Incontri e sorprese nel deserto dancalo

Incontri e sorprese nel deserto dancalo Incontri e sorprese nel deserto dancalo Le feroci usanze degli Aussa L'orzo e il tè caduti dagli aeroplani italiani -- L'inganno del marabutto (DA uno dei nostri inviati) i Frontiera franco-etiopica, ottobre. Sul deserto dancalo, la notte è\ caduta da tempo. Eppure, io non [posso dormire. Noti mi permetteìil sonno l'impressione oscura ed 1 inquietante che la sabbia, sulla Iquale sono disteso, sia piena di ru-[emori. Mi muovo, così, mi (/irò e\'riniro, mi sollevo sulle braccia c\sto in ascolto. Nulla, soltanto il si biìo del kamsin, il torrido vento rosso, e la luna, che avvolge il paesaggio circostante d'una luce densa, umidiccia ancor più d'un vapore. Forse è tale luce strana che, evocando l'aspetto degli astri spenti in fondo agli abissi cosmici, crea quell'impressione d'incubo, che le raffiche del kamsin aumentano e mi fanno sentire maggiormente. Peggio delle iene Eppure, no! Non e una semplice allucinazione del vento e della notte, che opprime i polmoni, ap-\pesantisce la testa, annebbia, il\cervello. Anche il maresciallo Ri vaux, comandante la sezione meharisti soffre la mia stessa inquietudine. Anche lui sta sollevato sulla, coperta di capra nera e tende l'orecchio. Ed ecco, ad un tratto, dalla lontananza i rumori imprecisi arrivano più. distinti e sono dapprima, come il muoversi e l'agitarsi di migliaia di persone e, qualche attimo appresso, come i lamenti e le urla di bestie affamate. ■— Sentite? — esclama il sottufficiale, scattando in piedi — Queste san urla di donne aussa. E, senza aggiungere altro, esce dall'accampamento, avviandosi di corsa verso un meharista di scolta sul cucuzzolo d'una collinetta vi~ dna. Lassi!, alla luce lunare, io lo vedo avvicinarsi all'ombra della sentinella, trattenervìsi qualche tempo, indi tornarsene sempre di]' corsa. E, appena mi è vicino: — Sono loro! — esclama. Ma, poiché alla notizia io non mi allarmo eccessivamente, aggiunge: — La notte successiva al massacro di Bernard io le sentii urlare così; mentre erano intente a mutilare i cadaveri. Nella penombra, io vedo i suoi occhi di falco luccicare e tremare sotto la lontana visione dei supplizi. Poi, con una smorfia, egli sputa: — So?» peggio delle iene, queste cagne! I meharisti francesi chiamano così le donne dei razziatori aussa. Ma U sottufficiale si riprende subito. E, come per cacciare la propria e la mia inquietudine, mi avverte: — Sono accampate attorno al pozzo di Kalassa. Non si muoveranno per tutta la notte. Domani, all'alba, andremo a rendere loro visita. Per ora cerchiamo di dormire. Buona notte! II nostro campo si trova a due chilometri dal pozzo, sul declivio d'una collimi, che lo domina. Arrivammo lì dopo ima giornata durissima. — Meglio fei-marci lontano dal pozzo ■— esclamò Rivaux, al nostro arrivo. — Come nel Saliara anche in Dancalìa i punti d'acqua son luoghi di brutti incontri. I fuggiaschi sotto l'azione aerea dei vostri finiranno tutti sui pozzi e non è bello vederseli capitare addosso di notte. — Voi, allora, credete?... — Io credo, appunto, che Mohamed Daho e i suoi compagni siano semplicemente delle avanguardie. Mohamed Daho, il guerriero dalla penna di struzzo, e i suoi compagni, .stamattina, partirono sotto buona scorta verso Dikkil, mentre noi si riprendeva la strada lenta dei nomadi alla mercè di un'imboscata. Quasi a rispettare il miracolo del deserto, i nostri mehara evitavano coti cura ì fiori d'asfodelo, che sbocciavano con la gioia dei fiori effimeri, minacciati dalle prime raffiche funeste del vento. Calpestavano invece i ciuffi di gramignacee, che il grigiore e la durezza rendevano quasi simili alla terra del deserto ed ingoiavano voraci certi minuscoli arbusti dalla strana forma di parusoli cinesi. Ma questi arbusti non davano uè ombra nò frutti: sembravano trasparenti tanto le loro foglie erano gracili e leggere, il loro verde, pallido quasi vitreo, come se il sole ne avesse succhiato tutti gli umori. Due candidi giovinetti Esseri viventi sulla nostra marcia ne incoiitrammo pochi: per tutta la mattinata, un solo stormo di pernici d'Affrica e una gazzella cosi ossuta e magra, che il maresciallo Rivaux non la giudicò degna manco d'una pallottola. Poi il vuoto, la desolazione, il silenzio e. la stanchezza d'una marcia inquieta ed inquietante. La monotonia quasi sovrumana del paesaggio era per me aggravata dall'anchilosi della lunghe ore di sella. Sentivo le ossa rotte, i muscoli pesti, i reni sfiancati. Tutta la mia epidermide era in fiamme, tichettata di puntini rossi, una specie d'orticaria, che i francesi chiamano bourboullle e i medici definiscono « liohene d'Affrica *. A volte, stordito dalla vibrazione metallica della luce e dalla potenza ossessionante del sole, io avevo l'impressione di dovere continuare così all'infinito. Le sorprese in tanta monotonia ce le riservò il pomeriggio. Poco dopo l'ima, difatti, si ripete la scena del giorno precedente: alcuni fantasmi parvero muòversi di nuovo sulla linea dell'orizzonte, dove il sole moltiplicava all'esasperazione i fuochi e i colori d'artifizio. E la stessa precisione di Ahmed Forah, la guida somala, ne fissò il numero a d'ie e la. direzione a sud-est, mento l'identica, veloce manovra di ac- cerchiamento ci permise di cattu-1 rarli Poco appresso. Si trattava di due magnifici esemplari di Assaihammara, ap-\perìa quindicenni. Alti, smilzi e secchi, a tutta prima vii sembra- rono franili e poco resistenti. Ad ! esaminarli bene, invece, mi appar- \'vero fatti di flessibile acciaio. Una [l"»cia a forma di giavellotto con un legno lungo due metri e un col- j tellaccio a lama ricurva costituì- vano le loro armi offensive, men-\tre formava la loro difesa uno scu-i do di cuoio molto spesso, sul qua- \ le brillavano qua c là graffiature] di con» penetranti. Nessun dub-\bw: 1 due giovincelli erano già venuti alle mani con qualcuno. Ma uè l'uno nè l'altro issavano sul cranio la penna di struzzo e nemmeno esibivano al polso il cerchietto di ferro, il muto denuncia* tare d'un omicidio compiuto. Co¬ \tenev" •"'*> ballonzolava una minu\scola saccoccia di. pelle. A vederla, , me vestito, un semplice straccio U\avvolgeva ai fianchi. Ma dalla | !?fJ° '' ' |il maresciallo Rivaux. aguzzò lo sguardo. — Che cosa contiene f — Il to-lò. Il to-lò è l'amuleto, che preserva chi lo porta meglio di un'armatura di ferro. Diffidente, il sottufficiale volle accertarsene de visu. E non ebbe torto. Le due borse non contenevano affatto Vamnleta\ portentoso e nemmeno un pizzico] di tabacco da finto o da fumo.] Quello che ne saltò fuori quando vennero aperte, provocò l'arresto immediato dei due giovanotti sotto l'incolpazione d'omicidio. Il Kamsin Questa, la prima sorpresa della giornata. La. secondo l'avemmo alle quattro in punto. Si costeggia' ]«ino le estreme pendici dei monti ' Kalassa, un tormentato groviglio di basalti violacei e dì lave plumbee, coperte, di tanto in-tanto, da larghi strati di efflorescenze saline. Ad un tratto, come se bollissero per un fulmineo aumento deiIn calura, i fiori d'asfodelo incominciarono a dissolversi. ■— Il Kamsin! — gridarono ' meharisti, tirandosi sul volto il velo come i nomadi sahariani. E, subito, il kamsin arrivò carico di sabbia, schiaffeggiando gli uomini e crepitando sulle foglie metalliche degli arbusti, come la grandine sui tetti delle case. Soffiava a raffiche e, fra una raffica e l'altra, nell'atmosfera densa, imprecisa e vaga restava, con una specie di soffoca/mento, un raggiare rossastro più torrido del fuoco nudo del sole. La marcia divenne diffìcile: si avanzava a sbalzi, quasi a tastoni. Verso sera, sempre sotto l'infuriare del iwnto rosso, mettemmo l'accampameli to, In queste regioni è regola assoluta organizzare, ogni sera, un vero accampamento difensivo coni ridotte per le mitragliatrici, trincee per gli uomini e, tutt'intorno, una siepe di arbusti spinosi, che meglio d'un reticolato riparano dai corpo a corpo dei razziatori. Per due ore, lavorammo così, bevendo sabbia, mangiando sabbia, respirando sabbia. E la notte, che venne, non vi portò nè ristoro nè frescura. Alle quattro del mattino, dopo 12 ore, il kamsin finalmente cadde con l'esattezza cronometrica d'un Alpina-Gruen. l e l a a e o i o , i e i i a i l II racconto del cieco Adesso, all'alba, la sezione meharisti ha già acceichiato il gruppo delle donne, che urlavano nella notte come bestie affamate. E davvero come un branco di animali selvaggi, esse al nostro arrivo si serrano le une contro le altre e ci fissano con occhi crudeli. E qui, ci capita un'altra sorpresa. Il maresciallo Rivaux sta tentan- 1do di interrar/arie, quando un uo mo sì leva di dietro al branco. — Tu qui?— esclama con stuP0,e « sottufficiale, L'uomo S'avanza, alzando verso di noi i suoi occhi brumosi di eie co. Lo saprò più tardi: è mi vec 0M0 meharista diventato cieco in [combattimento, —Che cosa fai? Accompagnato da nuvole di pic cole mosche verdigne, il disgraZiato s'avvicina ancora un po' prima di rispondere. E poi rac\ conta: ] _ L'estate scorsa, un marabù t\t0i che Dio lo maledica, venne a zssDikkil e mi promise venti montoni, se lo seguivo. Accettai, perchè come tu sai, io vivevo a stento della mia magra pensione e delle elemosine che tu mi davi porta della tua casa... Il mara, butto mi portò nella pianura di \Henlé< ,a dì ln dei mmlU Demper | e ,„ ,„ regime „cl laqo Han- *»• Si Pesava di tribù iii tribù. |« Vedete? — egli diceva mostrandomi alla gente riunita — un filtro fatale gli rode gli occhi e, a poco a poco, lo consuma. L'ha ricevuto dai francesi, questo filtro. Ma il filtro che gli italiani danno è ancor più nefasto; perchè gli italiani ne hanno imparata la formula dagli stregoni somali. Essa è composta, mi dicono, dalla polvere di asfodelo nero mista al cer¬ sulla' " \ vello dei cadaveri... » ] — E come finiva tale, ] strazione ? dimo¬ i E e . . - — Così: « Andate a combattere contro gli italiani e a sterminarli. Altrimenti daranno anche a voi il filtro fatale ». Molti gli credettero, fra cui gli Aidohammara, a cui appartengono queste donne. Costoro andarono alla guerra portandosi dietro donne, fanciulli e armenti. Ma, mentre gli uomini s'avviavano verso le frontiere, le donne rimasero nei dintorni di Dado. Purtroppo, la mancanza di ogni pastura rese i montoni inagrì e secchi come ciottoli e finì di ucciderli uno ad uno. I montoni erano già morti tutti e pure molte donne c fanciulli, quando arrivarono gli aeroplani italiani... — Gettarono bombe? —■ Pare di si. Ma nessuna di esse scoppiò. Cadevano al suolo soltanto con un rumore sordo. E non erano affatto di ferro e di fuoco, perchè una toccando terra, si aperse e, invece di fiamme, ne uscì dell'orzo, del caffè e del thè. « Non toccate! Son cibi avvelenati! » gridava la vecchia strega della tribù, quella che danza nuda durante la mutilazione dei cadaveri. Incredulo, io mi feci portare da alcuni fanciulli un po' di thè e d'orzo. L'orzo scricchiolava fra le mie dita con suono cristallino e il thè aveva un profumo così soave come nessuno di tutti i thè comperati dui mercanti arabi o greci. Avvelenato tutto questo? Esitai un poco, avendo anch'io paura. Ma poi la fame fu più forte d'ogni esitazione. Se dovevo morire, non era meglio morire di veleno che di fame? La morte sarebbe arrivata più in fretta. Mangiai l'orzo, dunque, bevettì il thè e attesi la morte. Ma essa non venne nè dopo un'ora, nè dopo due e nemmeno dopo il giro completo del sole. — Allora ? — Allora tutti si precipitarono a raccogliere... le bombe degli italiani. Ma tu lo sai: nel deserto, le notizie si diffondono in fretta. Dopo due giorni, il sultano Mohamed Yoyo era già li... — Per fare che cosa ? — Per sequestrare quanto rimaneva delle bombe e cacciarci via dalla regione, perchè avevamo toccato le bombe senz'avvertirlo. — E adesso? — Adesso, le donne hanno capito di essere state ingannate dal marabutto e, a mezzo mio, ti chiedono di ospitarle nel tuo territorio, fino al giorno in cui gli italiani saranno arrivati nel loro! Paolo Zappa.

Persone citate: Ahmed Forah, Gruen, Mohamed Daho, Paolo Zappa