Il corridoio fra le Ande e il Pacifico

Il corridoio fra le Ande e il Pacifico Periplo aereo del Sudamerica Il corridoio fra le Ande e il Pacifico (DAL NOSTRO INVIATO) Santiago del Cile, luglio. Ultime tappe: Arequipa, Tacna, Arica, Antofagasta; dopo Lima abbiamo infilato uno stretto e lungo corridoio fra le Ande e il Pacifico e non lo lasceremo più fino a Santiago. Il deserto del Perù continua col deserto del Cile e dappertutto è la stessa immobile desolazione. Ùi quando in quando perdiamo di vista il mare e abbandoniamo i contrafforti della Cordigliera della costa per entrare nelle gole della Grande Cordigliera e sfioriamo Je cime più alte della puna, il grande altipiano che dal nord di Arequipa, tutta bianca sotto le nevi del Misti, arriva fino alle rive del lago Titicaca; l'altimetro balla fra i tre e i quattromila metri; precipizi color ruggine, crateri di vulcani orlati di neve, striscie di deserto giallo rossastro. 8e qualche volta appare giù nel fondo delle vallate qualche principio di verde, subito se lo rimangiano i vapori delle nuvole che stagnano gonfie e polverose sotto i mille metri; mondo fatto a strati, tutto spaccature e cicatrici; e non si sa dove sia andata a finire la vita. Sabbie e rocce Dalle sei del mattino, partenza da Lima, fino alle undici, arrivo ad Arequipa, abbiamo volato senza vedere nè uomini nè case, neanche l'indizio di un po' di terreno coltivato ed abitato. Proprio come ai tempi della terribile marcia di Almagro che andava alla conquista del Cile, quando gli uomini cadevano per via uccisi dalla fame e dal freddo nella orrenda solitùdine. Ci voleva proprio la febbre dell'oro per spingere gli eserciti dei conquistatori attraverso quest'inferno di sabbie e di rocce. « Andate — avevano detto ad Aimagro i partigiani di Pizarro che volevano disfarsi di un pericoloso avversario. — Di là da quelle montagne troverete cento volte più oro che qui nel Perù; e non soltanto oro, ma molti altri metalli preziosi che gli stessi Incas non conobbero mai. Tornerete ricchi e potenti ». / disgraziati che riuscirono a salvarsi dalla tragica spedizione tornarono invece così poveri, che, raccontano i cronisti, non avevano neppure abiti per ricoprirsi. Ma ormai la via era aperta e alami anni appresso Pedro de Valdivia rivalicava le montagne e, attraverso il deserto di Atacama, riusciva a giungere nelle fiorenti valli del Coquimbo e dell'Aconcagua. Discendiamo a Tacna, ma ripartiamo subito e dopo dieci minuti — appena il tempo di valicare una specie di duna sabbiosa color del miele — ridiscendiamo ad Arica. Confine tra il Perù e il Cile; nomi pieni di storia, annoso litigio dopo la guerra del Pacifico del 181/9; c'era di mezzo allora anche la Bolivia che guardava dall'alto delle sue montagnone, ma poi la questione fu risolta fra i due maggiori contendenti: Tacna al Perù e Arica al Cile, e la Bolivia rimase lassù incarcerata, senza più sbocchi sul mare; di lì vennero, mi dicono, tutti i mali della guerra del Chaco. Tra la sabbia del deserto luccicano le rotaie di una ferrovia che monta su verso il grigio della Cordigliera; non ci sono che tre vetture ferme sii un binario morto, ma una volta alla settimana parte il trenino per La Paz che dopo dodici ore di rampicata arriva sul tetto del continente a portare ai Boliviani il saluto del mare. Da un paio di mesi hanno inaugurato anche la linea aerea che si stacca da Tacna e nello stesso giorno arriva a La Paz, a ^000 metri; ma chissà se i Boliviani si accontenteranno di queste premure dei loro vicini. Un po' di Pacifico, specie da quando l'hanno perduto, l'hanno sempre sognato; almeno un finestrino da -guardar fuori, per respirare. E' così vasto l'oceano di fronte a queste coste, che bisogna fare quattromila chilometri per arrivare alla misteriosa isola di Pasqua, e poi altri quattromila per arrivare a Tahiti; eppure uno spiraglio su questa immensa distesa d'acqua sarebbe già la porta delta liberazione. La pampa del salnitro Dopo Arica comincia la pampa del salnitro, senza un filo d'erba, senza un rivolo d'acqua; tutto grigio, nero, lustro; deserto incatramato, con spaccature enormi ogni tanto dove scoppiano le mine e gonfiori che raffigurano corpi mo¬ struosi, zampe d'animali, enormi focacce unte, come se sotto la crosta dura, arroventata dal sole, bollisse della pece. Si vola nel fumo, con sbalzi paurosi; mi dicono che anche l'aria qui è sempre agitata come sempre è sconvolto dai terremoti questo sottosuolo saturo di nitrati. Quando si può, si scappa in riva al mare, ma anche li è tutto nero di caligine, e appena appena s'intravedono le bave schiumose delle onde che si rompono contro gli scogli. (Scavalchiamo paesi morti, ossami neri di case abbandonate, fumaioli tronchi, montagne di detriti, buche profonde come se ci fosse stato il bombardamento; paesi che una volta buttavano oro a palate e che da un giorno all'altro hanno fatto fallimento; non restano che gli scheletri delle macchine arrugginite, lunghe file di carrelli sfiancati, rovesciati nella polvere nera, e un senso di maledizione come se anche la terra volesse vendicarsi delle ferite che le hanno aperto nel grembo per trarne i succhi preziosi. Per ore e ore il paesaggio è sempre uguale, di una monotonia esasperante; crosta cancrenosa di terra sconvolta e butterata da continue esplosioni; tutti i metalli, tutti i sali raccolti dentro le rughe di questo stretto corridoio che si allunga senza fine tra il più vasto oceano e la più alta catena di montagne. Iquique, Tocopilla, Antofagasta, Taltal; questi una volta erano i centri minerari da cui il Cile traeva lo sue immense ricchezze; parevano inesauribili; la gente di Santiago se la passava allegramente in Europa coi denari che venivano dì qui; il paese della cuccagna; e furbi i Cileni che s'erano fatti avanti per primi togliendolo ai Boliviani quando ancora tanti tesori erano abbandonati e sconosciuti. Poi la crisi, dopo le grandi fortune della guerra; nessuno più chiedeva nitrati; si doveva offrirli a prezzi disastrosi; nella pampa si chiudeva bottega; paesi interi emigrarono verso il sud; d'immense officine rimasero soltanto le impalcature e i binari morti delle ferrovie; di altri, come a Chanaral, soltanto il cimitero. Salnitro ce n'è ancora; sterminati giacimenti, milioni di tonnellate; ma la febbre dell'oro è finita; sì lavora per vivere, anche qui come dappertutto, e se una volta nella pampa diventavano tutti ricchi, oggi si fanno appena le spese. Tiriamo le somme Quando ritroviamo il verde nella vallata del Coquimbo, sembra ancora un miraggio; ma poi ricomincia davvero la vita ed è come se il mondo si riaprisse alla luce. Ad Antofagasta abbiamo ripreso il nostro Douglas, lo stesso col quale il mese scorso abbiamo valicato le Ande verso l'Argentina, e sgominiamo le ultime nuvole a trecento all'ora, puntando diritti verso la valle dell'Aconcagua. Ovalle: l'ultimo nome che scriviamo sul nostro taccuino; la sessantesima tappa; tiriamo le somme: 2S.Jf62 chilometri; pochi minuti ancora e poi l'immenso anello dell'aereo periplo sarà chiuso. Di nuovo dentro la cabina si accende il quadro delle segnalazioni luminose: Please fasten your seat belt. Ancora f No, questo è per i novizi del volo; non mi riguarda e io non mi legherò affatto al sedile anche se l'apparecchio balla da maledetto sugli «.itimi gradini delle Ande; non per niente ho due diplomi di passaggio dell'equatore; e poi ecco qui sulla cartina geografica i segni rossi delle tappe più burrascose: dodici temporali; posso darmi delle arie, posso aiutare il vicino che non riesce ad allacciare la cintura al sedile e sorridere alla giovane signora che è salita con noi a Tacna ed ora è lì che geme, tutta bianca in viso e con gli occhi smorti. E gli altri compagni di viaggio? Li ho perduti tutti: il presidente del Roìtary, il banchiere 'che viaggiava \con la camicia di fuori, la signor | rina di Porto Alegre, gli sposini dì j Cuba; non mi resta che qualche | biglietto da visita; qualcuno ha segnato anche il numero del telefono: «Venga a trovarmi. Si ricordi; mi scriva ». Ho le tasche piene di confetti di gomma, di cotone per le orecchie, di conti d'albergo, di scontrini che mi davano ad ogni scalo perchè potessi poi ritrovar subito il mio bagaglio; legate alla valigia, come un miazzo di fiori, ho anche le matracas per la rumba che ho i comperato all'Avana; e del hi- glietto di viaggio non mi è rimasto che un rettangolino sgualcito: Miami-Santiago; fra poco dovrò consegnare anche quest'ultimo ricordo. Avventura? Rischio? Niente; solo un gran ronzio negli orecchi e negli occhi la visione confusa di un mondo tutto uguale: cielo, nuvole, mare, monti, deserto, uomini bianchi, uomini neri, meticci, mulatti, bandierine, uniformi di poliziotti, visi arcigni di agenti doganali, redingote di direttori d'albergo; e non ricordo più se davvero le negre della Martinica sono più belle di quelle della Giamaica come dicono, se a Cuba era estate o inverno e se le più grosse banane le ho viste ad Antigua o a Saint Thomas. In fondo, niente d'imprevisto, nessuna meraviglia; si viaggia bene, ma si viaggia troppo comodi; troppa gente ch'è lì ad attendervi,ad aiutarvi, a circondarvi di pre-mure; forse, se non fosse così, sa-rebbe una gran seccatura e il si-gnor turista smanioso d'avventu-re protesterebbe urlando se all'albergo non trovasse pronta l'acqua calda per il bagno e la zanzariera intorno al letto; ma poi ecco che al ritorno si avrebbe una gran voglia di dire: mi è successo questomi è successo quello; invece, mettiamoci una mano sul petto, dobbiamo francamente confessare che non ci è successo niente; neppure una piccola panna all'apparecchioe ne abbiamo cambiati tanti; niente; tutto liscio, orario perfettoScoccava il minuto quando siamo partiti, quaranta giorni fa, da Santiago (se avessimo voluto bruciar le tappe quindici giorni ci sarebbero bastati) e scocca il minuto ora che slittiamo sullo stesso campo d'atterraggio davanti ai capannoni di zinco dell'aerodromo; 23462 chilometri ho scritto sui taccuino degli appunti; ma poi guardo la valigia su cui è incollata l'etichetta azzurra del mio aereo periplo e mi pare di averlo ritagliato io il continente, con le forbici, sulla carta geografica del Sud-America. Ettore De Zuani Libri ricevuti NINO SALVANESCHI: «Madonna Pazienza». Edizioni Corbaccio. - L. 12GIOVANNI PAFINI: «Grandezze dCarducci ». Vallecchi Ed. - L. 6. PIER ANGELO SOLDINI: «Alghe Meduse ». Casa Ed. Ceschina. - L. 10MARIA LUISA ASTALDI: «Una ragazza cresce ». Casa Editrice Ceschiuà. - L. 12. GIUSEPPE VILLAEOEL: «La donne il vortice ». Casa Ed. Ceschina. L. 10. LUCILLA ANTONELLI: «La secondaurora ». Casa Ed. Ceschina. ■ L. 12VALENTINO GAV1: «11 mio cuore frle donne ». Ediz. « Contemporanea »- L. 9. MARGHERITA CATTANEO: «Io nemezzo ». Vallecchi Ed. - L. 8. CARMELO SEBASTIANO SABOTI«Effluvio di primavera». Zavia Ed- L. 6. — «Aneliti*. Zavia Ed. • L. 10. ORIO VERGANI : « 45 all'ombra ». Fratelli Treves Ed - L 15 UNA ORCHESTRINA INDIGENA ALL' ASMARA

Persone citate: Alegre, Almagro, Carmelo Sebastiano, Luisa Astaldi, Margherita Cattaneo, Pier Angelo Soldini, Pizarro