Il club degli ilari

Il club degli ilari Il club degli ilari I<a municipalità di Hajdu-Boszòmeny è scrupolosa, e trascrive il latino alla lettera. Essa intende che i suoi amministrati si trattengano dal ridere : o quanto meno dal ridere smodato, insensato, prestabilito, scimunito. C'era in quella città un «Club degli ilari» che fu sciolto la prima volta un paio di mesi fa. Oggi lo scioglimento fu dovuto ripetere, e definitivamente, dato che gli ilari ad ogni costo, con una pertinacia degna di miglior causa, erano tornati a radunarsi alla chetichella. Chi se l'immagina, la congiura degli uomini faceti? Dovettero, per due mesi, soffocare il loro tripudio nelle cantine : e in quegli occulti ipogei dell'ottimismo tradurre lo straripante, irrompente buonumore in tante risate chioccie, rattcnute sino allo spasimo, come quelle che ci torcevano le budella, mentre il viso doveva restare impassibile, sui banchi di scuola, allora che il compagno sbarazzino rifaceva il verso al professore di calligrafia. Quell'ilarità in pelle, ricordo, mi faceva star male. Immagino che i faceti di Hajdu-Boszòmeny, ora al bando, abbiamo per sessanta giorni vissuto ore di colica, ore di agonia. Il « Club degli ilari » non aveva niente di comune con le nostre an tiche, savissime « Accademie dei ridenti ». Queste non volevan essere che un invito alla serenità, per mezzo di studi e musiche, giochi e ritrovi. Quegli altri allegroni, che adesso i birri hanno disperso, cocciutamente si proponevano di « ri dere di tutto » e di « guarire tutto col ridere». Vogliate considerare il secondo paragrafo del programma. Ogni peccatore ha una tendenza al proselitismo. Quei malati di sciocchezza volevano curare anche il prossimo col proprio clisire d'imbecillità. Era naturale che in tanto rimedio, dato per apocrastico, l'autorità non vedesse chiaro. Col ridere continuato, per mezzo del solletico, non si può che morire. Benvenuti i birri, nella casa dei buontemponi ad ogni costo. Contravvenivano costoro alla superiore legge d'esistenza, per cui l'avversità va affrontata senza disperazione, ma anche senza stoltezza. La vita non è un funerale, ma non è neppure un veglione. Se c'è un pessimismo nefando, c'è pure un ottimismo imbecille. Perchè ridere di tutto; se, di tutto ridendo, a niente si rimedia? Come chi volesse sostenere delle volle di muratura con delle centine dipinte ! La contemporaneità, sì alteramente e strenuamente drammatica, non può far proprio l'epifonema di Falstaff e delle vispe comari di Windsor. Tutto nel mondo è burla? Lo dice Falstaff, ch'è grasso e vile. E lo dicono i vispi compari di Hajdu-Boszòmeny. Ma non è vero; e non vorremmo neppure per un istante che fosse vero : tanto siamo fieri di ciò che soffrimmo, per questa atroce mirabile vita, e soffriamo e soffriremo; oggi, come domani e come sempre. Conosciamo gli ostacoli, le rinuncie, i disinganni, i tormenti, i tradimenti. Li conosciamo, e. li affrontiamo. Ecco il punto. Quanto all'ilarità, consigliata, a titolo di cocaina contro l'afflizione, sappiamo che pensarne. Gli anestetici non sono tollerabili che in chirurgia : e ancora è noto che, se essi attutiscono il patimento, però rovinano il cuore. I ri li di HajdBoszòmegtsstcessr1dcdesssoinpgn I cari coccoli di Hajdu-Boszòmeny, che di tutto volean ridere, e ridendo a tutto porre rimedio, non pos; so dissociarmeli nel pensiero da certi autori di teatro, che non sapendo uscire dai limiti dell'arte citrulla — freddura, chiapparella o qui-pro-quo — si dan l'aria di ristoratori dell'umanità; e se appena uno fa sentire un brontolìo per quella loro frivolezza trastullina e snervante, gli danno di jettatore e di becchino : reo, in ogni caso, d'aver posto in dubbio che l'anno sia composto di trecentosessantacinque sabati grassi. Ora io credo che la professione di ridere sia tanto matta quanto la professione di piangere. L'autore esilarante ad ogni costo mi fa pensare, per antitesi, alla prèfica. Questa, per mestiere, piange sino a farci ridere. Quello, vice versa, vorrebbe farci ridere sino alle lacrime. Voi' vedete che, per estremi, si arriva alla stessa assurdità. Stol to è il piagnone, e stolto il riderello. Mentre ambedue offendono il retto commercio dei sentimenti con della falsa moneta: l'uno, con un pianto ch'è la mascherata istrionica del sacro dolore ; l'altro, con un ridere che c la contraffazione più insolente del la sobria, buona, spontanea, salutare giovialità. Veramente credevano, i pazzerelloni di Hajdu-Boszòmeny, di guarire a forza d'ilarità i mali proprii e gli altrui? Come le prèfiche, appunto, dovrebbero salvare col finto pianto le anime dei morti, essi, col forzato riso, avrebbero salvato i corpi dei vivi. Nè la loro associazione do veva essere meno tetra, in fondo, d'un consorzio di lamentatrici. Ri flettete. Per ridere, tanto o poco, essi avevano dovuto radunarsi in club. Oh, via : si saranno detto — ed erano, forse, le anime più desolate del paese — l'unione fa la forza: uniamo i nostri trilletti di timida, sommessa amenità, e facciamo ne un rombante coro, una risatona da travolgere tutti i diavoli della terra. Detto, fatto. Ma chi ci crede, a quel ridere? Io no. Avete mai senti to ridere un fantoccio automatico? Ce n'è, in America, in tutte le ve trine di chincaglieria. Fanno spavento. Se non vi riesce di figurarvi la tristezza del riso automatico, pensate, almeno^ a quella del riso progettato. Non è vero che basta mettersi insieme con l'idea di ridere, anche fra gente lepida, per non riuscirci assolutamente? Così è. Così dev'es sere. Il riso è dono di cielo; è pre 7Ìoso è appunto in quanto raro < spontaneo. A quel riso, la risata ariti ficiale sta come ai denti la dentiera. Avrei voluto vederli, guei giug- gioloni di Haidu-Boszomeny, mentre gurguliando arguti, si presentavano agli ospedali, della città per guarire con la loro festosa, taumaturgica presenza gli infermi : e questi si torcevano; e quelli si sganasciavano; e i poveri asmatici, ecco, tiravano su il collo dalle coltri, bianchi di terrore per l'inaudito baccano; e quelli giù a ridere, a ridere, per la salute della comunità! Oh, che gusto ! Oh, che gioia ! A certe ore di storia, il teatrino dei fredduristi mi fa 10 stesso effetto. Anche a questo ridere chi ci crede? Don Abbondio diceva che, il coraggio, uno non se lo dà. E, badate, era una scusa; non era la verità : perchè il coraggio uno se lo può dare benissimo, come insegnava Turenne facendosi legare al suo cavallo. Ed uno potrebbe darsi, oggi, anche la bellezza, grazie agli istituti ; potrebbe darsi persino il genio, ch'è una lunga pazienza, e la pace, che può equivalere alla rassegnazione. Ma la gaiezza, quella, no, non se la può dare nessuno ; quella è un sole che si prende quando viene, e viene imprevista da qualsiasi aerologo ; quella è la vera ninfa virgiliana, che fug^e inseguita, e si concede, ma un attimo, solo se inattesa E allora il suo bacio è meraviglioso. Però non fateci conto. Viene quan do vuole. « Ridere — ridere — ridere » : sta scritto in certi manifesti di buffonerie teatrali o filmistiche. Nulla di più bugiardo. « Tre ore di continua ilarità ». Nulla di più incredibile. L'ilarità, come la voluttà, non può essere che un raptus istantaneo. E si badi : anche a teatro, coloro che più fanno ridere sono coloro che a ridere non c'invitano, che non ridono mai. La faccia di Gandusio è uno spasimo; quella di Keaton, un sospetto ; quella di Chaplin, una paura. Buster Keaton ha ragione di restar serio, aspettando di riuscir comico. Il riso non fu mai contagioso, se non fra gli stolti sulle cui labbra abbonda. Neppure esso fu mai rappresentativo. Ve la ricordate, la famosa risata di Cantalamessa nei fonografi di trent'anni fa? Era la più innaturale e meno rallegr, sione dell'ilarità volendo più spontanea e viva, di fanciullo un po' schi ghiacciato. Mi pareva d re, per la gente che ride, quello ch'è 11 morso della tarantola per la gente che balla : non esultanza, ma esasperazione; non dono, ma castigo: un contrappasso dantesco; una condanna all'implacabilità. Pensavo che il comico strepitante fosse dannato a ghignare cosi, fino alla morte, come sino alla morte danzano i due peccatori della leggenda ungherese. Se ci pensate, la risata non entra mai in musica se non come espressione sardonica, come sinistro elemento; oppure beffata, contraffatta in raggelanti nasalità di sassofoni. Nè il ridere di Canio — Ah, ah!... Tu sei pagliaccio! — nè quello dei congiurati, mantello nero e pugnale alla cintola, nel Ballo in maschera: Oh, che baccano - che caso strano - che continenti per la città! '- ah! ah! alt! alt! — sono meno lugubri del riderellio di legni e d'ottoni che Jack Hylton inserisce nelle sue^ composizioni parodistiche. Il riso è atono, è aritmitico: e l'armonia lo rifiuta. Ma novantanove volte su cento lo rifiuta anche l'anima : la quale ha pure le sue orchestre escludenti i timbri inumani. Il riso inventato da noi, anziché ispirato da Dio, quasi sempre sa d'insania o di sacrilegio. Quante male risate io mi conosco ! C'è il riso dei negri, degli idioti, dei gobbi; il riso dei piccoli di statura; il riso dei denti falsi; il riso dei minaccianti, degli ignoranti, degli aberrati, degli infermi ; il « disiato riso » degli adulteri ; il povero riso dei cani battuti; il martoriato riso del solletico; lo spettrale riso dell'ipnosi ; il riso rosso, il riso verde, il riso d'erba sardonia; il riso della maschera atzeca, il riso del carnefice cinese; il riso del bimbo impaurito; il fou rirc. Si va fino alle risatone dei reclusi, di cui parla Dostojewski, allora che scrosciano gli uragani ; e al cachinno di Robeson nell'Imperatore Jonas, che fa svenire le donne di terrore. Nelle Trois masques di Mere, il pugnalato è preso sotto braccio dai pugnalatori, e tenuto ritto come vivo, e costretto a ballare sotto gli tgicdnpedella polizia; ma l'effetto tragico occhista in ciò: che ì due non ristannodal ridere, ridere, ridere ad ogni co-sto, come gli allegri cittadini di Hajdu-Boszòmeny, e certi cornine-diografi che so io... ' Onesto non vuol essere o lettrici v,/ucsio nuii vuui csM.ie, o iciirici, u sermone a uno sconsolato per "i-sgustarvi dal Carnevale, che anelieesso una risata fatta programma. Non amo, personalmente, veglie e veglioni ; ma non saprei distoglierne alcuno: anche perchè la volontà di ridere in compagnia, in fondo, sebbene disperata, è un omaggio reso al prossimo nostro. Volevo soltanto avvertirvi che la coltivazione dell'ilarità è immorale quanto quella delle lagrime, essendo molto più difficile; e che l'ottimismo deliberato non vale più del pessimismo preconcetto: tant'è vero che il Bramante, dipingendo Democrito ed Eracleo, cioè il genio dell'uno e dell'altro, negli affreschi che ora sono a Brera, li ha fatti bruttissimi tutti e due. Guardatevi da questa contentezza bietolona, come da quell'accasciamento nefasto. Dura e la vita, ma bella perchè tale: e n'è indegno chi ne piange da tortorina, come chi ne ride da allocco. Non peso di piombo deve farsi il cuore, ma neppure barchetta di carta, con l'illusione di galleggiare nel mare in furia. Certe associazioni d'ilarodi, come certe commedie scacciapensieri, stridono in rapporto alla coscienza, l'altera coscienza del tragico quotidiano, da cui si può dire che tutti gli uomini nel mondo, oggi, siano nobilitati. Ora lo vedete : queste commedie trovano sempre meno grazia ; quelle associazioni, sono già proibite d'autorità. MARCO RAM PERII

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