VARIA LETTERATURA di Francesco Bernardelli

VARIA LETTERATURA VARIA LETTERATURA Cronisti del Trecento Il secondo volume pubblicato nella bella e utile collezione dei Classici Rizzoli diretta da Ugo Ojetti (Cronisti del Trecento, a cura di Roberto Palmarocchi), ci offre una lettura sostanziosa ed energica. Vi sono raccolte le Cronache dì Dino Compagni, di Giovanni, Matteo, Filippo Villani, v'è la « Cronica domestica » di Donato Velluti, il '/. Diario » dell'Anonimo Fiorentino, la « Cronica Fiorentina » di Marchionne di Coppo di Stefano Buonaluti, vi sono le Croniche di Ricordano e Giacotto Malispini, le « Storie Pistoresi », la i Cronica Aquilana » di Buccio di Ranallo. Nutritissime pagine, vasti racconti in un libro agevole e compatto. E' la vita di tutto Un mondo che ci viene incontro; figure nette, azioni immediate e rapide, profili di città; dal la seconda metà del Duecento, per l'età di Dante, pei campi guerreschi di mezza Italia e di Francia, tra grandi moti di popolo, e fazioni, e colpi di mano e cataclismi naturali, e incendi, e feste, e lutti atroci, fino al cuore del Trecento, da Giano della Bella al Duca d'Atene, dalle lotte dei Cerchi e dei Donati al Tumulto dei Ciompi, alla Guerra dei Cent'anni, è il formarsi e il divenire di Stati e di Repubbliche, è la gran ressa degli uomini intorno al potere, per arme o per inganno, con furore o con astuzia combattitori, diplomatici, demagoghi, or ferocemente offesi e sconfitti, ora dominanti e trionfanti. E in quel battagliare continuo, in quelle violenze, tra le curiose avventure, è l'accentrarsi e il formularsi di una civiltà meravigliosamente attiva, intelligente, creatrice. I racconti sono in un certo senso ingenui, primitivi; ma quell'ingenuità, quella primitività non sono poi che purezza d'occhi, che un vedere schietto e limpido, onde l'effetto — con altro e più spontaneo modo — è quello stesso di un'arte scaltrita, che vi dia, in un groppo solo, cose persone e fatti, e le ragioni dei fatti e la psicologia delle persone. Racconti in piedi, vivissimi e attraentissimi; racconti popolosi, folti di luoghi e di genti; e a leggere l'interesse non viene mai meno, sia che si narrino i sommi eventi della storia sia che si riferiscano aneddoti cittadini o casi di privati: perchè l'interesse non solo dal mirabile quadro ma anche è dato ! e rinfocolato dall'efficacia dello stile, disadorno e grezzo, che diviene esso stesso persona, gesto, azione. Nella breve e chiara introduzione, il Palmarocchi illustra il carattere di queste cronache, le loro origini spirituali, ', ™ ""6*"' ^"""o" ] 'a.1.or° 1uaIlta politica e morale. «Avi dita di conoscenza; necessità pratica di preparare se e i propri discendenti alla lotta commerciale che in tutti i mercati del mondo si faceva sempre più aspra; proposito di insegnare a fuggire gli errori dimostrando le cause di quelli commessi e scontati; desiderio di, dilettarsi e di dilettare: questi elementi!0possono, ciascuno o tutti insieme, costi- 'e tuire il movente che indusse il cronista a compilare i suoi libri ». Ma nessuno di questi elementi, egli aggiunge, ci dà la sostanza, la ragione vitale dell'opera d'arte. Altrove la si deve ricercare. L'« idea » che opera negli scritti dei cronisti trecenteschi è quella del Comune, della città. « La vita e la gloria di questo stato cittadino, che si è formato nel Dugento liberandosi di tutti i protettori e purgandosi di tutte le so- tutto a Giovanni Villani « creatore del la cronaca trecentesca e autore del più perfetto esemplare di essa ». Il suo fare talora inviluppato e disordinato ri- l , o o t l e a , n i l a a e o a i i a ì ù e i\ n\incalzanti, e noi ne avessimo una per a l e e e e a l ò. a\noi- Non e Susto letterario, è gusto di i un linguaggio cronistico e invqlonta, i riamente poetico, che si incorpora con ,cose- Nei ^PP1 della frase' ln certl i'nodi asintattici, su certe spazzature o bruschezze del discorso, ci impuntiamo, ò|ma Ia fuggevole incertezza si converte -|t°sto in piacere più vivo, più rui stic0 e naturale, il piacere di stringe-ì™ da vicino Su attl e &h aspetti della i; vita. Ecco come Dino Compagni ci pre- ìsenta Corso Donati: « Uno cavaliere i!<*<-'"o somiglianza di Catellma romano, , -jsue e ecneququdeletose« rastG13sainl'Atisctrlepspdvtilee cmchdcgpnesscmlitenlivtoarafespdchtiMtuNpsetiDtrleqdplasqlemgpdtcspravvivenze feudali, che a principio deljTrecento è nel suo massimo splendore (nelle stesse lotte interne lo Stato di-1mostra la sua forza espellendo tutti gli (elementi che volontariamente o incon-|sciamente preparano un ritorno al pas- sato), questa vita e questa gloria — scrive il Palmarocchi — sono la mate-1 ria, l'idea, la moralità del cronista tre-'centesco ». Vita e gloria nelle quali con-ifluiscono antichissime tradizioni e il ri- 'cordo di Roma, e l'unità profonda della nostra storia. E ciò va riferito soprat-.tdaspecchia la vita con un'istintività, conjeuna simultaneità vorremmo dire, irre- i gsistibile. Matteo è già più letterato: majtacquistando in sostanza ed eleganza, i perde in spontaneità. « Si considerino i I ediscorsi — cosi il Palmarocchi — mes- j osi in bocca ai personaggi: in Giovanni Villani, come anche in Dino Compagni, son poche frasi sempre sostanziose e di una brevità spesso scultoria; con Matteo quei discorsi prendono una certa ampiezza e carattere oratorio, ossia rettorico: un vezzo classicheggiante del slcGrspquale la nostra storia saprà di rado li-jfberarsi nei secoli successivi ». ! mA leggere, dunque, queste pagine an- ! mtiche, succose, ove pare che l'espenen-1 sza del mondo abbia acquistato senso cremotissimo, e sia tuttavia fresca, ru- ; zgiadosa, mossa ancora dalle recenti im-ivpressioni, si prova una strana sensa- fzione, come se i fatti, le persone ci cir-1 ncondassero d'un tratto, vivi, parlanti ejmenfscezione immediata, fisica. I personaggi di queste cronache, gli eventi, hanno in sè tutta la loro misura; un po' rozzi, ma compiuti e definitivi, ci affrontano — psicologia e gesti, circostanze di luogo, di tempo e d'ambiente — con una specie di baldanza decisiva e irrompente. Leggere è un piacere concreto, è presa di contatto con una realtà che ancor si muove innanzi a o e ù i a a e o ma più crudele di lui, gentile di sanbcllo di corpo, piacevole parlatore, adorno di belli costumi, sottile d'in! gegiio, con l'animo sempre intento a : malfare, col quale molti masnadieri si raunavano e gran séguito avea, mol! te arsioni e molte ruberie fece fare, e | gran dannaggio a' Cerchi e a' loro amici;, molto avere guadagnò, e in gran|de altezza sali. Costui fu messer Corjso Donati, che per sm superbia fu chia- sdctieaaXdbcmato il Barone; cno quando passava [ per la terra, moli» gridavano: « Viva|il Barone*; e parea la terra sua. La vanagloria il guidava... ». Ed ecco io stesso Donati a battagliare: « Messere Corso, non volendosi lasciare sforzare, richiese gli amici suoi; e molti sbanditi raccolse; e venne in suo aiuto messer Neri da Lucardo, valente uomo di arme. E armato a cavallo venne in piazza, e con balestra e con fuoco combattè il palagio de' Signori aspramente ». Ed 0 ,11 i'giani e ecco nell' incendio appiccato dai Neri, nel giugno del 1304, a Orsanmichele, questo tratto: «I Cavalcanti perderono quel di il cuore e il sangue, vedendo ardere le loro case e palagi e botteghe, e quali per le gran pigioni, per Io stretto luogo, gli tenean ricchi ». ^ Come tutto è qui virilmente rappresentato; com'è impressionante quel « perdere cuore e sangue » di un naturalismo cosi istintivo; altro che il nostro «impallidire»! E chi legga di Giovanni Villani la grande alluvione del 1333: al « ... onde quel di della Tussantl cominciò a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e nell'Alpi e montagne, e così segui al continuo quattro di e quattro notti, crescendo la piova isformatamente e oltre al modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e colla detta pioggia continuando spessi e grandi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle Chiese infino che non alzò l'acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli; con grandi strida gridandosi a Dio misericordia, misericordia per le genti ch'erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tétto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond'era si grande il romore e '1 tumulto, ch'appena si potea udire il suono del tuono » — chi legga queste pagine, o, ad esempio, quelle del Buonaiuti che descrivono la peste del 1348, non può rimaner senza meraviglia per quel brulicare di vita, per quel fiotto di caratteri e di cose in una scrittura tutta nerbo e punte, e intagli profondi, e rilievo. Popolaresca, domestica, senza volgarità mai. La nobiltà dello scrittore, nel racconto delle azioni, spesso atrocissime e perverse, nella considerazione di uomini e di eventi, è manifesta pur nel linguaggio spedito e spregiudicato, e se volessimo definirla, diremmo che è una specie di energia che non si sminuisce o sperde nei fatti, ma li investe in pieno, e li domina. Ma un altro carattere di questa scrittura vorremmo rilevare: l'intimità. Negli scrittori di storia che vennero poi, questo a tu per tu con gli eventi s'andò perdendo; storie magnificheespressive di alta civiltà, ma volentieri concionanti e impaludate. Qui in Dino Compagni, in Villani e negli altri, v'è un modo famigliare, un veder le cose da vicino, un ritrarle tali e quali, un sentirsi della statura stessa di ciò che avviene, che vi fa penetrare più a fondo nella narrazione, e vi dà la sensazione d'aver parlato con questa gente, d'averla conosciuta e frequentata. Senza descrizioni, senza pittorescola vecchia Firenze, e le terre e i e il popolo minuto e gli artigiani e i signori vi smostrano a tutto rilievo. E come gli spigoli acuti delle torri, delle mura, e le porte e i mercati e le chiese, e i gradini e le finestre dei palazzi, come tutto, in un'aria lucida e temperata, spicca ed è visibile. Visibile per suggestione di vita, perchè tutto qui essendo vivo, in questo scorrere di concretrappresentazioni, anche ciò che non detto, appare d'un tratto, e voi credetdi averlo innanzi agli occhi, di riconojscerlo nella linea e nel colore, nei ca ratteri sommari e ingenui di affresc1antico. E' l'intimità della, cronaca, è la (intimità del sentimento per cui uomi|ni, delitti, glorie, passioni, interessi battaglie, passato, presente, tutto è a portata di mano, tutto ha un senso1 parziale magari, fazioso, ma perento'rio. Ed è anche intimità d'arte, fiorita isu quell'intimità psicologica: il croni 'sta è intimo della sua città, ne conosc a fondo i modi dell'esistenza, la tradi.zione, il costume, le idee, i proverbi, traduce la sua esperienza con semplicità grande, da pari a pari, penetrando i moti degli animi e delle folleascoltando quel che si dice nei vicolje sulle piazze, discutendo e parteg i giando. E voi ascoltate, vedete, parjteggiate con lui. E' arte intima e deli i cata perchè naturale, perchè genuina I e spontanea fino all'impulsività, al dis j or(jine e alla rudezza. A volte è comse un vecchio vi narrasse la storia della sua famiglia, a volte è il cittadinche illustra e onora la sua città: « ... iGiovanni cittadino di Firenze, considerando la nobiltà e grandezza della nostra città a' nostri presenti tempi, mpare che si convegna di raccontare jfare mem0ria dell'origine e comincia ! mento di cosi famosa città, e dell ! mutazlonl avverse e felici, e fatti pas1 sati di quena... >. in ogni mod0 è cert che in tanta forza e acutezza di elocu ; zJone e d'animo e di stile, mai vi aviviena di sentirvi spaesati. E', con . forzat l'incomparabile grazia di quest1 narratori, che vi tengono a loro piacijmento e tutto sanno e tutto vi diconoe non tanto presumono di erigere monumenti, quanto si industriano di confidarvi con appassionata schiettezza segreti del proprio tempo. Francesco Bernardelli

Luoghi citati: Atene, Donato Velluti, Firenze, Francia, Italia, Repubbliche, Roma