La guerra dell'oppio

La guerra dell'oppio CINA. DE li SUO La guerra dell'oppio (Dal nostro Inviato speciale) HONG KONG, giugno '35. L'appuntamento 6 fissato per le 5 del pomeriggio al Penìnsular Hotel di Kowloon, una cittadina di fronte ad Hong Kong, sovra una striscia di terra cinese, che l'Inghilterra affitta per cent'anni. Sono appena le \ e tre quarti, ed io ho già controllato due volte l'ora, vii sono alzato e seduto a-varie riprese ed ho fatto un giro circolare della sala, esaminandone gli oggetti e i quadri. Persino il ritratto di Re Giorgio V ha soffermato per alcuni istanti la mia attenzione. Ed, abituato a vedere il bonario sovrano inglese in giacchetta e tuba grigia, io mi stupisco nel trovarlo effigiato, in occasione del giubileo, in ermellino e corona. Nell'attesa, tuttavia, il panorama di Hong Kong mi distrae in modo particolare: Hong Kong? Una roccia, sulla quale gli inglesi hanno costruito una città e dei giardini. La città: due file di grandi case a più piani, uso banche, uffici, depositi, caserme; e molte piccole case ad un piano per i magazzini e le abitazioni dei cinesi. I giardini stan sospesi alla montagna e circondano le ville, dove abitano gli uomini vestiti dì bianco: i « masters », i padroni. Un appuntamento mancato Ma la visione di Hong Kong, con i suoi mille alveari, non diluisce del tutto la mia impazienza. Io dovrò ancora passeggiare in su e in giù per la camera, soffermarmi di nuovo davanti all'oleografia di Re Giorgio, consultare per la terza volta il mio Alpina-Gruen. No, lettore malizioso, non aspetto una donna e tanto meno la bionda Regina dei pirati. Mi ha dato appuntamento qui e dovrà arrivare fra pochi minuti Mister Chu, quel cinese dall'epidermide color avorio antico, conosciuto a bordo del Dragone Alato. Dopo le sue spontan o dicniaraioni a proposito dei pirati, costui si era presentato, affrettandosi però a portare il discorso sull'argojnento del giorno: la prepotenza giapponese. Dei pirati, più niente. Diverse volte, io tentai di rimetterlo in carreggiata. Invano! Non capiva o non voleva capire ? Non sapeva altro sul conto dei lut-zé o ne sapeva troppo ? Ne sapeva trop po! Questa, almeno, fu la mia im pressione precisa. Posso ancora vedervi, Mister Chu? — gli domandai, in conseguenza, al nostro arrivo a Canton — Volentieri. — Quando? — Alle sette, passerò io all'Hotel Victoria. Nella capitale del sud, l'Hotel Victoria è l'unico albergo possibile per europei. Nell'attesa, gironzolai per la città, città torbida di contrasti e di misteri. Larghe stra de asfaltate corrono parallele a viuzze sordide; negozi Zuminosi di seta si affùincuno a botteghe oscure, dove si vendono i vestiti e le coperte dei morti, dove artigiani con satanica pazienza lavorano l'avorio e la giada o rendono vellutata la lacca, secondo l'invariata tecnica di due mila anni addietro. Urlanti automobili aereodinamiche si incrociano con risciò fragili e silenziosi; mentre dignitosi cinesi e graziose sing-song girls passano fra la folla, che odora forte, gesti cola, si gratta, sbadiglia, si soffia il naso con le dita e scrocchia a due metri. Canton la chiamano la città delX'anistra: tranquilla alla superficie, tumultuosa sotto le acque. Tutta un'oscura vita segreta l'agita. Tutte le rivouzioni sono partite di lì. Alle sei e tre quarti, rientrai all'albergo. Alle sette precise il cameriere mi annunziò: — La diregione dell'Hotel vi av¬ e o i e i o , l ò ù e a a a o i a . n n o r l i a i e i a . e e i o a a , a ¬ verte che il signore da voi atteso è impossibilitato a venire. Egli vi ■prega di scusarlo e di aspettarlo domani, alle dieci del mattino, all'Hotel Rivera di Macao. Di tappa in tappa Una giunca a vapore mi portò, la sera stessa, nella più antica colonia del mondo. I portoghesi la occupano, difatti dal XV seoolo. Case a loggette, piazze col chiosco per la musica, chiese barocche le danno l'aspetto di una tranquilla città costiera del Portogallo. Gli abitanti soltanto hanno, in maggioranza, und'tinta color zafferano. Alle dieci in punto, qualcuno picchiò alla mia porta. — Avanti! La porta si aprì e un cinese sporse esitante la testa: — Il signore che voi attendete, vi saluta per mio mezzo, e mi incarica di accompagnarvi al Penìnsular Hotel di Kowloon, dov'egli si troverà alle sei. Il battello partirà alle due precise. Intuendo il mio disappunto, il messo di Mister Chu aggiunge: — Il signore in parola mi incarica pure di riferirvi che egli vi darà tutte le informazioni possibili sull'argomento che vi interessa. L'argomento che mi interessa? pirati. Mister Chu me ne parlerà davvero e a fondo? Mi racconterà particolari inediti e avventure interessanti? Ed io potrò, magari con qualche domanda ben dosata, sapere qualcosa sul conto deZZ'Orchidea Rossa, Za loro bionda e misteriosa regina? Calma! Calma! Cotesto Mister Chu chi è esattamente? Non lo so. Non so neppure se questo sia il suo vero nome. Non può darsi che egli sia un imbroglione alla caccia di qualche lauta mancia con alcune frottole bene inventate? E se fosse una spia del governo cinese? Oppure semplicemente un buontempone, che vuole divertirsi alle spalle di questo Sherlock Holmes in calzoncini e casco coloniale? La mia attuale impazienza nella sala del Peninsular Hotel deriva appunto di qui. E non è tutto. Alla fin dei conti, Mister Chu verrà stasera? Per due volte, non è venuto. E un proverbio internazionale e non soltanto cinese avverte che non vi è il due senza il tre. Ma, stavolta, con qualche minuto d'anticipo sull'appuntamento, il cinese color avorio antico si inquadra nella porta. Io gli vado incontro, la mano tesa: •— Grazie in precedenza delle informazioni che vorrete darmi. Il cinese ha un gesto euasiuo Indi si toglie il cappello e guarda fuori. Nel tramonto, Hong Kong assume ih colore di quei dolci di miele, di cui essa già offre l'immagine con i suoi mille alveari. ■ Ecco un perla del diadema brittannico! — aggiungo per non precipitare l'intervista. Una perla? Una macchia Mister Chu si volge di scatto. — Honr; Kong, una perla ? Una macchia, volete dire..., essendo essa il frutto di una guerra che disonora un paese, iti guerra dell'oppio! Frappone una breve pausa, indi mi domanda: — Conoscete la guerra dell'oppio ? Ma, senza darmi tempo di rispondere, continua: — L'oppio in Cina l'introdussero gli inflrZesi, precisamente il colonnello Watson e il vice-residente Weeber della Compagnia delle Indie. La droga, portata dall'India, dove al principio del secolo scorso esisteva una specie di superproduzione, trovò da noi un mercato favorevole. Gli inaZesi si arricchirono a milioni. Ma i fedeli del « dio ntro :■> divennero talmente numerosi, che l'Imperatore, aZ- o i o ò, a o. o e a aoe, i à l i a. ? ò, n o ! è o o a te n o. à e il o a g di ma n a larmato, pregò gli inglesi di tron care il pericoloso commercio. Costoro, per l'occasione, fecero... gli indiani. Su ordine dell'Imperatore, allora, ventimila casse, sequestrate su navi brittanniche, vennero gettate in mare. Subito 15 vascelli da guerra affermarono a colpi di cannone il diritto dell'Inghilterra in Cina. Così, gli uomini gialli dovettero battersi per difendersi dalla droga seminatrice d'oblio. E per due anni, 181,1-1,2, si batterono bene. La caduta di Sing-Kiang ne è un esempio. Tutti gli abitanti difesero le loro case fino alla fine, massacrando la propria famiglia e suicidandosi, piuttosto di cadere prigionieri. Si raccontano scene crudeli ed emozionanti ad un tempo. Nell'interno d'una casa, venne scoperto un cinese mentre stava segando il collo della moglie sull'orlo di un pozzo, dove già erano stati precipitati i figli. La disgraziata venne salvata, ma, appena potè parlare, si scagliò con violenti imprecazioni contro i vincitori. La presa di Sing-Kiang fu un tale disastro e tanto grande ne risultò il panico in tutta la Cina, che l'Imperatore si decide a domandare la pace. E l'ottenne con il trattato firmato il 29 agosto 1842 a bordo del Cornewallis. La Cina versò 50 milioni di dollari per le ventimila casse d'oppio inghiottite dal mare, aprì agli inglesi cinque porte e consegnò loro l'isola di Hong Kong, che controlla tutto il delta di Canton. Il racconto di Mister Chu mi risulta in gran parte inedito, ma in complesso poco interessante ai fini della mia inchiesta. Più volte, perciò, ho tentato di interromperlo con gesti della mano. Inutilmente! Soltanto alla fine, posso osservare: — Veramente, Mister Chu, non avete promesso di parlarmi dei pirati e della loro organizzazione? — Appunto, è quanto sto facendo. Tra la guerra dell'oppio e la pirateria esiste va certa relazione come fra causa ed effetto. Dopo la firma del trattato del 18J,2, nel mio paese naturalmente si continuò a fumare. Col tempo, la Cina non comperò più l'oppio dall'India, lo coltivò sul proprio suolo. E, attorno al suo commercio, coinè in tutti i paesi del mondo avviene attorno ai commerci proibiti, nacquero e vissero gruppi di banditi e di pirati. Certo, in questi ultimi anni, seguendo lo spirito di speculazione che ha invaso il mondo, costoro si sono evoluti e, per così dire, americanizzati. Non agiscono più isolatamente o a bande. Costituiscono come una specie di vasta società anonima, a capitale illimitato, con un consiglio d'amministrazione e un presidente, con filiali e succursali... — E simile società si chiama, precisamente? — Il Club dell'Orchidea Rossa! — mi sussurra Mister Chu, chinandosi al mio orecchio. Paolo Zappa SING-SONG Gl RLS IN PORTANTINA