La replica di Hull
La replica di Hull La replica di Hull L'America non vuol saperneNew York, 6 notte. H Governo di Addis Abeba, diventato improvvisamente un fervido credente nei patti internazionali, nel documenti diplomatici e nella pace universale, ha indirizzato al Governo di Washington un appello telegrafico, invitando l'America a invocare l'applicazione dei principi del Patto Kellogg per una soluzione della vertenza italoetiopica. Il Segretario di Stato Hull ha ricevuto il lungo dispaccio ieri nel pomeriggio, ne ha informato subito la Casa Bianca e il Presidente Roosevelt ha allora immediatamente chiamato Hull a conferire con lui. Il problema è stato risolto in quattro e quattr'otto. Gli Uffici della Segreteria di Stato hanno compilato una risposta, la quale già stamane viene resa nota al pubblico dal giornali. In essa Washington assume un atteggiamento squisitamente cortese, ma, in modo che non lascia adito a dubbi, fa comprendere che l'Abissinia è un Paese troppo lontano per indurre la diplomazia degli Stati Uniti a impegnarsi in un'azione internazionale in sua difesa. Il realismo della risposta americana appare evidente dal testo di essa. « /I mio Governo — dice la replica di Hull telegrafata al Ministro americano ad Addis Abeba affinchè la comunichi al Governo del Negus — interessato come è al mantenimento della pace in ogni parte del mondo, è felice che la Lega delle Nazioni abbia dedicato la sua attenzione alla controversia, nell'intento di portarla a una pacifica soluzione. Il mio Governo spera che, siano quali si vogliano i fatti e i meriti della controversia stessa, l'organo arbitrale che si occupa di essa riesca a formulare una decisione soddisfacente per entrambi i Governi direttamente interessati. Aggiungo, in considerazione di ciò a cui provvede il Patto di Parigi, del quale tanto l'Italia che. l'Abissinia sono firmatarie insieme ad altri 61 Paesi, che il mio Governo esita a credere che l'una o l'altra voglia ricorrere a mezzi che non siano pacifici in questa controversia, o voglia permettere che s sviluppi una situazione'che non sia in armonia con gli impegni del Patto ». Fatta la debita parte al capoverso finale, che non era impossibile non introdurre, è opinione generale qui in America che la risposta del Segretario di Stato non sia altro che un rifiuto bello e buono, fatto con belle maniere, di ingerirsi in una vertenza, alla quale gli Stati Uniti non sono nemmeno lontanamente interessati. L'esattezza di questa opinione è sottolineata dal fatto che l'America in passato ha invocato già tre volte l'applicazione del Patto Kellogg o Patto di Parigi, come si chiama ufficialmente; e cioè una prima volta nel 1929 quando le relazioni fra il Governo sovietico e la Cina divennero particolarmente tese; una seconda volta allorché 11 Giappone invase la Manciuria; e infine quando scoppiò la vertenza e poi la guerra del Chaco fra Bolivia e Paraguay: in tutti e tre i casi era menzionato però che il Governo di Washington riteneva di essere moralmente obbligato a compiere per lo meno un gesto platonico: e nel Pacifico come nell'America meridionale esso ha pure interessi materiali che lo inducono a non ignorare ciò che vi accade. Ma l'Africa è ugualmente lontana dal Pacifico come dal Sud America e l'obbligo morale non può essere sentito in America verso un Paese che non ha saputo mantenere l'impegno assunto entrando nella Lega ginevrina di abolire la schiavitù. Ciò spiega sufficientemente la differenza di atteggiamento nei diversi casi e si tratta di una spiegazione non passeggera, ma permanente. La quale, tuttavia, non esclude — si rileva a Washington — che se qualche altra Potenza ritenesse un giorno di dover accollarsi l'intera responsabilità di invocare il Patto Kellogg, il Governo di Washington potrà aderirvi: ma solo in seconda linea e compiendo un atto di pura « routine » diplomatica. Si noti infine che attualmente sono allo studio nelle Commissioni del Senato progetti di legge che debbono regolare il contegno dell'America in caso di scoppio di ostilità in qualsiasi parte del mondo. Assumere un atteggiamento concreto di fronte a una vertenza in corso, prima che il Senato e la Camera dei Rappresentanti abbiano avuto modo di esprimere le loro vedute su questo importante problema, sarebbe stato per il Governo di Washington un atto imprudente. Si ritiene a Washington che ove davvero scoppiassero ostilità nell'Africa Orientale, le leggi in parola sarebbero presentate e discusse affrettatamente dal Congresso. A. R.
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