Dalle giungle ardenti alle nevi dell'Imalaya fra genti senza nome e divinità selvagge

Dalle giungle ardenti alle nevi dell'Imalaya fra genti senza nome e divinità selvagge I_jEl s]peclizion© italiana, eul Tibet Dalle giungle ardenti alle nevi dell'Imalaya fra genti senza nome e divinità selvagge Campo N. 15, 22 giugno Da Garbyang. Frontiera del Tibet Occidentale). La strada che abitiamo seguito' er arrivare alle porte del Tibet ccidentale e alle sue contrade ar/(/tormente sacre è la più bree, non c'è dubbio. Non direi però più facile, specie in questa staone; siamo nel colmo dell'estate diana, non ancora temperata allo scoppio dei monsoni. Per i primi dieci giorni non abamo fatto che salire e scendere enza posa, attraversare jungle opicali, insinuarci in valli ove espirare è fatica. Anche a 2100 metri di altézza l'afa è tale che are ad ogni momento si debba venire. Nelle forre anguste e rocose sembra impossibile vivere. er due o tre giorni siamo stati male tutti e due, tanto io che il apitano medico della Regia Mana Eugenio Ghersi, il quale m'è, er la seconda volta, compagno in ueste spedizioni tibetane. Poi ci amo venuti abituando a quel clima infernale ma non vedevamo ora di oltrepassare il malfamato harchula, malfamato per le viere, gli scorpioni ed il caldo e di vvicinarci alla frontiera. La carovana Marce rapide e lunghe non si ossono fare. Sarebbe pazzia; i ortatori non saprebbero resistee. Abbiamo assoldato una caroana di quarantun uomini di faca i quali trasportano a spalla di appa in tappa tutto il nostro maeriale: trentacinque chili per ciacuno. Il bagaglio e adagiato sul orso e sospeso coti una benda ala fronte: fanno forza sul collo. eminudi, silenziosi, fradici di suore, ubbidienti, camminano per re; magri, smunti, malnutriti, anno avanti con la rassegnazioe di condannati. Qual'è la causa i questo jtatirc se non quel male ommesso nelle vite passate attraerso una catena di esistenze che i disnoda per l'eternità? La soferenza è l'inevitabile espiazione el peccato. Alle cinque siamo in marcia; del resto riposare non si potrebbe tanta è la luce e così soora la boscaglia. Appena cominia a far giorno miriadi di uccelli di insetti confondono i loro trili, i loro canti, i loro stridori; nesuna cosa è così intensamente viva e querula come la jungla. Alle undici al più tardi bisogna accampare; il caldo impedisce Yandnre. Barcollimi, Kancrichina, Ganai, Verinag, Thal; tutte tappe penose che ricordiamo ancora come un incubo. Ma l'uomo è fatto per patire e per dimenticare. A mano a mano che si procedeva avevamo l'impressione di sentirci empre piit isolati; quella cintura di boscaglie e di jungle e di valli nfocate pareva ci avesse tagliato fuori dal mondo. Quasi una grande muraglia si fosse sollevata d'incanto dietro i nostri passi. Il ritorno al mondo è su, verso l nord; attraverso i 2>assi ed i pianori e le montagne nevose ove 'aria è pura e terso il cielo. Il primo temporale A Dindihat abbiamo avuto un primo temporale. L'aria s'era fata ancora più greve e tutto era ermo in una immobilità minaciosa come se la natura si fosse accolta prima di scatenarsi in uno lancio selvaggio. Poi la tempeta cominciò ad infuriare con una violenza di cataclisma. In India mancano sempre le mezze misure, a proporzione e l'equilibrio; è il >acsc degli eccessi, il groviglio disordinato della jungla. Ma appena il turbine dileguò e ui foschia che aduggiava da giorni il ciclo comparve, sopra la nuvolaglia laerata abbiamo avuto all'orizzone il primo saluto dell'Imalaya. Alla nostra sinistra il Mondadori 7800 metri) con i suoi picchi piamidali ed iridescenti come « isoe di Beati » naviganti nel ciclo. Così infuriano i primi disordinati assalti del monsone che sale dalla pianura e batte sulla catena del'Imalaya per schiantarsi ed inrangersi contro i suoi picchi giganti A Bhalvakot e a Dharchula ilcaldo ha raggiunto il suo massi-mo; neppure un albero; abbininopassato le ore peggiori in costumemolto succinto sulle rive di un tor-rente e sotto l'ombra di un pantc.Circondiamo le tende ed i letti diisoformìo per allontanare le sor-pi e gli scorpioni. A Khelu già sirespira; 1500 metri di altezza.Quasi ai confini del Tibet vediti-mo crescere insieme la banana ed l noce. Le montagne si fanno sempre più alte e le valli più strette. La Kaliganga scorre con impeto follc e coti rombo di tuono in una,lgola profonda ed angusta. Sulla\nnostra destra, ad un tiro di fionda,\ sull'altra sponda del fiume, ver deggiano le jungle incomposte ed inesplorate del Nepal. La popolazione lentamente cambia; a Dharchula incominciano i Bhutia, gente di confine ed ibrida; i lineamenti sono già mongoloidi; religione: nè Indù riè Buddista,lculti animistici imbevuti e dell'una1 ne dell'altra: analogie con la religione dei Bompò, che nel Tibet precedette il Buddismo e fu elaborala proprio nel Tibet occidentale, sono quasi sicure. A Vishnu e a Sciwt subentrano a poco a poco altri dei: i Gablà e i Ciaplà, adorati come spiriti presenti negli alberi Nei pressi di ogni villaggio, a cominciare da Susu, verdeggia un piccolo bosco s<icro; dall'albero in cui la deità alberga pendono strice di stoffa; in alto, dove il troll co si divide nei rami, un mucchio di conia di montone ed una macchia rossastra che scende verso erra, ricordano i sacrifici cruenti -, periodicamente celebrati in onore' dcl dio. La vìttima deve essere-si-annata proprio sull'albero. Più n alto ancora una campanella dibronzo, suonata mentre il rito si'compie. Nessuna immagine; sopravvivenze di culti antichissimi a cui origine si perde nella notte dei tempi. A Susu abbiamo dovuto piantare le tende al sole; il nostro contatto avrebbe profanato il ,luogo sacro. Questi spiriti, forse,]\non amano gente d'altra razza. In\ questo stesso paese ho potuto par- lineata fortissima caduta sulle cime 1 circostanti ha fatto scendere la lare per la prima volta in tibeta no. Questi Bhutia hanno il loro proprio dialetto, ma vanno spesso a mercature nel Tibet e, come in tutte le zone di frontiera, sono bilingui. Sempre a Susu abbiamo dovuto indossare la pelliccia: una ne- temperatura in pochi momenti. Siamo vicini ni giganti dell'Imalaya, il caldo dei primi giorni non è più che un ricordo. Le donne Buthia Le donne fanno le fatiche più gravi dei campi; gli uomini arano, filano e ciarlano. Indossano tutti delle casacche di lana grezza; le donne portano grosse collane d'argento massiccio o di corallo e lunghi pendagli pure d'argento appuntati sul petto. Di costumi libe n rissime. Di forme e d'aspetto non sempre spregevoli; ma invecchiano precocemente: a trent'anni sono disfatte e rugose. • La strada è un diuturno saliree scendere; strada di pellegrini, fc. . .. .. * •' '. sercizxo di penitenza e maccrazio-, , r ne del corpo; ogni pensiero moti- dano svanisce. Questo vivere mmezzo a così gigantesca natura, sembra quasi spersonificarci ; un riassorbimento dell'io nel tutto. Ci si sente alla mercè di forze tremende che possono ad ogni istante annientarci. Sciva è senza dubbio un dio della montagna; qui si ode il ritmo della sua danza. La Kaliganga si taglia turbinosa una via attraverso rupi precipiti. La strada si disnoda su abissi e sotto scogliere che franano; spesso si cangia in scalinate gigantesche su cui gli uomini trascinano gradino , , , ? per gradino la loro stanchezza. a **■ ti- t . A Malpa facciamo il campo inuna breve radura, tutta rocce e mossi caditi» dall'alto, insaccata fra rupi che salgono segmentate e gibbose. Le incerte luci della sera o o ,questo Walalla ombre strane: sicapisce come la gente che ci accompagna popoli le montagne tfiuna folla anonima e temuta di spiriti e di folletti. A Budhi ricomincia la vita; sui campi che si sovrappongono in gradinate parallele brilla l'oro del l'orzo. Sono pronti a mieterlo perfare una seconda seminagione chei -, maturerà prima dei freddi antan-e' nuli. Il Pathvari o magistrato die-Gurb\jan<i ci è venuto incontro conù due mulo bardate a festa; sulleisellc magnifici tappeti cinesi. Cii'offre una bottiglia di scicrab. bit- i e l ra fatta con orzo fermentato di cui nella passata spedizione abbiamo imparato ad essere ghiotti. Il Ghersi lo distilla con un suo alambicco e ne tira fuori una specie di acquavite, tonico insuperabile su per i passi e per le salite che s\ succedono con frequenza-dispe rante. E' per questo che le mie provviste di liquori occidentali sono piuttosto scarse; bisogna vivere il più che si può con i prodotti dei paesi che attraversiamo. Siamo arrivati a Garbyang il 21, dopo quindici giorni di marcia durante i quali abbiamo percorso circa 220 chilometri. Fa freddo: troviamo i primi letti di neve ed i primi accampamenti tibetani: pecore a decine di migliaia che sbarrano spesso la strada. Sulla sponda nepalese della Kaliganga il Namchun solleva al cielo le sue guglie ed i suoi speroni ghiacciati che toccano i settemila metri; più a nord la catena del Bihs Rikhi si intravvede attraverso nubi di tempesta. La gente del villaggio, Bhutia e mercanti tibetani, sono allineati lungo le strade per accoglierci e farci festa. Hanno preparato con frasche e fiori e stoffe rosse, un arco sotto il quale è costume che passino gli ospiti di riguardo. Ci viene incontro Nandaram, il mercante più ricco ed il più influente su questo versante e su quello tibetano; i bazar di Taklakot e Varchiti sono tutti nelle sue mani. Un largo turbante bianco sulla testa, una grossa casacca di lana indosso, un che di mezzo fra il brigante ed il montanaro; ma forte ed intelligente. Ci vuole ad ogni costo a casa sua; il più bel palazzo del paese dalle finestre e dalle porte finemente scolpite con motivi che mi ricordano assai quelli nepalesi, più rozzi e barbarici, s'intende. Per fortuna ci offre tè europeo e ci fa grazia di quello tibetano: zibibbo, ciati, mandorle e molte altre leccornie sulla tavola imbandita per l'occasione. Noi due su due sedie europee; l'ospite accoccolato al,] l'orientale per terra su tappeti cin\itesi. L'altezza delle sedie è commisurata alla dignità delle persone. e a o o n . n ù , i e I pellegrini Garbyang è un modesto villaggio; ma c'è una scuola ed un ufficio postale, Vittimo. Ma è un centro commerciale importante; vi passano le carovane che dal distretto di Almora vanno alle fiere di Taklakot, di Gyanima, di Gartok ; carovane di pecore; ogni pecora porta il suo piccolo basto con due bisacce una per parte. Vanno su cariche di farina e di riso e ne riportano sale minerale. Vengono a farci visita pellegrini indiani; c'è anche una sadhu che ha attraversato l'Imalaya non so quante volte e conosce perfettamente il sanscrito; anch'essi sono in marcia per il lago Manosai rowar ed il Kailasa. Ce n'è di gio\vani e di vecchi: non è curiosità di viaggiare che li muove a questi cimenti; mille cose che noi osserviamo o notiamo sfuggono ad essi. Ignorano i nomi dei luoghi per n e, , fc.^T^S Sa \pere che cosa troveranno sulla -, \, , . „„, i.„„,„ „„„i..- strada. Noi guardiamo con occhi - {insaziati u SJ ha curva dei -c. m\ cM g delle g£glìf> ghiacciate> ci , n i i a a a i u fermiamo ad ammirare una gola od una cascata. Essi guardano solo entro se stessi; la fede li trascina. Così, vecchi di settant'anni abituati a vivere nella pianura assolata dell'India, si trasformano ad un tratto in montanari ed in alpinisti, scalano i passi, vogliono compiere le più alte e pericolose circumambulazioni del Kailasa. L'impossibilità fisica non esiste; l'ascensione della montagna sacra è, secondo la tradizione dell'India, o i . ,. .. \ soltanto questione di purezza m !.. • ,, „ • t tenore. Chi ha l'animo sano e ter- n1 e a e a so può salire fino sulla cima. Tutti raccontano di sadhu che lassù vivono nella beatifica contemplazione di Sciva. Realtà e leggenda si fondono; il mondo della materia si risolve tutto quanto in quello dello spirito. Il sadhu mi parla, nel suo sanscrito fluente, di visioni e di estasi con la stessa convinzione e con la stessa esattezza con cui noi esporremmo una verità matematica. Abbiamo girato in pochi minuti ,1 tutto quanto il villaggio; trenta o ii ij i n r, e-quaranta case al massimo tutte -, ugualmente sporche. Su alcune, le i \ vecchie, buoni lavori in legno; n fiorami, piante stilizzate, figure di e deità; altra sopravvivenza di quelij'a'fe itnalagana che con infinite - gradazioni va dal Kashmir al Ne- i o l i u pai. La gente si dice indù; di fatto non lo è; sopravvivono gli stessi culti animistici che abbiamo incontrato da quando siamo in territorio Bhutia. Anche il buddismo tibetano non vi attecchisce. Nel centro del villaggio, su uno spiazzato semicircolare, alcuni pilastri di pietra conficcati nel terreno e alti più di due metri, sono nuove tracce di quella religione megalitica che ho ritrovato parecchie volte nel cuore dell'Imalaya. Vicino al nostro accampamento il terreno minaccia di frullare e di precipitare giù nella valle del Kaliganga. Invece di un argine hanno costruito tre tempietti in cui hanno insediato una deità locale detta Llanga. Certamente essa provvedere alla propria incolumità e non vorrà fare un salto nel fiume. Cosi la gente riposa tranquilla. La frontiera è ormai vicina. Sosteremo qui tre o quattro giorni per rifare la carovana; questa volta carovana dì yak, i villosi buoi tibetani che soli possono reggere agli impervi sentieri che dovremo attraversare. Scaleremo il Lipulek, un passo alto cinquemila metri che in tre giorni, se tutto andrà bene, ci porterà a Taklakot, capitale della provincia tibetana di Purang. Se non incontrerò una carovana di cui mi possa fidare, questa è l'ultima notizia eh el mio viaggio mando in Italia no al tempo, ancora imprecisatc del nostro ritorno. Giuseppe Tucci ' e e e 0 e a . i l , n i o o i i i i l . r GOLA UN PELLEGRINO GENTE BUTHIA DELL'ALTO DISTRETTO ALMORA

Persone citate: Bhutia, Eugenio Ghersi, Ghersi, Giuseppe Tucci