Battaglie senza tregua di Giuseppe Ambrosini

Battaglie senza tregua Battaglie senza tregua (Dal nostro Inviato speciale) Bruxelles, 19 mattino. Questa giornata era cominciata roppo bene per le maglie azzurre — un campione d'Italia si era eleato a campione del inondo — per oterci, poi, dichiarare soddisfati di come è finita. Se un titolo è tornato meritoriamente in casa nostra, l'altro ci è fuggito, sia per la delusione prourataci dall'atleta mantovano he riscuoteva la maggior fiducia^ ia per la sfortuna che ha voluto olpire il giovane « asso » ligure el momento decisivo della contea: due clementi imprevisti e imrevedibili, introdotti dalla sorte, he hanno falsato l'esatta espresione dei nostri valori in campo. Di fronte, quindi, alla soddisfazione di una conquista, sta l'amareza di una sconfitta e questa prevale, forse, su quella, non solo perhè le due poste erano di diverso valore, ma anche perchè la maggiore ci sembrava più a portata di mano che non la minore. Campione a vent'anni Ma, forse, nel fare questo bilancio della giornata ci fa velo l'aspirazione che sempre assilla quando l'azzurro scende in campo inernazionale e che non è completamente soddisfatta che dalla vittoria piena. Se, però, consideriamo che nessun'altra Nazione può vantare meglio che un primo e un quarto posto e che la Francia ha\ subito unq rotta su tutta la linea,' dobbiamo essere lieti di rilevare questo primato assoluto che da due anni ci era stato sottratto. Il progresso, quindi, può essere il segno graduale della ripresa del nostro sport e va messo in risalto dopo la nuova grande affermazione che pone, bisogna onestamente riconoscerlo, il ciclismo belga del 1935 al di sopra di ogni altro. La duplice manifestazione di Floreffe, favorita da una giornata di estate nordica, presenziata da una folla, che non si esagera valutare a oltre duecentomila persone, ha avuto un unico aspetto dal lato sportivo e tecnico, che è quello dell'estrema difficoltà della lotta. Il circuito tanto discusso e da alcuni malfamato si è. dimostrato un severo e anche esatto graduatore di valori. Se la percentuale degli arrivati fra i dilettanti è stata più alla che fra i professionisti, ciò si deve, oltre a tutto, al fatto che i primi hanno atteso metà gara prima di venire ai ferri corti, mentre ai secondi è bastata una rapida presa di contatto per trovarsi subito seriamente impegnati. Poche volte un titolo mondiale è stato guadagnato da un dilettante in modo limpido e convincente come questo da Mancini. Il bel corridore toscano ha compiuto un'impresa che, a mia memoria, non ha precedenti in questa prova: quella di vincere senza dover ricorrere alla volata, cioè staccando di forza. Impresa, dunque, improntata a chiara superiorità atletica, ma, bisogna dirlo subito, anche a brillante spirilo di iniziativa e ad una tale finezza tattica da stupire in un ragazzo di poco più di venti anni. La gara non è stata un esempio di combattività nella sua prima metà e in essa il vincitore ha tenuto un contegno guardingo, osservatore, temporeggiatore, dal quale è uscito per sferrare senz'altro l'offensiva che doveva portarlo al successo; e in questa è stato energico e intelligente, ha saputo sfruttare la preziosa collaborazione di Grundhall e dargli, poi, astutamente la stoccata de¬ cccnecp cisiva, reagendo di misura con calma e precisione al contrattacco finale di Charpentier. Mancini non aveva dimostrato ancora di essere un «fuori classe »; oggi ha collaudato un grado di valore che potrebbe essere la base di una cpci ftbpescghllsua maturità di campione di grande avvenire. Bizzi è stato certo più ardimeli toso del compagno all'inizio, ma si è lasciato prendere di sorpresa dalla sua ìnossa, e poi non si è più potuto svincolare al pari di Del Cangia dalla stretta in cui lo hanno chiuso gli inseguitori. Del resto, una volta fuggito Mancini con uomini che egli avrebbe, poi, logicamente potuto dominare, sarebbe stato pericoloso che proprio ì suoi compagni si accanisseroi encll inseguimento; cosicché si può ,concedere tanto a Bizzi quanto a | Del Cangia l'attenuante, che è an che un merito, del sacrifìcio coni piuto per i colori comuni. Ha sorpreso la prova del danese Grundhall su di un percorso simile; Charpentier, indubbiamente il migliore nel finale, ha commesso l'errore di muovere al contrat- Mtacco troppo tardi; lo svizzero\Nievergelt e il francese Vergili ìsono crollati alla fine. L'uomo più regolare Ma una vera ecatombe di uomini si è avuta nella categoria maggiore. Per parlare solo delle Nazioni favorite, la Francia ha perso tutti e tre ì suoi rappresentanti, l'Italia due, il Belgio, uno; in totale si è avuto l'ottanta per cento di caduti e i superstiti hanno finito tutti sulle ginocchia. Segno che la battaglia è stata furiosa, in campo insidioso, le armi usate micidiali. La cronaca vi dirà chi furono\gli autori dell'attacco e chi le vittime, ma qui voglio rilevare come la gara non aveva dato a nessuno respiro e tutti strinse alla gola, all'offesa come alla difesa. Attraverso questo incessante accanimento, Giovanni Aerts considerato generalmente un veltro, ha trionfato alla maniera forte, con inequivocabile superiorità di mu scoli, di cuore, di cervello. Del jresto, chi ricorda che, otto anni [ fa, il belga conquistò il itlo diale dei dilettanti proprio su quel terribilmente duro circuito di Adenau che vide nello stesso giorno trionfare Binda, deve riconoscere che il vincitore odierno è un uomo capace di qualsiasi impresa in una corsa in linea, sia pure essa difficile per percorso e aspra per combattività. Aerts deve in gran parte il suo nuovo titolo alla prontezza e alla decisione con le quali ha saputo sfruttare, prima, l'iniziativa di Danneels e Archambaud, poi, quella di Monterò; ma, soprattutto, alla sua tempra di combattente, che le riserve nervose sostengono magnificamente e a lungo, perchè egli è stato oggi l'uomo più continuo e regolare. Dopo aver, accennato al calare di Danneels verso la fine, alla sfortuna e alla cattiva disposizione di Rebry, Archambaud e Speicher, al logico crollo di Le Greves e, soprattutto, alla sorprendente affermazione di Monterò, mi soffermerò sulla prova dei nostri. La prova degli « azzurri » Bini è stato l'unico superstite degli «azzurri»: noti ha avuto noie dalla sorte, è stato posto in difficoltà dalla mossa di Monterò, ha cercato di reagire da solo dopo la scomparsa di Olmo, ha allentato la presa quando ha visto che la preda gli era ormai sfuggita ed ha finito, dritto nella volontà e nella fierezza che qualcuno gli negava, con la conquista di un postò che, non per maniera, dico di onore per un ragazzo da pochi mesi all'altezza della fama di « asso ». Il successo deve convincere e incoraggiare il giovane a più alte mète. Quando dirò che Guerra ha colici fossato non essersi oggi mai sentito padrone delle sue gambe, ribelli al ritmo e allo sforzo della pedalata, avrò spiegato perchè egli è stato troppo inferiore a se stesso e alle nostre speranze. Il campione d'Italia non ha mai reagito ai collii che gli giungevano; ha atteso, forse, che gli venisse la forza e, quando ha visto che nella vana attesa la sua situazione i era diventata irreparabile, ha po ,„to termine ad „„„ deUe slle più a | jM/eZict prove. e Olmo ha dato l'illusione di poter essere un protagonista, quando con Aerts ha ripreso i primifuggitivi. Ma, poi, quel suo ritirarsi e chiudersi in difesa fecepensare che egli dubitasse di sé. Comunque, era in prima lineaMuando fuggirono Aerts e Monte\ro ed enli cadde. Fu una depres_ ìfìione momle 0 un>improvviSa cri-si quella che lo rese incapace di reagire/ Non saprei; quello che ècerto che il bel puledro resosi famoso l'anno scorso a Lipsia per unimpressionante inseguimento, te-ri ci ha fatti subito convinti dell'impossibilità di una sua ripresaTanto per Guerra come per Olmo si può dubitare che il percorsoabbia riservato la dolorosa sorpresa; per quanto riguarda il rapporto usato, questo non era, forseil più indovinato. Un avvenimento di questa ampiezza e di questo significato si; r i o\llre-!<terebof ad un'infinità di con e o , a n siderazioni di ordine sportivo etecnico; ma, non essendomi questo concesso dallo spazio e riservandole per la prima occasionepropizia, passo senz'altro alla cronaca delle due corse. L'attacco di Mancini Le prime luci avevano scioltola bruma- che all'alba pesava sull j circuito di Floreffe, ma non avei [vano chiarito gli umori del tempo ancora incerto fra un chiarore rosato di buone promesse e tinte grigiastre e pesanti di non lieto auspicio. Quattro gatti nelle tribune (che, poi, si dovevano riempire fino all'inverosimile), per i quali gli altoparlanti rompevano la quiete del bosco con la comunicazione dei nomi dei partenti e delle ultime notizie, 'mentre sul percorso si andavano costruendo due barriere di gente c popolando i prati adiacenti, che di già l'appetito invitava a sedersi sull'erba per la prima refezione. I trentotto dilettanti sembrarono prendere di malavoglia il « via » alle 7 precise, tanto calmo fu l'abbrivio del gruppo lungo il rettilineo. Non aspettatevi che mi dilunghi in particolari della prima parte della corsa, anzitutto perchè essa ne ha offerti pochissimi e, poi, perchè questi pochi non ci era possibile di precisare, grazie a quelle inutili e ingombranti vetture di sfaccendati, di commissari e di controllori, che non si sa che cosa stessero a fare, se non ad impedire che potessero vedere la corsa coloro che lo dovevano, non per curiosità propria, ma per i milioni di sportivi che non erano a Floreffe. Capirete che, a due o trecento metri, non era possibile identificare spesso neppure la nazionalità dell'autore di piccoli episodietti che non sono riusciti a rompere la monotonia della gara fino al sesto giro. Ad illustrare la quale basterà che vi dica che si è cominciato con due giri (Km. 27) a 37,7 di media, poi se ne è fatti due a 36,8 e altri due a 35,2, giungendo cosi a metà corsa (Km. 81) sulla media di 35,2, senza che il gruppo avesse subito altra perdita che quella dell'olandese Schippers e del tedesco Kruckl, i quali, cadendo sulla salita prima di Buzet, avevano rotto una ruota, e senza che si fosse rilevata più di una certa vivacità delle maglie arancione olandesi o delle gialle lussemburghesi, del francese Goujon, del belga Dehogne e del nostro Del Cangia, i primi nei tratti pia ni, gli altri in quelli in salita. I ferri si riscaldarono e si entrò nel vivo della corsa al settimo giro, quando, sulla salita, forzarono Bizzi e Del Cangia che riuscirono ad avvantaggiarsi di quasi 200 metri. Ma la reazione degli altri fu immediata ed » nostri furono ripresi sul rettilineo di arrivo. Dopo questa prima azione offensiva degli «azzurri» si iniziò l'ottavo giro con calma, scendendo disotto ai SO, ma questo calar di tono fu breve, perchè, all'inizio della salita, si en tra nella fase decisiva corsa. asfdella Fu Mancini che diede il segnale di battaglia, partendo a fondo e guadagnando subito una cinquantina di metri. Il gruppo si scosse all'allarme e da esso si staccarono il francese Vergili, il danese Grundhall e lo svizzero Nievergelt, i quali andarono a raggiungere l'« azzurro » sul rettilineo di arrivo. Nel trambusto che agitava il gruppo all'inseguimento vedemmo lo svedese Erickson scendere per la rottura di una ruota. La botta decisiva Al termine del giro i quattro passarono davanti alle tribune con circa 200 metri di vantaggio sul gruppo. Al nono giro l'andatura ricominciò a aumentare, ma aumentò pure il distacco fra i fuggitivi e gli inseguitori che salì a lX5. Due svedesi, due cecoslovacchi e un ungherese furono le vittime del peso che la gara già faceva sentire, provocando una successiva selezione. Dopo che il belga Tock ebbe tentato di accentuare la reazione degli staccati, Bizzi si provò per due volte, sulla salita, a partire da solo per andare a raggiungere i quattro, e altrettanto faceva il francese Charpentier, ma entrambi invano. Chi ci riuscì fu, invece, un altro francese, Goujon, il quale si avvicinò a Nicvergelt che aveva ceduto sotto la foga con la quale i tre compagni tenevano il comando. Ciò portò all'eliminazione di altri otto uomini del gruppo che inseguiva. La situazione si chiari ancor più all'undicesimo e penultimo giro, quando, sotto il Uro di Grundhall e JUancini, il francese Vergili, che già aveva dato sintomi d'incertezza, dovette lasciar andare i due compagni. Allora Mancini invitò il danese a dargli la mano per il completamento della fuga e Grundhall accettò l'invito, togliendo al francese ogni speranza di ricupero. Al termine del giro questi era già in ritardo di un minuto e aveva quasi addosso gli altri inseguitori i quali continuarono, all'inizio dell'ultimo giro, a riguadagnare terreno. All'improvviso, però, si verificò il fatto che fece rimanere incerto quasi sino all'arrivo l'esito che sembrava ormai ristretto fra il danese e l'italiano. Questi lasciava a quello di condurre e nessuno dei due si accorgeva della minaccia che andava profilandosi alle loro spalle, rappresentata da Charpentier che, sul rettilineo di Saint Laurent, si era dato da solo alla caccia dei quattro che lo precedevano e aveva già raggiunto e superato Nieveryelt e\ Vergili. , Quando Charpentier giunse a trecento ?netri dai due, dopo quasi due chilometri di salita, e fu visto da Mancini, questi invitò ancora Grundhall a prodigarsi per impedire il ricongiungimento del pericoloso francese, ed il danese sparò le sue ultime cartucce, conducendo per un centinaio di metri Poi Mancini, quando si accorse che l'avversario era giunto al termine delle sue risorse, lo colpì decisamente con uno scatto che lo lasciò solo, a quattro chilometri dalla fine, al comando, che voleva ormai dire la più piena vittoria. L'« azzurro » terminò la salita e compì l'ultimo tratto di piano da trionfatore, anche se Charpentier continuò a guadagnare su di lui, riuscendo a raggiungere ed a pas sare, 200 metri prima del telone di arrivo il tenacissimo Grundhall. ma potete immaginare il tripudio L'annuncio a S. E. Starace n successo dell'k azzurro » fu salutato con simpatia dalla folla che sollevò fra noi, italiani, stretti intorno al ragazzo vittorioso, cui la commozione gitasi toglieva il respiro e, poi, segnò di lagrime il volto sudato e sudicio eppur luminoso nella fanciullesca espressione di gioia. Pochi minuti dopo, il pensiero della Patria lontana qui trionfante per merito di uno dei suoi figli migliori, vola a 8. E. Starace con l'annunzio della vittora ed il saluto al Duce. Pure al generale Vaccaro fu trasmessa la lieta notizia. Meno di un'ora di intervallo a, poi, alle 12,30, fu data la parten¬ za ai 31 professionisti che avevano richiamato lungo il percorso quelle duecento e più mila persone che si calcola si fossero sparse sui prati, nei boschi e nei cento improvvisati ristoranti a consumare il pasto meridiano. Nel primo giro la formazione rimase compatta, nonostante i 31,132 di inedia: ma già nel secondo la corsa cominciò a diventare appassionante per una fuga verso Saint Laurent provocata da Danneels ed Archambaud con Amberg e Clemens. Il ritiro di Guerra Per quanto i tre « azzurri » si mettessero a condurre gli inseguitori in ritardo di trenta secondi al secondo giro, la controffensiva non parve violentissima e svelò una certa incertezza di Guerra. La media sali a 38,028. Cambiamenti di scena, assai importanti per noi, al terzo giro, Scattò Aerts in salita e Olmo lo seguì e i due andarono a raggiungere i primi quattro ed il gruppetto si ridusse, poi, a cinque, per una foratura che mutò Archambaud da fuggitivo a inseguitore nei confronti del grosso, in ritardo sui primi di V e 2''. Ma 8dfpdnvuLplzctmlslsfidlngcLbdcspl "il formidabile passista riprese n\mplotone al giro successivo, al pun- j ato stesso in cui prima aveva] forato. rSorprcndendo gli avversari. Io "svizzcro Egli e i/li olandesi Hee- 'ren e Stanis andarono all'insequi-\ amento dell'avanguardia e passa-i ?rono a 1' e 15" da essa, mentre| Bini e Le Grevès erano a 1' e 40" e gli altri afe 50". Nel quinto giro, Egli, Stuyts e Heeren furono raggiunti da Bini, Le Grevès, Mersch, Stuart, Oppermann, Speicher, Milliken che passarono a 1' e 40", mentre il gruppo di Guerra era a 2' e 18''. La situazione in testa rimase vicas|.$ri^'te^ti^rMN^^^òt^di l', si frazionò e trasformò per-'I dendo Stuyts, Etili e' Mittikcn e ! • riprendendo Monterò che aveva ri- 'salito di parecchio. Purtroppo Ar- \ chambaud lasciò da solo il grup-'invariata nel sesto giro; ma il po di Guerra che, al termine del j giro, aveva, il ritardo preoccupante di li' e 35". Rebry era stato indietreggiato da una foratura e poco dopo si ritirò. Al settimo giro, il gruppo di Bini si portò a 1' e 47" dai primi, mentre quello di Guerra retrocedette a 6' e 20". Il progressivo allontanamento del nostro campione e l'annunzio del ritiro di Archambaud che aveva giudicato ormai insostenibile la lotta col quintetto di testa cominciò a dare una „, più chiara fisionomia alla corsa,] purtroppo non favorevole a noi, come avremmo desiderato, che |aj situazione di Guerra già appari- »"* "l'è"' : va troppo compromessa. |La fine dell ottavo giro trovò il, gruppo di Bini e compagni a sol, I f".. d.''f Pr\mi' ma vide il croHoj definitivo di Guerra che conveni- va anch'egh di non poter più. nel- < l'infelice giornata in cui si trova-' va, annullare il distacco e che si I ritirò, prima di affrontare ancnel Ul Dop^lOS chilometri cioè a metà tf«tr^f« suo rapido calare dimostrava che' la fatica cominciava a dar noia' a tutti. Il ricongiungimento dei „..:.._j 1: . due i/ruppi principali non poteva tardare ed avvenne, infatti, al „ j.n ' , ' " nono giro, a metà della salita, do- ve, per essere precisi, Bini, Spei-\ cher. Le Grevès, Monterò, Mersch, Heeren e Opperman vennero a ricongiungersi ad Aerts, Dan- neels, Olmo, Amberg e Clemens. | AprU p Mnnfprn in fiio-a AeriS e monterò in IUga Ma la fusione era appena av- venuta che Monterò attaccò a fon- do, passando datanti alle tribune 1 8" prima di Aerts e sparpagliando alle sue spalle gli altri dieci fra cui i nostri Olmo e Bini. L'azione in sviluppo ci lasciava perfettamente tranquilli, perchè i due « azzurri » pareva la sostenessero con facilità. Ma, alla curva in fondo al rettilineo, Heeren urtò Olmo che cadde con lui. L'olandese dovette abbandonare per un guasto di macchina e l'italiano perse circa un minuto e mez-1 zo nel rimettersi in condizione di continuare, pur non avendo riportato che leggere contusioni. Immaginate se gli altri non misero le ali ai piedi, quando si accorsero dell'incidente che veniva a liberarli di così pericoloso avversario. Aerts riprese Monterò e con lui filò via a tutto vapore, allontanandosi dagli inseguitori, nonostante l'impegno di Speicher e Mersch nel guidarne la caccia. Al decimo giro, infatti, i due fuggitivi pre-cedevano Danneels, Bini, Speicher, Le Grevès, Clemens, Mersch, Am-berg e Opperman di l'IS" e Olmo di If'50". Quest'ultima cifra vi di-ce come di colpo le superstiti no-stre speranze siano state in granparte demolite dalla caduta delligure che stava attraversando "na evidente crisi di depressionemo™le e veniva a trovarsi solo ad "'seguire. Aerts e Monterò, invece, inco- raggiali dalla buona, occasione che ",,ewino *w mano, aumentavano il 'n'° v'mlaggio sugli otto a l'j,5'' aU!c ftne deìl {{° 9*0 che non vide ?m P™™™ Olmo, ritiratosi al ri- _ ^i"'j!ì.i _t^i/*.f? volta di Speicher ad abbandonare il campo dopo una caduta quasi innocua che nascose la grave crisi che egli stava attraversando. Gliaitri sette passarono a 2'SS", dopo la coppia di testa, dimostrando sempre più difficile il ricongiungi- mento. La media era, poco olla volta, scesa sotto i 36. La piega della corsa era quasi t^^^i^> <l"and°> «l 1S° Oi'o, i"e accusavano un vantaggio di ! s'ss" e lo fu dc'tutto al «•"»»- 'rfo Al'rts, alla curva di BourdonA\ V'untò in asso Monterò, preceden- '(lol° sul traguardo di VIS", Neigruppo seguente Danneels lasciò li altri e passò a 3'25"; poi Bini, Le Grevès, Opperman, Clemens, Mersch e Amberg a 5'20". Questi istacchi aumentarono al 15.o gio e al 16.o e ultimo, durante il uale Le Grevès credette giunto il momento di tornarsene in anticio a casa. I tre primi arrivarono distaniati, poi Bini battè i quattro compagni e fu, così, compreso nella quaterna d'onore. Sul trionfo di Aerts che mandò, i capisce, in visibilio la folla, precipitò il tramonto e cominciò a cadere la pioggia. Giuseppe Ambrosini. BINI che si è classificato brillantemente al quarto posto

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