l'idea moderna della storia, il concetto di una civiltà umana che per propria intrinseca virtù lentamente progredisce e si perfeziona. Le singole morali e religioni sono fasi di questa progressiva educazione che il genere umano si dà. Bergson nega all'umanità questa attitudine a redimersi da sè. Gli uomini rimarrebbero inerti, governati da istinti e da abitudini, se non intervenisse a liberarli da questa esistenza di insetti un'improvvisa rivelazione. Solo in tal modo la vita umana ha acquistato un senso ed è nata la storia. Gli impulsi, che i mistici hanno impresso all'umanità, furono novità più notevoli dell'apparizione di nuove specie biologiche : vi si sente la presenza di un'attività creatrice sovrumana. E' dunque l'autenticità e necessità della Rivelazione che Bergson viene a provare. Nel duello che la Chiesa sta sostenendo con la critica storica moderna, Bergson si è schierato dalla sua parte. Solamente a questo titolo i cattolici francesi possono salutarlo « apologista esterno ». CARLO ANTONI Ijì\i■\jì{i{{[

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