L' uomo di Singapore

L' uomo di SingaporeL' uomo di Singapore Sentendosi chiamare, l'uomo scese dalla vettura e ce ne apri lo sportello. Noi volevamo visitare i quartieri più antichi di Singapore, i templi e i sobborghi, cioè la typical town, come disse il mio amico. L'indiano, chinando la testa, tolse i freni e spinse a tutta velocità la macchina lungo la passeggiata in asfalto fiancheggia ta di puliti prati verdi e di robusti, alti palmizi. Passeggiate simili se nt vedono in molte città delle coste eu¬ ropee; ma qui c'erano in più i foli) colori, gialli, paonazzi, argentei, dei leggeri drappi di seta attorcigliati intorno alle gambe e alle spalle di ra gazze brune, in massima parte bel¬ lissime. Oltrepassammo anche dei severi poliziotti in kaki, dei venditori ambulanti e delle governanti indigene; quest'ultime con cappellino, parasole, veste all'europea, le quali conducevano dentro le carrozzelle i biondi bambini britannici. Benché fosse privo di qualunque interesse, tutto ciò stava bene, ma non per noi che volevamo arrivare al più presto nei vecchi quartieri, dove la razza è ancora lontana dall'influenza della civilizzazione. La sera precedente, dal ponte della nave non ci erano apparse che le verdi colline della penisola. Bianchi e rosei fiocchi di nuvole si trovavano stilla verde vegetazione di quelle strisce di terra. Una quiete primitiva riposava nell'armonia dei colori. Le ombre scendevano in silenzio dal cielo lilla in un largo porto tranquillo dove brillavano còme stelle le prime lampade elettriche. Attraverso lo spazio, il fischio di un treno ci portava, dopo una lunga traversata, i segni del progresso, ma scavava nell'aria una eco non del tutto fredda com'è la meccanica. Sembrava capace di abbracciare la natura in cui nasceva. Però, non ci vorrà poco tempo per raggiungere ir centro dèlia vegetazione veduta il giorno prima, io pensavo, allungando le gambe contro il tappeto di palma steso nell'interno dell'automobile. Per i palazzi che a noi sembravano, costruzioni orribili o.banali, l'indiano nutriva un senso di profondo rispetto. Non mostrava di aver fretta davanti ad essi. Se avesse potuto avrebbe costretto il volante a genuflettersi. Era proprio davanti a queSt' fabbricati bianchi e giallognoli, dentro i quali poteva esserci la residenza del Governatore, la sede della polizia, il quartier militare, il telegrafo o l'ufficio di igiene, che il poverétto sperava di ottenere un certo successo prèsso di noi. Il nostro crescente nervosismo non lo rendeva ancora edotto di quanto quelle fermate fossero fuori programma e lo danneggiassero moralmente. Andiamo! Andiamo! gli dicevamo noi. in un tono risoluto e bonario cercando di ricordargli che non avevamo nessuna voglia di ammirare quelle case. Ma a malincuore egli rimetteva ,in m^icia la vettura e poco dopo era raggiante se l'occasione gli permetteva di frenarla di nuòvo davanti a qualche altra costruzione moderna. Rimanemmo presto persuasi che non c'era niente da fare con lui. Non aveva capito le nostre intenzioni, sicché gliele spiegammo ancora una volta, con calma, sillabando le parole, mentre egli, sorridendo come quando si cerca di scansare un rimprovero, pronunziava dei lunghi yes.Fummo veramente avviliti nel constatare che avevamo incontrato un cretino nel primo uomo di quella, nobile razza. Abbandonarlo sulla strada non ci parve d'altra parte generoso. Il nostro sentimento si ribellava a fargli comprendere, in termini che .forse sarebbero rimasti sempre oscuri per lui, che egli era un deficiente perchè stimava maggiormente le case costruite dai bianchi che la verde freschezza della sua terra. Ma, diradatasi alle nostre spalle la città moderna, egli inoltrò la vettura lungo dei viali fiancheggiati da siepi da dove sperammo di arrivare all'aperto. Invece i viali continuavano nel massimo ordine. Prati con l'erba rasa, boschi cedui, aiuole. Egli stesso ci disse che questo era il parco di Singapore. Potemmo vedere quasi tutta la flora della giungla, per lo meno quelle piante che era stato possibile affidare alle cure dei giardinieri tenendole ad una legale distanza "una.dall'altra, con delle bianche targhette di ferro smaltato appese ai tronchi per.mezzo di catenelle di rame. Allora mi ricordai del tempo che trascórrevo una volta al Palatino dove, sulla scorza dei pini, i guardiani avevano infisso con lunghi chiodi dèlie targhe di legno che portavano scritto : « Non danneggiate le piante». Lì esisteva un animo ancora selvaggio accanto alla protezione ci vile, non si vedevano delle catenelle e dèl]e targhétte a mezza luna come i medaglioni delle vecchie signoreL'ipocrisia del parco di Singapore continuava nei viali occupati dà alcune generazioni di scimmie a piede libero le quali, coi loro deretani verdógnoli, coi loro piccoli occhicon le loro manine prive di peli, erànonient'altro che delle comunissimo scimmie, abituate alle carezze deturisti. LI accanto c'erano i venditori^ di .fichi secchi, come a Venezia in piazza San Marco ci sono i venditori di miglio per i colombi ; ma per lo meno si sa che i colombi sono devolatili casalinghi e non delle bestie selvagge. Naturalmente, in questo parco, dei bellissimi ùori dai colortenui, con sfumature che davano nelilla o nel giallo, prendevano un largo posto, ma se fossimo stati certdt trovare un altro tassi, avremmo mandato al diavolo quello sciagurato guidatore che ci aveva condotto in quei luoghi. La nostra impazienza non aveva più freno, benché egli rispondesse invariabilmente di sì non riuscendo che ad irritare ancora dpiù ì nostri nervi. M una molta la macchina si ini attè in un carro tirato da un bufalo ul quale era un autentico indigeno. er un istante, ai nostri occhi assetati i visioni primigenie, il parco uffiiale di Singapore si trasformò in una oresta autentica. Tempestato come ra di minacciose insistenze, l'autista cominciava a sentirsi perduto. Old, old, old! gli gridammo allora battendo i pugni contro i vetri, profittando del suo smarrimento come fa il boxeur quando vuole abbattere l'avversario. Il sorriso di ebete gli era scomparso dalle labbra, un pensiero grave percorreva la sua fronte. Egli o stimolava riscaldando un'intelligenza sepolta e invocando il soccorso degli avi. Pressava se stesso perchè riuscisse a trovare il filo delle idee che avrebbero dovuto condurlo ad essere fortunato quella mattina coi due passeggeri bianchi. Era stato così delicato e ossequiente con loro da fermarsi davanti a tutti i palazzi dove loro comandano, aveva dato le spiegazioni che altre volte avevano provocato grandi sospiri di orgogliosa soddisfazione; perchè tutto ciò adesso non aveva più valore? All'improvviso succedeva qualche cosa di incomprensibile, capitavano dei clienti ngiusti, i quali non tenevano in alcun conto l'educazione insegnata finora. E così gli avi gli ricordarono il felice e tranquillo passato di Singapore ; dal suo torpore una coscienza ancora addormentata gliene ricordò la esistenza. In un luogo dove una parte di esso era sepolta non erano rimaste che alcune antiche e logore targhe di pietra.coi nomi dei morti; all'ombra delle magnolie riposavano gli scheletri consumati e i vecchi spiriti. Senza nemmeno accorgersene, egli ci condusse dove tutto questo era sepolto. Lì era old, come noi gli avevamo chiesto. Questo spettacolo ci commosse. Trovammo molta desolazione nel piccolo cimitero. Oltre alle erbe selvatiche vi crescevano delle piante di camelia e degli alberi nani. Per terra le piccole foglie secche, le scorze, i filamenti formavano uno strato di soffice sabbia polverosa. I piedi vi affondavano. Attraversammo in silenzio quel morbido terreno. Era una specie di vecchio orto abbandonato alla siccità, all'estate e alla solitudine. Qualche corvo sonnecchiava sui rami degli alberi, altri gracchiavano languidamente nell'aria. Di una famiglia che abitava in fondo al recinto nessuno osò venirci incontro. E noi risalimmo sulla vettura soddisfatti di ciò che avevamo veduto. All'orizzonte, sopra le folte chiome dei palmizi, spuntavano le grige ciminiere di alcune fabbriche e il fumo bianco che usciva da esse. Laggiù c'erano i sobborghi di Singapore. Ai lati della strada si cominciava a vedere qualche tempio di religioni diverse; qui il tempio cinese, colori gialli e rossi, targhe dorate, grandi vasi e lampioni sull'ingresso ; lì itempio mussulmano, colori bianchipareti lìsce, arabeschi. Infine arri vammo davanti a un tempio costruito in cemento armato. Trattandosi di roba moderna, l'autista naturalmente fermò. Era un tempio siamese denominato The tempie of Lord Buddha. Sulla facciata, oltre a una lunga dicitura tradotta dalla lingua originale si leggevano queste due date: 2475 - 1931. Nel centro della strada 1 questuanti dei vari templi ci circondarono cercando di indirizzarci ciascuno alla propria religione, che consisteva nel cavarcqua e là del denaro, ma prima dtutti ci attrasse il tempio cui era stato dato il titolo di Lord Buddha. Vsi respirava all'interno un'aria fresca e pulita come in certi mattini primaverili. Tutta laccata di biancoalta cinquanta piedi dal suolo e fornita di mille lampade elettriche, la statua ricordava il candore di certstanzini da bagno. Su quella vernice erano state passate leggere strisce dgiallo e ai piedi si vedevano delle figure di prime donne, di uomini dabaffi spinosi, di fanciulle nella posa di reclamare un qualche diritto. Insomma, un abbominevole connubio di falsa modernità e di tradizione rappresentava l'ultimo grido della religione siamese. Poco distante cominciava la terra smagliante e un intenso profumo di ananassi. Una fila di carri trainati da bufali partiva da una fabbrica di ananassi in iscatola. Limitate da boschi di palmizi, apparivano le prime baracche degli indigeni. Stuoie, pezzi di latta, tavole servivano da riparo agli uomini. Con le ultime fabbriche finiva il progresso, la civilizzazione, il lavoro a serie; cominciava la grande e disordinata libertà della giungla. Il mio amico volle esser fotografato al confine di questo mondo. La fotografia doveva avere lo scopo di stabilire che eravamo su un terreno di confinefra la verginità e l'asfalto, fra la foresta e le macchine. Per esaudire il suo desiderio, io scelsi come sfondo il muro di cinta di una di quelle fabbriche sul quale a caratteri cubitali era scritto: S'utgapoor. Presi la fotografia in modo che le letterealle spalle della figura servissero da documento. Poi toccò a me di essere fotografato, mentre mi provavo a camminare in mezzo ad alcuni acquitrini dove pascolavano dei cavalli selvaggi. CORRADO SOFIA

Persone citate: Corrado Sofia

Luoghi citati: Singapore, Venezia