La Polonia senza Pilsudski fra Piccola Intesa e Russia di Italo Zingarelli

La Polonia senza Pilsudski fra Piccola Intesa e Russia La Polonia senza Pilsudski fra Piccola Intesa e Russia (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) VARSAVIA, giugno. Varrà la pena ritornare sul delicato punto dei rapporti franco-polacchi al quale abbiamo accennato nel precedente articolo, dicendo che il Quai d'Orsay mette Varsavia nell'imbarazzo da una parte con la politica russofila e dall'altra con la politica a favore della Piccola Intesa. Ora la Piccola Intesa è un organismo per il quale la Polonia non ha la benché minima simpatia, tanto che volentieri lo vedrebbe scomparire. Naturalmente, la Polonia a cui ci riferiamo è sempre quella erede del pensiero di Pilsudski, governata, per non citare che i più rappresentativi, da Moscicki, Slavek e Beck. Gruppi disposti a trattare la Piccola Intesa in altro modo ed a farne un'alleata o una collaboratrice ce ne sono, si capisce, e li formano gli oppositori nazionali democratici, anche favorevoli ad .una politica francofila ad oltranza, i quali negano che fra Polonia e Piccola Intesa esistano contrasti d'interessi: nati o ingranditisi assieme alla Polonia, gli Stati della triplice debbono anzi lottare per idee che con le polacche collimano perfettamente. Genesi di un dissenso Un convinto sostenitore di tale tesi è il generale Sikorski, un avversario del defunto maresciallo in ottime relazioni con l'alta ufficialità francese. Però il Sikorski ed i suoi amici interni ed esterni dimenticano che l'impossibilità di conciliare la Polonia col terzetto Czeco-Slovacchia-Jugoslavia-Rumenia non s'è verificato appena nel momento in cui Varsavia, auspice Pilsudski, ha fatto più o meno garbatamente capire alla Francia che desiderava agire un po' a modo suo, ma subito dopo la guerra, subito dopo la fondazione della Piccola Intesa, avvenuta, come si sa, ai 14 di agosto del 1920, in ossequio ad una formula elaborata dal ministro degli Esteri rumeno Take Jonescu, che ragionava essere l'idea di un'alleanza fra Rumenia, Czeco-Slovacchia, Jugoslavia, Polonia e Grecia più facilmente realizzabile dell'idea di Masaryk di un blocco destinato a comprendere tutti i nuovi Stati dell'Europa centrale e orientale, dal Baltico all'Adriatico. Le esperienze insegnarono poi a Take Jonescu che nemmeno la sua idea era di facile realizzazione. Nel dicembre del '20 il ministro degli Esteri rumeno, recatosi a Varsavia per sondare il terreno, apprese che i polacchi pensavano invece a un'alleanza con la Rumenia e coll'Ungheria, e la cosa gli parve tanto assurda, che si affrettò a rispondere che il parlarne sarebbe stato pura perdita di tempo. Più tardi la Polonia strinse un'alleanza separata con la sola Rumenia, e questo indusse gli ottimisti a sperare che col tempo Varsavia si potesse decidere ad aderire alla Piccola Intesa. Ma le ragioni per le quali fallì la missione del signor Take Jonescu non hanno mai perso il loro valore: i malumori della Polonia verso la Czeco-Slovacchia sono vivi e profondi come nel 1920, epoca in cui Praga impedì il trasporto attraverso il proprio territorio di munizioni destinate all'esercito polacco che si batteva per difendere Varsavia contro i russi, e come all'epoca dell'occupazione da parte dei czechi della zona polacca di Reschen, avvenuta nel gennaio del '19, mentre la Polonia si trovava in difficoltà. I czeco-slovacchi ammettono che il colpo di mano eseguito dalle loro truppe possa prestarsi a critiche, pero osservano che le truppe dovettero intervenire per ristabilire l'ordine turbato dall'agitazione bolscevica; e quando l'ordine fu ristabilito, i diritti storici della Czeco-Slovacchia valsero a dimostrare la legittimità dell'ulteriore permanenza. Altra spina nel cuore della Polonia è l'affare di Javorina: per i polacchi, i czeco-slovacchi a Javorina sono degl'intrusi, gente scesa per forza al di là delle montagne che segnano la frontiera naturale del proprio paese. « Ripassi l'Alpi e tornerà fratello ». Ma i czechi non ripassano le Alpi e la fratellanza non rinasce. Gli anni passano invano, l'oblio non sopravviene, nulla muta. Nel febbraio, facendosi a Varsavia una colletta per le scuole polacche all'estero, il signor Szwedowski, amministratore del fondo, ha tenuto un discorso nel quale ha definito i czechi « un popolo inferiore » — questa è forte, e fa il paio con l'altra di « paese lillipuziano », letto in un ufficioso di Varsavia — un popolo che essendo una minoranza nel proprio Stato non è ancora riuscito a fare della sua lingua un fattore che riunisca e concilii tutte le nazionalità dello Stato stesso; il bacino di Teschen l'oratore lo disse caduto in possesso dei czechi in certo senso in se(guito ad una battaglia perduta, pero la Polonia — aggiunse — deve as: solutamente ricuperarlo, e cosi altri distretti di confine: sebbene il censimento czeco-slovaceo del 1930 denunci l'esistenza nella Moravia slesiana di soli 80.000 polacchi, lo Szwedowski fa ammontare i suoi connazionali irredenti in quella zona ad almeno 180.000, aggiungendo che vanno considerati polacchi pure parecchi distretti della Slovacchia settentrionale. La tesi è sembrata radicale perfino a scrittori della polonofila Germania, i quali hanno detto potersi la cosa comprendere solo nel senso che alcuni dialetti della Slovacchia settentrionale s'avvicinano molto al polacco, eppure la si sostiene e bisogna tenerne conto. Un punto nevralgico Ma le richieste dello Szwedowski esigono una complementare spiegazione, utile a chiarire non soltanto la natura dei rapporti fra Czeco-SlO' vacchia e Polonia. Slovacchia e Rus sia carpatica — regioni ambedue soggette alla sovranità di Praga — costituiscono un punto nevralgico eu. ropeo di estrema sensibilità. In questo punto nevralgico s'incrociano la segreta aspirazione della Czeco-Slovacchia di riuscire un giorno a stabilire una frontiera comune colla Russia, privando la Polonia della Galizia orientale, e s'incrocia il desiderio di certi ambienti polacchi euslvlvpgtfrvcfdPeppcsbilasfdlgmPiSfirCnnltsrp e o l o i o ungheresi di riuscire ugualmente a stabilire una comune frontiera fra i oro Stati, secondo una linea che dovrebbe essere tracciata a ovest, nela peggiore ipotesi, a est di Cassovia. Dettagli in materia non è facile procurarsene, però possiamo attingere ad un libro pubblicato di recente dal professore Studnicki — un ex funzionario del Ministero degli Esteri polacco, oggi insegnante all'Università di Vilna — nel quale si reclama la soppressione del corridoio formato dalla Czeco-Slovacchia odentale, mediante la spartizione fra Polonia e Ungheria della Slovacchia e della Russia carpatica. E il motivo per cui s'invoca la spartizione è appunto il desiderio di evitare che Czeco-Slovacchia e Russia sovietica possano un giorno riuscire esse a stabilire l'accennata frontiera comune. E' permesso da questo ricavare incidentalmente delle conclusioni sull'attitudine della Polonia di fronte all'Ungheria ed al programma revisionista ungherese in genere? Sì, in forma indiretta, e mai dimenticando che nel '20 Varsavia voleva l'alleanza con la Rumenia e con l'Ungheria: senza appoggiare apertamente il revisionismo ungherese, la Polonia dichiara di non riconoscere i trattati da essa non sottoscritti. Sotto il trattato del Trianon la sua firma manca, quindi ne può ignorare l'esistenza. Che il presidente del Consiglio ungherese Gombos sia venuto a Varsavia nell'ottobre dell'anno scorso, per concludere con la Polonia un patto culturale proprio mentre la Piccola Intesa discuteva sulla severità della punizione da infliggere all'Ungheria detta colpevole dell'attentato di Marsiglia, ha impressionato assai la Czeco-Slovacchia e la Rumenia. Il ministro degli Esteri di quest'ultimo paese, già nell'estate, preoccupato del distacco di Varsavia dalla rotta parigina, aveva proposto ai colleghi di Belgrado e di Praga di procedere ad una revisione dei rapporti fra Piccola Intesa e Polonia. Considerandosi ormai in buona con la Russia, egli poteva a cuor leggero dire ai polacchi: Arrivederci e grazie. E qui veniamo al nocciolo della questione, e qui comprendiamo come mai sia stata proprio la Jugoslavia, che a Marsiglia aveva perso il suo Re, ad irritarsi meno delle alleate del viaggio a Varsavia del signor Gombos e dei cordiali brindisi da lui scambiati col presidente del Consiglio polacco Kozlowski. La necessità di attirare la Polonia sulla linea russofila, la Jugoslavia non la vede e non la sente, essendo essa la prima ad onnorre ostinati rifiuti agl'inviti a riconoscere la Russia sovietica, ristabilendo i rapporti diplomatici. L'ultimo no, secco secco, il signor Jeftic l'ha pronunciato un mese addietro a Bucarest, alla conferenza balcanica, nella quale si è dimostrato insensibile alla russofilia e di Parigi e dei colleghi della Piccola Intesa, e dei colleghi del Patto balcanico. Anche la Rumenia, si dice, nutrendo Re Carol e lo Stato maggiore certi dubbi, la politica russofila propagata dalla Francia e dalla Czeco-Slovacchia la fa con un entusiasmo relativo; comunque la fa, e Titulescu s'è trovato negl'impicci, allorché, posta sul tappeto la questione del riarmo dei Dardanelli, voluto dal suo amico turco Rusti Àras e da Mosca, egli ha dovuto escogitare formule e ripieghi, per non creare un precedente in materia di revisione. La revisione, suole dire Titulescu, è la guerra. Un " grazie „ e un " no „ Però il non aver sfondato stavolta nella questione dei Dardanelli non significa affatto che la Russia tenti inutilmente di assicurarsi influenza sugli Stati della Piccola Intesa e sui balcanici. L'eventualità di una situazione'in cui la Russia, già troppo rivalorizzata dalla Francia, riesca a dominare nell'Europa centrale e sudorientale per il tramite della Piccola Intesa e del Patto balcanico preoccupa i polacchi moltissimo, epperciò essi non possono rimanere indifferenti alla conclusione tra Russia e Czeco-Slovacchia di un patto di assistenza reciproca negoziato dal dottor Benes, che ha sempre lasciato scrivere « non potere nessun connazionale ragionevole dubitare della necessità del riavvicinamento alla Russia, sulla quale in avvenire la CzecoSlovacchia dovrà appoggiarsi ». Ai 17 di maggio, all'indomani della conclusione del patto, le Lidové Noviny, ugualmente ufficiose, hanno dichiarato avere la politica estera czecoslovacca raggiunto il massimo nella situazione internazionale odierna raggiungibile a garanzia dell'esistenza della Repubblica: « E' più che un successo, commentava il giornale; è la sicurezza che saremmo in grado di resistere a qualsiasi attacco contro di noi ». Dieci giorni dopo, il Czas, autorevole organo conservatore polacco, dando uno sguardo alla politica estera francese, diceva che ignorare gl'interessi vitali della Francia sarebbe per la Polonia imperdonabile delitto: «Tuttavia resti inteso, proseguiva, -che integrità e sicurezza della Francia c'interessano enormemente, ma che l'integrità e la sicurezza dei suoi satelliti non c'interessano affatto... ». La Czeco-Slovacchia è dunque libera di dirsi sicura quanto vuole: la Polonia non se ne interessa né punto né poco. Nelle consuete forme diplomatiche la Polonia ha ringraziato Praga dell'invio dei tre apparecchi che il 17 maggio, rendendosi le estreme onoranze alla salma di Pilsudskihanno volato sul campo di Mokotoffma in pari data le ha comunicato di non essere disposta ad accordare itransito agli aeroplani della progettata linea Praga-Mosca. Italo Zingarelli SERVIZIO DEI POMPIERI è ancora, In alcune località del Giappone, affidato come viene spinto il carro con le pompe a Miyazaki. a mezzi primitivi. Ecco