Il Duce accollo a Bolzano da imponenti manifesiazioni di popolo

Il Duce accollo a Bolzano da imponenti manifesiazioni di popolo La Nazione in armi è pronta a tutte le prove Il Duce accollo a Bolzano da imponenti manifesiazioni di popolo L'irrevocabile volontà dell'Italia nelle dichiarazioni di Mussolini al "Daily Mail,, Quando entrate nella zona delle operazioni di queste manovre, oltre all'aspetto dei luoghi, nostalgico per i molti ricordi della guerra e del dopo guerra immediato, vi colpisce la serietà degli uomini. Serietà che significa sicurezza nel comando da parte dei capi, comprensione profonda delle ragioni dell'ubbidienza da parte dei gregari, dignitosa compostezza di tutti. n fenomeno cade sotto i sensi prima ancora di giungere alla ragione e di imporsi alla meditazione: prima ancora che lo possiate esaminare vi si presenta evidente come una sintesi fortemente fondata. Direi che è un fenomeno visibile o tattile, a scelta di chi possa preferire l'una o l'altra imagine. Il soldato fascista, intendendosi nella grande parola compresi capi e gregari, non è più quello dell'anteguerra, o se volete anche della guerra, generoso, pieno di slancio, eroico, ma talora disordinato e sempre a tendenza cosi spiccatamente individuale da apparire un poco anarchico; è un altro, è composto, in dignità piena, mai disordinato, mai loquace. Nessuno si « ammoina ». Tutti agiscono consapevoli delle loro funzioni, come se un filo invisibile li guidi e ne regoli ogni movimento. Non si vede il minimo ingombro sulle strade e questo appare un miracolo se si pensa agli italiani prima del tempo di Mussolini. Non si ode più uno strillo, e questo è doppio miracolo per chi conosce l'antico stile di comando chiassoso e loquace, che voleva l'ubbidienza e non riusciva che a disorientare anche il subordinato più intelligente e più disposto alla ubbidienza cieca, rispettosa ed assoluta. Perchè è certo che il su periore che strilla nei momenti gravi e difficili, dimostra di non conoscere il suo mestiere. Qui tutti lo conoscono e questa mac china, muovendosi come si muove tutta in perfetta sincronia, mi sembra mirabile e come guidata da mani fatate. Per un vecchio arnese di guerra come sono io questa constatazione, questa mirabile serietà, questo ordine perfetto sono il più alto conforto e la più assoluta certezza. Non è il caso di ripetere che una volta le cose non stavano cosi. TP * Questo reggimento di artiglieria di Corpo d'Armata funziona come un orologio. Il comando ha sede in una delle scuole rurali dell'Italia redenta. L'aula è più ordinata e pulita, come del resto tutta la casa, di quando la abitano i bambini e la maestra fa scuola. Il colonnello parla a voce bassa tanto che a tre metri di distanza non lo si sente e posso scrivere senza averne il menomo disturbo, tutti gli altri tengono lo stesso tono e le cose vanno avanti senza un intoppo a questo modo. Se cammino per le mulattiere o per le carrareccie della montagna, là dove hanno sede i quattro gruppi dipendenti, ciascuno su tre batterie, vedo qualche soldato qua e là, visibilmente diretto ad una méta e noto dai solchi profondi scavati nel fondo stradale e già riempiti da un successivo lavoro, che sono passate le trattrici a portare i pezzi al loro destino. Per trovare i pezzi il mio occhio di vecchio soldataccio deve faticare alquanto. Sono mascherati ottimamente non soltanto alla osservazione aerea ma bene anche a quella terrestre. Gli osservatori nemici dovrebbero guardare alle vampe di un tiro notturno per vederli ed individuarli, anche se lo schieramento offensivo, arditissimo e presupponente un esercito lanciato in un'azione a fondo nella guerra di movimento, parrebbe doverli rivelare con una certa facilità. Chi schiera le artiglierie cosi ha la consapevolezza piena che l'artiglieria è al servizio della fanteria, ed è dotato di uno spirito offensivo ed aggressivo tale da farlo apparire degno Capo di questi soldati. Qui c'è chi sa lanciare l'anima oltre l'ostacolo, come cosa che non sia più sua, per poi andarla a raccogliere. Dove tali capi mancano, dove il metodo, la preparazione, la serenità, la sicurezza pacata e quasi gioconda vengono confusi con assenza di slancio aggressivo, di spinta interiore, dove l'analisi domina sulla sintesi col pretesto della prudenza, l'esercito porta nello zaino dei suoi soldati non già il bastone da Maresciallo di napoleonica memoria, ma le più micidiali colture di bacilli di sconfitta. La prudenza è una delle virtù capitali, ma quella cui si richiamano le sacre scritture è altra cosa, che non ha parentele col turpe peccato della viltà. #** Qui siamo fra gente seria, veramente seria: non si conoscono lelep«uasdtnclrqmpsgmcdsvqrstlpeadmriesmditvspit«nclGrlviscpts a o l a o o e i n i i a , o a a a i a i a i ù eo le « sbruffonate », quelle che per le Scritture sono l'antitesi della prudenza; le commcdiole della « guerra in tempo di pace » sono ugualmente ignorate. Il « giocare alla guerra » è sostituito da questa atmosfera che allarga il cuore di un capo. Tutto è semplice, tutto è normale, tutto è nell'ordine naturale delle cose: se il nemico ci stesse realmente davanti sulla linea di contatto stabilita dalla direzione della manovra si udrebbe qualche colpo di cannone più o meno stanco, qualche sibilare di proietto, qualche schianto degli scoppi di quelli che arrivano a segno sulle nostre e sulle linee nemiche e, vicini come siamo, qualche gracidare di mitragliatrice o di fucileria, nulla più. Tutto il resto della vita avrebbe lo stesso volto che ha in questo momento e questo modo di vivere, al quale ritorniamo con un senso di nostalgia, ci parrebbe normale. Per troppi secoli ogni generazione della mia gente e della mia terra ha provata la guerra, perchè, quando essa viene, vera o supposta, non appaia, risalendo dai sedimenti dello spirito, come un regime normale. Un popolo ed una classe dirigente che vogliano conquistare il destino, come lo vuole l'antica e non obliabile nostra dottrina fascista, debbono considerare veramente la guerra come un modo di vita. Di vita o di morte, ma, infine, tale per cui si deve più sentire che pensare che non si possa vivere o morire meglio di cosi. Un popolo in armi, come questo, ed una gerarchia, ad un tempo di ferro e di amore. Vi ha chi, in qualche tempo, ha dimenticata tutta questa stratificazione di « quadri », cui la Chiesa ha posto nome « Gerarchia - Governo sacro » e dalla quale gli eserciti e la vita civile hanno tolto il nome: Governo per la sacra vita guerriera e per la sacra vita civile, se lo Stato in tutti i suoi volti sia, com'è, sacro! Se lo Stato, oltre la ventura degli altissimi seggi — invero altissimi in queste ore piene di destino sopra questa formidabile stratificazione guerriera e civile, e l'una profondamente permeata dell'altra, non avremmo più l'ordine fascista: avremmo dei soli senza costellazioni e il caos d'intorno; il disordine, non l'ordine. Perchè quello che più allarga il mio cuore di vecchio soldato e di uomo adusato ad un ventennale comando, nelle circostanze più difficili, senza soluzione di continuità, è appunto quest'ordine, questa armonia. Divina armonia di guerra, dove tutto è serenità. Serenità questa dei soldati tutti in faccende, tutti compresi di una missione collettiva da compiere ed intenti, nello stesso tempo, a compierne una singola e personale. Serenità questa dei quadri dei Capi, che dividono lo sforzo ed assommano nello spirito e nella volontà lo sforzo collettivo, senza che il grande gioco di questa grave fatica apparisca pesare su di loro e come se questa fosse da secoli la vita normale da viversi per poter vivere. L'armonia infine fra l'uno e l'altro strato di tutte queste gerarchie fino all'ultima cellula, fino al soldato. Tutto ciò è caratteristico agli eserciti grandi e saldi, ma la evidente perfezione di quello che oggi qui vediamo è meno facile, assai me no facile quando si consideri che questo esercito si è recentemente triplicato senza sentire, come è chiaramente visibile, anche la più lieve crisi di crescenza. Ma, fra tutte queste confortanti constatazioni, una ne vogliamo fare, che è antica per i veterani ma che è grande, e tutta nostra, inimitabilmente italiana, certamente figlia di Roma. Quest'armonia, questo ordine fascista, questa disciplina romana hanno per fondamento l'amore, soltanto l'amore, null'altro che l'amore. Non è un caos di gente raccolta alla rinfusa che si prepara a battersi per la grandezza e la gloria del Re sotto la guida di un grande Capo; ma è tutto un potente congegno, dove il gioco delle sfumature del comando è senza confini, ma ben determinato nei passaggi; da noi che lavoriamo stretti intorno a Chi dobbiamo ubbidire, fino all'ultimo anello della scala gerarchica, tutti pervasi e guidati da questa grande legge di amore. Da questa discende la soldatesca compostezza e la granitica unità del popolo italiano, guerriero ad un tempo e lavoratore. Guardate con me ai margini di quel vigneto quel soldato bello, elegante nella sua uniforme, rigido sull'attenti, come sorride al suo sottotenente che lo comanda! Quel soldato è il popolo italiano, e quel sotottenente, non meno popolo, è il rappresentante legittimo di tutte le sue gerarchie. Chi guarda, come io guardo, si compiace e giura per l'avvenire, qui ed in Africa. De Vecchi di Val Cismon. non'pogglasseI:J_,_,,_ _..._..,„ \ BOLZANO — PIAZZA VITTORIO EMANUELE CON LA FOLLA IN ATTESA DEL DUCE

Persone citate: De Vecchi, Duce, Mussolini

Luoghi citati: Africa, Bolzano, Italia, Roma