Paese con figure

Paese con figure Paese con figure L'uomo cominciò a viaggiare per estendere i suoi negozi allo scopo di arricchirsi e per far conoscere ai popoli lontani il Dio in cui credeva: l'amore del lucro e la fede furono, ih un primo tempo, i più grandi alleati del geografo e del cartografo. Naturalmente a questi elementi si mischiava lo spirito d'avventura, senza di che i Polo avrebbero continuato a commerciare pacificamente nel loro fondaco di Venezia e Giovanni dal Pian del Carpine si sarebbe accontentato di guadagnarsi il paradiso predicando dal pulpito di una qualunque chiesa perugina. Lo spirito d'avventura allo stato puro è quasi sempre sterile, ma basta ch'esso si allei all'interesse o alla fede, perchè nascano gli instancabili cercatori di terre: conquistadores o missionari. Più tardi un elemento più razionale, e cioè lo spirito scientifico si sostituì ai precedenti e fu l'alba dell'età moderna. Ma il senso dell'avventura perdurò sino alle soglie del nostro secolo. Per questo una stessa aura romantica e quasi direi mistica avvolge l'azione d'un Caboto e d'un Cook, d'un da Verrazzano e d'un Bianchi. A ciò contribuisce anche lo spettacolo meraviglioso d'un mondo vario e magnifico che si rivela, che emerge alla luce per gradi, concedendosi a poco a poco e abbandonando uno dopo l'altro i suoi segreti agli ardimentosi. Oggi il inondo sta intero, intelligibile sotto i nostri occhi, come un Puzzle ricomposto faticosamente e pazientemente; è un mondo per tre quarti incivilito, segnato da una fitta rete di itinerari terrestri, marini e aerei. che uniscono tra loro i punti più lontani, reso famigliare anche all'uomo più sedentario in virtù della fotografìa e del cinematografo. Ed è forse la più grande vittoria dell'umanità^ questa conquista della casa in cui è costretta a vivere, o, meglio ancora, degli ambienti abitabili di questa casa. Tutto ciò toglie al viaggiare quel Carattere d'avventura romantica che fu il suo per molti secoli. Ecco perchè i viaggiatori che percorrono la Terra « per veder novitadi onde son vaghi » non ci interessano più. L'uomo in turbante o quello col capo ornato di penne non destano più in noi nessuna curiosità e nessuna meraviglia. Oggi, invece, abbiamo bisogno di nozioni più sicure. Quello che ci interessa è sapere che cosa pensi l'uomo col turbante, di quanti milioni di individui cresca ogni anno il popolo cui egli appartiene, che peso quel popolo abbia oggi, che peso sia per avere domani sulla grande bilancia in cui si pesano gli eventi dell'umanità. Tutto ciò presuppone una somma non indifferente di conoscenze psicologiche, economiche, politiche, ma rende -soprattutto necessario studiare quel popolo nel tempo e nello spazio: vedere, cioè, come la sua vita sia venuta svolgendosi sulle due dimensioni rappresentate dai secoli della sua storia e da quella porzione di mondo che il destino gli ha assegnato per stanza. / Si tratta dunque di realizzare una giustapposizione della geografia con la storia, o, meglio, di scrivere una geografia nella quale l'elemento umano prevalga e che aiuti a vedere il mondo qual'è nella realtà : un paesaggio con figure. Questo è quello che ha felicemente tentato di fare uno scrittore americano: Hendrik Willem van Loon. «Lff_ Geografia di vati Loon » (Bompiani, 1933) — uno dei libri più divertenti e profondi apparsi in questi tempi — vuol essere per noi quello che per gli antichi furono l'opera d'uno Strabone o i quattro libri della «.Naturalis Historta* in cui Plinio si propose di descrivere «silos, gentes, maria, oppida, porttts, montes, flumina, mensurac, popidi qui sunt cut fuerunt » ; è dunque una visione complessiva della Terra, ma non altrettanto disinteressata quanto quella dei due scrittori latini.Il van Loon è di quegli uomini di buona volontà che ritengono vi sia una logica_ capace di far rinsavire i propri simili. Io me l'immagino nell'atto di iniziare il suo lavoro: egli ha certo sul proprio tavolo, alto sui libri di consultazione, sugli atlanti, sui taccuini di note, uno di quei «giocattoli per fantasticare » che noi chiamiamo mappamondi e lo fa girare sul perno che simula, con qualche approssimazione, l'asse terrestre. Per un istante mari, continenti, isole, nazioni s'inseguono, si sovrappongono, mischiando i propri colori, poi, come lo scrittore rallenta il moto rotatòrio; della grande sfera variopinta, ecco, gli oceani rientrano docilmente nei loro alvei, le isole riaffiorano come Rodi nell'ode di Pindaro, i continenti e i paesi ritrovano la forma consueta. Lo scrittore ha percorso gran parte di quésti paesi — la sua origine olandese mi dà la certezza ch'egli non sia un viaggiatore sedentario, come ce ne sono tanti —, su altri s'è procurato una documentazione precisa, essenziale', fatta di cifre, di statistiche, di nozioni storiche, politiche, geologiche, etniche, folkloristiche. Òpere^piene di dottrina hanno rievocato per lui le grandi migrazioni dei pòpoli in 'cerca di pane e di un soggiorno adatto al loro sviluppo, gli hanno permesso di seguire luomo nella sua lunga, paziente, geniale opera di adattamento al suolo, al clima, alle condizioni di vita dei Vari paesi, di assistere al sub prodigioso ascendere verso forme di esistenza più civili e di rendersi conto di come l'ambiente abbia influito sull'individuo e l'individuo sull'ambiente. Egli può dunque dire di conoscere bene la Terra ; e più ancora conosce l'inquieta razza di bipedi implumi che si agita sulla sua superficie: due miliardi di esseri umani in perpetua lotta tra loro, quanti bastano dice per riempirne uno scatolone di.cinquecentododici milioni di metri cubi, supponendo che ogni uomo sia alto un metro e ottanta, largo quaranta centimetri e spésso trenta. Badiamo ; non v'è nessun disprezzo in questa constatazione. Il van Loon sa bene che furono e sono gli uomini col loro perpetuo sforzo a dare un significato alla Terra, perchè « una montagna, dopo tutto, non è altro che una montagna ; ma diventa qualche cosa di più quando l'occhio umano l'abbia vista e il piede umano calpestata finché valli e versanti risultino invasi, domati, coltivati da dozzine di generazioni di famelici coloni ». Ma egli non sa capacitarsi che questi due miliardi di individui non possano vivere in pace. Se contempla « l'aiuola che ci fa tanto feroci ». cosa che può fare senza nessun bisogno di salire sino all'ottavo cielo, vede dovunque lo spettro della guerra e discerne facilmente i punti d'attrito e di combustione donde domani potrà sprizzare la scintilla destinata ad accendere un incendio al cui paragone queilo da cui l'umanità è uscita malconcia nel 1918 non fu che un'effimera fiammata. Sarà questa la fine della civiltàeuropea? E solo di questa, o dovrà la razza umana considerare l'eventualità d'una totale distruzione che affretti l'avvento di quella che in un altro libro apparso ultimamente e di cui « La Stampa » ebbe già a occuparsi (D. Papp — avvenire e fine dei mondo — Bompiani, 1933), v'en 4er finita l'era mondiale degli insetti ? Non vorremo convincerci finalmente, sono queste le precise parole del van Loon e riassumono in qualche modo la morale del libro, che siamo tutti passeggeri a bordo dello stesso pianeta e tutti egualmente responsabili della felicità e del benessere dei mondo in cui la sorte ci ha fatto nascere? Questo è il messaggio che ci reca « La Geografia di vati, Loon ». E' un messaggio antico come quella civiltà di cui andiamo tanto fieri; filosofi e poeti lo ripeterono instancabili nel corso dei secoli, ma sempre invano. E' di ieri l'invocazione : « Noi troppo odiammo e sofferimmo. Amate. — La vita è bella e santo è l'ayvenir». E poco dopo le cancellerie europee cominciarono a preparare la grande guerra. Messaggio vecchio, dunque; ma giammai esso fu accompagnato da così truci minacce. Ed è forse per conferirgli maggiore efficacia, che il van Loon ci pone sotto gli occhi lo spettacolo di quello che l'umanità rischia di perdere, lo spettacolo di un mondo giunto al massimo dello splendore, additandoci in pari tempo la via faticosa per cui l'uomo pervenne a questa insperata conquista. *** Al centro del grande quadro è l'Europa : anzi — nè più nè meno che in un trattato di geografia dell'epoca romana imperiale — il bacino del Mediterraneo. La storia nasce qui. Strabone aveva già stabilito un rapporto tra la frastagliatura delle coste d'Europa, ricche di golfi e di porti, e il progresso culturale dell'Europa stessa. Van Loon approfondisce questo punto di vista, dimostrando come la natura avesse destinato il bacino mediterraneo a essere la culla della civiltà. Ogni terra bagnata dal grande mare interno, ebbe la propria missione. La Grecia fu la mano che l'Europa tese verso l'Asia per afferrare l'eredità spirituale clelie_ antiche civiltà che vi avevano fiorito. I'iù tardi, dopo che la grande cultura greco romana fu sommersa dalle invasioni barbariche, la penisola iberica ebbe una funzione analoga: essa riconquistò, attraverso i suoi contatti con l'Islam, gli avanzi di questa cultura. L'Italia, protesa nel centro del Mediterraneo e saldamente incuneata nel massiccio d'Europa, l'Italia, marina e continentale a un tempo, era destinata a diffondere la civiltà e la cultura nel mondo. La Grecia, quasi avulsa dal continente, chiusa a nord da montagne di difficile accesso, era spinta a esercitare la sua influenza verso l'Oriente, come, d'altronde, indica chiaramente la grande impresa asiatica di Alessandro. Ma i valichi delle Alpi s'aprivano agevoli verso l'Europa. Le grandi strade dell'Impero, passando per quei valichi, s'irradiavano in ogni senso. E l'Italia compì la sua missione per ben due volte: la grande luce di Roma e la grande luce del Rinascimento illuminarono e vivificarono il vecchio mondo. Poi l'Italia segnò la strada verso nuove terre offrendo nuovi campi di azione all'umanità. Il van Loon traccia così le grandi linee dell'epopea umana e afferma esplicitamente che dall'Europa ha origine la grande civiltà che oggi domina la Terra. Quella che noj, chiamiamo civiltà americana, non è se non l'esasperazione di alcuni aspetti della civiltà europea. E' dunque lo spirito europeo che rischia di perire in questo nostro « pianeta irto di corazzate e di cannoni d'assedio ». A prescindere anche dalle termiti e dalle formiche che alcuni scienziati indicano quali possibili sostituto™ ieWHomo sapiens nelì' impero del mondo, il van Loon ci addita l'Asia come un formidabile serbatoio di energie umane pronto a traboccare e a sommergere la nostra civiltà. Non vorranno gli uomini di buona volontà accordarsi per fronteggiare questo e gli altri pericoli e per assicurare finalmente al mondo un'era di pace? La risposta a quest'ultima domanda, come affermava pochi giorni or sono il Duce in un suo lucido scritto, potrà forse venire da Roma che sta riavocando a sè per la terza volta l'alta missione di suprema direttrice dello spirito umano. CESARE GIARDINI

Persone citate: Cesare Giardini, Cook, Duce, Hendrik Willem, Papp, Rodi, Van Loon, Verrazzano