Il generale De Bono nel Tigrè riconquistato di Guido Baroni

Il generale De Bono nel Tigrè riconquistato Il generale De Bono nel Tigrè riconquistato Una colonna di mille armati passa all'Italia ed è concentrata ad Àdigrat L'Alto Commissario fra i soldati e gli operai (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) Adua, 14 mattino. Siamo partiti dall'Asinara nel tardo pomeriggio di ieri: la giornata, era bellissima. Abbiamo filato verso Adi Ugri e Adi Quala per raggiungere il Mareb che segna il limite del nostro vecchio confine. Via, via, lungo il nostro cammino abbiamo veduto interminabili colonne di autocarri che portavano verso le ione riconquistate rifornimenti di ogni genere. Centinaia di operai lavoravano indefessamente lungo la strada per la definitiva sistemazione e lavoravano nei campi; nei boschi, nelle macchie a trivellare pozzi di acqua che risulta sempre abbondante. Qua e là, vicino a enormi baraccamenti si ammassano quantità cospicue di materiali di ogni genere. Sono poderose macchine e minuti utensili da lavoro: trattori, compressori, autocisterne, autoperforatrici, autocarri, e poi enormi quantità di filo di ferro, di attrezzi e cataste di legname per armature. Via, via, mentre avanzavamo lungo la nuova, strada aperta a forza di braccia e di volontà dai nostri operai e dalle nostre compagnie del Genio, abbiamo incontrato vasti aggruppamenti di truppe, di Camicie nere che alt passaggio dell'automobile dell'Alto Commissario lanciano il loro « Alala » al Duce, all'Italia, ad Adua vendicata. Abbiamo pernottato ad Adi Ugri. Ma, stamane, la marcia è ripresa di buon'ora. Il generale De Bono, lungo tutto il cammino, si ferma e viene ossequiato dm comandanti dei reparti, si interessa della vita delle truppe che si trovano in eccellenti condizioni di spirito e di salute. Tutti non chiedono che una cosa: avanzare. Adua ha riconfermato nel cuore di tutti i nostri soldati la felice certezza più che la speranza che vinceremo contro tutti i nemici, neri e bianchi. La Gioventù della nuova Italia ha bisogno di respiro. Vuole far vivere il nostro Paese, vuole affermare la nòstra invincibile sovranità dove da lungo tempo si tramava ai nostri danni contro la sicurezza delle popolazioni a noi fedeli; vuole dare prosperità a quelle zone da noi conquistate con le armi, col sangue, col lavoro. Le popolazioni, al nostro passaggio escono dai tukul e salutano festosamente alzando il braccio nel saluto romano. L'atmosfera si riscalda al nostro Avvicinarsi alla città riconquistata. Oggi è giorno di festa. Le popolazioni respirano un clima nuovo. Sentono presente, possente, intangibile la forza e la volontà di Roma e del Fascismo. Arriviamo cosi in vista della fertile conca di Adua che sembra chiusa in una cinta di alte creste pietrose, di valloni, di crepacci aridi, paurosi. Nei campi i fasci di granturco e le macchie verdi dei pascoli rompono l'aspetto duro della montagna con una nota ricca di fertilità che è promessa di vita. La piccala città tigrina è cinta da un muro di sassi e di tufo, oggi rovinato dal tempo. L'incompiuto castello di Re Teodoro, su cui oggi sventola il tricolore, e da dove puntano verso il sud le nostre mitragliatrici, domina tutta la piana. Arriviamo. Rimbombano le salve di artiglieria. La musica intona la Marcia Reale e Giovinezza. Durante l'intera giornata le per. foratrici, le trivellataci, i martelli pneumatici hanno riempito l'aria dei loro colpi contro le roccie nelle quali scavavano il foro per la carica delle mine, o battendo dentro terra i tubi sonda che dovranno portare ai nostri nuove provviste d'acqua: il frastuono di queste macchine non ha cessato per un momento, nemmeno quando una nuova squadra, di operai è venuta a dare il cambio all'altra, neppure quando è passato virino ai lavoratori il corteo di automobili che portava ad Adua l'Alto Commissario: all'opera di organizzazione delle retrovie, aveva ordinato il Generale De Bono, non si doveva togliere, e non è stato tolto, nemmeno un minuto di tempo. Si annuncia da Adigrat che nel pomeriggio di ieri un'altra numerosa colonna, composta di un migliaio circa di armati, si è presentata ai nostri avamposti a sud di Adigrat sulla strada di Macallè, chiedendo di passare nelle nostre file. La colonna fu fatta accampare in vicinanza e sotto sotto la sorveglianza di un piccolo contingente di carabinieri a cavallo e di una compagnia di ascari, mentre i capi della colonna erano accompagnati al quartier generale del primo Corpo d'Armata. L'atto di sottomissione è stato accettato dal nostro comandante ed allora è stato dato ordine ai nostri posti avanzati di farla procedere entro le nostre linee: le armi della colonna — 1000 nuovissimi fucili marca «Herstal», che erano stati legati in fasci fino al momento in cui la colonna si era presentata per la sottomissione — e un nsdnrmlnlqfqplerMstavcizftsdezRisatccslcscecssso• numero adeguato di cartucce sono stati caricati su una cinquantina di muli e portati ad Adigrat. I componenti di questo grosso nucleo di sottomessi sono tutti di razza tigrina: uomini forti, in maggioranza giovani, e in generale in buone condizioni di nutrizione. Qualcuno di essi, che è stato a lavorare in Eritrea o che ha frequentemente varcato la nostra frontiera, parla un po' di italiano: questi hanno tenuto a dire e a ripetere ai nostri soldati che essi volevano combattere, ma combattere gli scioani, non i « soldati di Mussolini », e mentre dicevano cosi invitavano i loro compagni a tradurre in gesti di consenso e di approvazione quello che essi andavano dichiarando. Guido Baroni I VOLONTARI continuano ad affluire a migliaia da tutte le città d'Italia e dall'estero. Ecco gli italiani di Tangeri, che hanno chiesto ed ottenuto di partire per l'A. 0., al loro arrivo a Napoli

Persone citate: De Bono, Duce, Mussolini, Re Teodoro, Tigrè