Molta confusione

Molta confusione Molta confusione Gli ultimi ad arrivare sono I « lupi della montagna », gli sciatori dai pantaloni neri e dal giubbetto bianco, il gruppo che, due anni fa, si acquistò una, grande reputazione col passare la settimana di Natale nel rifugio Elta, piccolo, scomodo, vera tana da lupi. Oggi, però, la reputazione non basta a fargli avere un po'- di posto in quel caffè di mezza montagna, ove una folla di sciatori, messa in fuga dai soliti tuoni del crepuscolo di marzo, si pigia come un gruppo di anatre attorno a delle miche galleggianti. — Non c'è posto, non c'e posto ! — dicono le ragazze, togliendosi con molta stanchezza il berretto di pelo e volgendo agli specchi delle pareti uno sguardo distratto. — Come si fa? Come si fa, eh? — Adesso Emma comincia a interessarsi a quella figura così strana e graziosa che le presenta lo specchio. — Mi dà una sigaretta? — II giovane le porge una sigaretta, le avvicina alla bocca una fiammella dentro la mano chiusa. — Grazie, molto gentile ! — Ma Emma non si volge a lui nemmeno per un momento, perchè tutto questo è assai interessante laggiù, lontano, nello specchio ove sembra una scena da film. « Davvero queste grandi attrici non sono poi così gran- di ! ». Ma una nuova ondata di sciatori preme dalla porta < spinge lentamente verso il fon do. Nello specchio c'è ancora qualcosa di fronte a Emma, ma non è più lei, è un'altra, sono molte altre. Che confusione, Dio, che confusione! Ma non importa. Tutto questo è assai piacevole. L'aria calda ha ravvivato il sangue nelle vene. Passano, sopra dei vassoi galleggianti sul mare delle teste, file di bicchierini di cognac che ven gono bevuti all'impazzata. In un angolo, dei ragazzi in maglia bianca si sono seduti in un modo incomprensibile, che, ha forse per base l'apparecchiò della ra.dio, o forse un tavolo, o forse qualcosa che si muove triste mente sotto il gran peso, un cane di San Bernardo per esem pio; certo è che formano una piramide; questa piramide on deggia lentamente e dalle sue bocche, situate, sotto e sopra, con molto disordine, canta delle canzoni di montagna. Ma non è passato un minuto che, al posto della piramide, succede un gruppo di signore, venute queste qui non dalla montagna, ma dal basso, dalla città. Esse sono quasi sepolte sotto voluminose pellicce scolorate in mezzo alle quali si arrampicano dei bambini vestiti di rosso, piangendo e chiedendo il gelato. Alcuni giovanotti in abito nero, che non si sa donde siano piovuti, passano con aria intontita da un punto all'altro della sala, dopo avere ricevuto alle spalle la solita bussatina con la quale chi sedeva dietro di loro li ha pregati di togliersi di mezzo. Se almeno si ballasse !... I loro voti vengono presto esauditi. Con un rantolo grave, l'altoparlante comincia a dire in inglese: — E' un giorno di tempesta, è un giorno di tempesta ! — Questo lo sappiamo tutti, pensa la folla. Ma ciò che la folla non sapeva è che questo si potesse dirlo con una musica così graziosa. — Balla?... Balla?... Facciamo questo ballo?... Vuole?... — Non tutte, nell'accettare l'invito, rispondono sì ; molte si contentano di aprire le braccia con stanchezza e felicità; altre, semplicemente, di posare la sigaretta sul vassoio dei gelati. La musica, invece di calmare la confusione, la rende più veloce, come una ruota alla quale si diano dei colpettini in ritmo. Ora davvero non si capisce più nulla. Le ragazze non sanno più chi sia il loro cavaliere : anche per il fatto che basta un battere di mani perchè un giovanotto lasci la sua dama e la consegni a colui che l'ha richiesta in quel modo di prammatica. Dei tuoni bassi e di corta durata fanno tremare il tetto, oscillare la luce delle lampade. La grandine, come un pugno di sale, colpisce la casa di fronte. Arrivano, più spaventate che mai, delle altre ragazze. I vetri della porta sono pieni di piccoli nasi schiacciati, di pupille che cercano di guardare dentro la sala. L'espressione di questi visi, che appaiono attraverso il velo dei fiati, è sempre la stessa: «Uh. che confusione!». Ancora della musica e ancora dei tuoni. Presso la finestra di levante, si è rifugiata Emma insieme a un ragazzo biondo. Qualcosa doveva dirgli, una co qui adcodicodaroil requcifodipspmvriac'quchddtennlaqgfdptaliinsuSlloatlsgsssngntldgdc^itSecegesicgdtfqlp1fltPbnsssubpdgiEdtsm1cllpguzgzsa molto importante. Ma tale I è il gridìo, tale il disordine che j questa cosa non si decide mai a venire sulle labbra di Emma, perchè davvero, se la dicesse, le sembrerebbe di averla detta in sogno a qualcuno che somigliava a Enrico, ma non era Enrico, o addirittura di averla sentita pronunciare da un'altra. — Non si sa più dove mettere i piedi! — grida un vecchio, rigirando fra le dita un orologio d'oro, che egli alla fine deposita sul tavolo quadrato, dietro cui siede un piccolo uomo dalle mani gialle e dalla faccia grossa e butterata. — Non si capisce più uali siano i tuoi piedi e quali piedi degli altri ! Mia figlia desso dov'è?... Un disordine osì non l'ho mai veduto... Ma c'è uno ch'è molto lieto i quel disordine e di quella onfusione; ed è il piccolo uomo alle mani gialle e dalla faccia ossa e butterata. Qual'è stato peso di tutta la sua vita? Avee sempre quelle mani gialle, uegli occhi porcini in una facia che sembra un pezzo di zolo, occupare con quanto si ha i più grande e caro, con la proria vita, col proprio essere, uno pazio così meschino e di forma così ridicola. Sempre. Talolta egli si sentiva davvero caino, davvero pieno di grazia, di ffetto e di ardire. Ma cosa 'era nello specchio, anche in uei momenti ? C'era sempre un uomo di così piccole dimensioni he nessuna simpatia da parte di altri, specialmente di una donna, avrebbe potuto realmene trovarvi posto, c'era un ar nese che la simpatia e l'amore non avrebbero saputo da che ato prendere; e gli occhi, per quanto egli dal di dentro li spingesse a rilucere di Frazia, di affetto e di ardire, erano sempre due occhi porcini su cui le palpebre si abbassavano di tanto in anto, come quelle degli animai che, stesi al sole, cedono con ndolenza a un principio di sonno. Ed ecco che adesso il piccolo uomo si sente davvero felice. Sente che una carezza vola nela sala e toglie a tutti quanti i oro aspetti, come se quegli aspetti fossero dei leggieri strati di cipria, e li confonde nel'aria. Oh, questo è il paradiso sentirsi vivere in mezzo a ungran disordine di cose belle e sorridenti, delle quali una, nonsai bene quale, sei tu. Questosignifica potersi alzare dalla se- na, poter fare dei passi sotto . gli occhi di tuttti, potersi inchinare dinnanzi a una donna, poterla invitare al ballo. Con quae donna ballerà? Eccola, in fondo alla sala, una ragazza così graziosa, che si guarda la manodestra e sorride di gioia. Comecara Hpli^ncr, fra rVn™ am™^U^^nMaS^^^^ira ic Draixia que la donna, seri- tire la sua piccola mano sini- Stra sulla spalla ! L'orchestra suona un valtzer,egli si alza, la confusione è al colmo, una confusione tale* . eh egli deve aspettare che mgruppo dinnanzi a lui si sciolga e gli lasci aperta una piccola strada. Nel frattempo, si volge indietro e vede una bambina che, seduta in un angolo, con gli scarponi sull'asse della sedia, guarda qualcosa di tantotriste e penoso che tutta la suafaccia ne è amareggiata. Perchè quella tristezza, bambina? Su, lieta ! Egli è sul punto di compiangerla, quando si accorge che10 spettacolo triste e penoso, che fa tanto male alla bambina, è lui, nient'altro che lui. Egli si tira istintivamente indietro. Proprio lui guarda quella bambina? Sì, lui. Quello sguardo non potrebbe essere meno triste, meno disgustato? Proprio su di lui deve scendere quello sguardo degno di posarsi sopra un mucchio di cenci che sarebbe meglio nascondere? Sì, proprio su di lui. E non c'è verso di spingere quella bambina a togliere lo sguardo dal punto che in così triste modo l'affascina. Egli fa ancora un passettino indietro, egli torna a sedere lentamente; e quello sguardo sta sempre su di lui, sempre a quel modo. Il valtzer accelera d'un tratto11 ritmo. Non sarebbe possibile, pensa ■gli, che gli uomini diventassen così crudeli che io non facessi loro pietà? Lo sguardo è sempre su dlui, egli se lo sente dentro il petto come un chiodo che lo tenga infisso alla parete. Torna frattanto il vecchiofacendosi largo nella calca. Eubbriaco, rosso in faccia, e alza le mani. — Nulla, nulla si capisce ! — grida nelle orecchie delle ragazze. — Confusione!... — Sentite! — fa l'ometto dalla faccia di zolfo. — C'è qui ivostro orologio d'oro. — Il mio orologio? — Sì, questo qui, il vostro orologio. Prendetelo! A ciascuno il suo ! Il vecchio solleva l'orologiobarcolla, cerca di guardarlo come la cruna di un ago, ma l'orologio gli sfugge sempre dallo sguardo : — Date a Cesare, sìdate a Cesare quello ch'è di Cesare — va mormorando. — A me date il mio orologio, a voi i vostro naso. Date al naso quel lo ch'è del naso, all'orologio quello ch'è dell'orologio. Date all'orologio il naso. No... A me date il naso, a voi l'orologioNo, no. A me il mio orologio, a voi il vostro naso. Ecco, bene, pensa l'ometto, a me il mio naso. E la mia gobba? Anche la mia gobba. E le mie mani gialle? Anche le mie mani gialle... Tutto quello chmi appartiene, datelo a me, sem pre a me. La confusione per glaltri, non per me. Vitaliano Bratteati

Persone citate: Vitaliano Bratteati

Luoghi citati: Stra