ROMANZI

ROMANZI ROMANZI Il chiuso amone " Dolcemente posato su un rude ripiano, al limite di un folto castagneto, sorride festoso, lieto di aver costretto la protettrice montagna a far da sfondo, con il verde cespo dei suoi faggeti, allo stendersi gaio delle sue linde casette. Questo è Castel San Pietro, un paesetto del Canton Ticino, patria di gente laboriosa che — come tutti i ticine— conosce la durezza d'un pane guadagnato in contrade straniere, gente nella quale stenta a spegnersi la nostalgia del proprio campanile, gente che torna quando l'età matura è annunziatrice del meritato riposo. Si comprende come i sentimenti di gente cosi temprata ?' iano semplici e forti, come i tem.eramenti vi siano schietti e vigorosi: ed Antonio Scanziani nel tuo romando II chiuso amore (Ed, Ceschina, Milano - L. 10) ha il Aierito di portarci in questo lembo d'Italia oltre confine per rappreilentarcene amorosamente l'umile «ta profonda cosi simile a quella .li tanti nostri villaggi e che nella descrizione che cn ne è data dallo Scanziani fa ricordare, per certa delicata spiritualità e per il sottile umorismo, certi ambienti fogazzariani. Natalino Brazzola — proprietario della casa che abita e in più di non meno di venti pertiche di terreno con due case coloniche — è la figura che nel racconto rappresenta più vivamente i caratteri della gente del luogo. Lavoratore tenace e taciturno, legato alla terra e alla casa come ad una parte viva di se stesso, chiude tutta la sua vita sentimentale nel cerchio breve della famiglia: il ricordo pio dei trapassati, l'amore contenuto e silenzioso per i viventi. Mortigli la madre ed il padre,gli resta una vecchia zia la cui dedizione al nipote è fatta di cure soavemente materne e di borbottamenti. « Sposati, Natalino»: è l'ammonimento tenace della zia; ma Natalino ascolta e tace. Eppure, non ostante che egli non voglia confessarlo neanche a se stesso, c'è una ragazza che lo ha colipito: Agnesina, la figliuola gentile •e bella d'una merciaiola friulana venuta a Castel San Pietro a chiudervi le sue pazienti e dolenti e ■fruttifere pc -serinazioni. La zia, scopre il se- -to chiuso nel cuore del nipote, c avviene quel che deve avvenire: i due giovani si sposano. La felicità, sorvegliata e scontrosa in Natalino abbandonata e lieta in Agnesina, tocca il culmine con la nascita di due figli: Annamaria e Giacinto. Ma il dolore batte presto alle porte della casa felice. Giacinto, nel quale Natalino ha intravisto l'ascesa della famiglia ad un più alto gradino sociale, è mandato agli studi a Basilea; ma quivi il ragazzo si ammala gravemente e, trasportato al paese natio dal padre stesso atterrito dalla sciagura, muore. Il dramma che si svolge nel cuore paterno, accennato dallo scrittore con sobria efficacia, è terribile, e la figura di Natalino che segue i funerali non è dimenticabile. Ma il dramma ha uno sviluppo inatteso. Natalino, chiuso nel suo cupo dolore, si fa esasperante ed esasperato, sicché Annamaria sente di essere di troppo nella casa, e vuole andarsene, se ne va a lavorare a Mendrisio. Qui il romanzo si fa un po' svagato con le vicende della ragazza cui il padre non dà nemmeno notizia della morte della madre. Annamaria è colpita nei suoi sentimenti più profondi e, dando ascolto alle suggestioni di una compagna, si lancia a corpo morto in un mondo equivoco a Parigi, a Milano, in altre grandi città, conservandosi pura e raggiungendo anzi la felicità nell'onesto amore offertogli da un ricco giovanetto. Il ritorno di Annamaria al paese natio con un suo figlioletto e lo sgelarsi del cuore del vecchio Natalino che vede là famiglia prolungarsi nel nipotino, concludono il romanzo che è particolarmente vivo e buono e sano quando rappresenta l'umile vicenda dell'umile gente di un soave e sperduto paese montano. L'ultima dogaressa Con questo titolo che echeggia un po' del vecchio D'Annunzio t L'ultima dogaressa, Ed. Montes, Torino, L. 10) e con una citazione di San Paolo che vorrebbe dare una moralità al racconto, Claudio Calandra ha presentato la narrazione del tristo amore e del delitto di una donna posti ad antitesi dell'amore infelice e del perdono che un uomo ha concesso a colei che l'ha tradito. E l'una e l'altro si scambiano per lettera il racconto dei tragici episedi della loro vita e ciò dovrebbe valere, nell'intenzione del romanziere, non tanto a dare un carattere di maggior verosimiglianza alle vicende narrate quanto a consentirgli di entrare più profondamente nell'anima dei protagonisti. Certo è però che questa Sara «cui una nobile alterigia era stata conferita da un atavismo che risale agli aurei splendori dei Dogi » così da essere chiamata dall'amico Principe Gianfranco di Montereda « l'ultima dogaressa » è un po' ammalata di letteratura e con la disgrazia che le capita di innamorarsi di un uomo sensuale e dissoluto è destinata ad una sorte ben amara. Sulla sua vita pare graviti la frase dettale un giorno da una compagna i cui occhi torbidi parevano alle volte divorarle la faccia: «Ti assicuro, Sara, ch'io preferisco il profumo dei fiori agonizzanti a quello dei fiori freschi, per il loro sottile principio di corruzione... ». Ed e proprio questo profumo che accompagna l'amore di Sara per un uomo che dimentica tosto la moglie per inseguire il suo insaziato capriccio. « Io ritengo — essa dice — che l'amore di Ariberto m'avrebbe assai meno fatto soffrire del suo disamore»: ma non è chiaro se questa sofferenza derivi alla donna dall'inappagamento dei sensi o da una volontà eroica di dedizione. Fatto è che, dinanzi ad una nuova prova del tradimento del marito, essa lo uccide nel sonno. Nel tragico risveglio e negli spasimi dell'agonia il marito ha per la moglie parole soavissime di amore che s'incidono in lei roventi come il rimorso. L'amico di Sara, Gianfranco di Montereda, cui èssa ha rivolto l'angosciosa confessione, le risponde narrando •a sua volta il proprio dramma e [cioè il suo matrimonio d'amore [con una donna assai più giovane, ■Solange. che s'innamora d'un altro. Gianfranco non ignora il tradimento della donna non ne ignora le menzogne, ma perdona. « Così, cosi, io ho amato Solange, e ringrazio Dio d'averle perdonato, poiché, senza di lei, la vita mi sarebbe diventata insopportabile: io non vivo che del suo respiro. Nel perdono si cela il segreto della felicità». Il romanzo si chiude romanicamente con l'entrata di Sara ir. in chiostro. 1. a. m.

Persone citate: Agnesina, Antonio Scanziani, D'annunzio, Fatto, Montes, Natalino Brazzola, Principe Gianfranco, Scanziani

Luoghi citati: Basilea, Canton, Italia, Milano, Parigi, San Paolo, Torino