La Polonia senza Pilsudski di Italo Zingarelli

La Polonia senza Pilsudski ' UN CONDOTTIERO E IL SUO POPOLO La Polonia senza Pilsudski (Dal nostro Inviato speciale) VARSAVIA, maggio. Aveva un'ideologia l'uomo che oggi riposa a Cracovia, nel panteon dei re e degli eroi nazionali polacchi? Egli è scomparso senza lasciare un testamento politico o designare un esecutore della sua volontà, ma si presume che il suo spirito e le sue idee siano diventati patrimonio d'Un gruppo di collaboratori e di discepoli, i quali avranno adesso da alternarsi nella cura della tradizione pilsudskiana. E se questa fatica deve dare dei frutti, la premessa è l'accordo in merito all'interpretazione dell'ideologia del maestro, potendosi altrimenti verificare la situazione creatasi in Russia alla morte di Lenin — quando gli eredi, disputando sul leninismo, incominciarono a litigare fra di loro — e che si va delineando in Jugoslavia, dove gl'intransigenti affermano che Re Alessandro mai più avrebbe decampato dalla fissata linea di condotta e gli avversarli obiettano che la morte colse il Sovrano proprio mentre egli si accingeva a compiere un mutamento di rotta. L'interpretazione del pensiero del maresciallo è, del resto, già attuale, in quanto discutendosi gli ultimi ritocchi da apportare alla legge elettorale, alcuni sostengono che il defunto sarebbe stato favorevole a concessioni ed altri negano. Fino ai 12 di maggio, i collaboratori e i discepoli erano i soli a potersi proclamare interpreti delle vedute del Capo, e non correvano il rischio di smentite; oggi, invece, possono discordare in merito al giudizio di quello che il maresciallo avrebbe detto o deciso gli antichi suoi collaboratori e discepoli e gli stessi avversarii, nessuno dei quali mette in dubbio ia grandezza della figura di Pilsudski ed il suo amor di patria. Nobile, rivoluzionario e dittatore Da un socialista rivoluzionario, nato di nobile famiglia quasi impoveritasi, venne fuori, col tempo, un uomo dalla mano forte, militarista e dittatore. Però non di questo ci stupiremo, nè per questo verremo alla conclusione — cara agli avversari — che Pilsudski abbia mancato di coerenza. Biografi considerati ufficiosi hanno stampato, essendo vivo lui, ritenere Pilsudski che i sistemi politici nascano e vivano al pari degli uomini: l'esaurimento della loro potenza creatrice determina la perdita dell'efficienza e la fine. Bisogna allora imporre alla nazione nuove direttive ed escogitare nuove formule, senza transigere con lo spirito dell'epoca e senza accontentarsi di palliativi che non menano a nulla. Il realismo rivelato da tali idee giustifica ed illustra la carriera dell'uomo trasformatosi da socialista rivoluzionario in soldato nemico della demagogia parlamentare e delle sfrenate libertà e che, incitando a modo-suo i rivoluzionari francesi e russi, meditò imprese militari che non sfuggivano a qualche sospetto d'imperialismo. Giuseppe Pilsudski non ha mai servito altri che la sua idea della rinascita e dell'indipendenza dello Stato polacco (che rendeva implicito l'obiettivo della distruzione dell'Impero zarista), viceversa ha saputo sempre servirsi e degli uomini, e dei fenomeni e delle congiunture. Noi accettiamo perciò la tesi che in gioventù egli sia stato socialista solo come rivoluzionario, e perchè aveva visto nelle masse uno strumento per la lotta contro la Russia. Una stessa concezione pratica dell'impiego dei mezzi lo porta, nell'immediata vigilia della guerra mondiale, a preoccuparsi della preparazione militare della gioventù irredenta, e poi 10 induce, scoppiata la guerra, ad assicurarsi la legittimità del titolo in base al quale intende reclamare 11 riconoscimento della libertà della Polonia, guidando i polacchi nella battaglia contro, gli oppressori, sostenuta al fianco di coloro che promettevano la liberazione ; dimostrandosi insincere le promesse, Pilsudski sospende la lotta, ed anziché facilitare ai falsi amici l'acquisto di diritti e la creazione di precedenti, preferisce andare in carcere a Magdeburgo. Il tempo lavorerà per lui. Il rimprovero dell'incoerenza politica, della mancanza d'una chiara linea, il maresciallo non l'ha veramente meritato. La sua fedeltà alla teoria che i sistemi nascano e vivano come gli uomini è assoluta. Diventato dittatore, capo dello Stato di fatto se non di nome (considerandosi semplice ministro della Guerra egli soleva domandare al signor presidente del consiglio se gli permettesse o no la tale cosa), egli è rimasto ossequioso alle leggi dettate dalla realta, oggi alleandosi con la Francia, domani tendendo la mano ai russi, più tardi fissando con la Germania una tregua di due lustri. La sua politica estera di comandante della Polonia restaurata reca l'impronta delle idee da lui manifestate ai legionari durante la guerra mondiale, nel 1916, con le parole: « E' necessario accrescere il valore della Polonia nei confronti di coloro con i quali essa tratta, ed è necessario sempre e dovunque giocare forte, mai basso. Può fare molto solo chi più rischia ». Le tre " molle „ dello Stato Pilsudski partiva dal concetto che la forza senza giustizia sia tirannide e la libertà senza forza vana chiacchiera. Nello Stato, vedeva all'opera tre molle: il Capo, il Governo e il Parlamento. Pero, ragionava, essendo il Capo una sola persona, ed essendo il Governo composto di 12 persone ed il Parlamento di 600, è logico che queste tre molle agiscano ciascuna in modo diverso, così come è logico che in una pubblica via seicento persone o dodici persone non possano andare camminando alla maniera della persona isolata. Dovendo, dunque, il metodo di lavoro esser diverso, al Parlamento tocca dare le sole linee fondamentali, al Governo svolgere un'azione vasta e serrata per temer dietro alla rapida evoluzione della vita moderna, e a] Capo dello Stato riservarsi funzioni superiori, di arbitro che ha il com¬ i ? n n i e n e e i e o o i i , i a o . i i e o o i e n i . , n e a i i o i o i e a e a e e o i a o e . n o a a i d o e a a i a a o i a a o a . e e ' a i o , i e e a l o e n a o a l e a ] i ¬ pito d'intervenire in momenti di crisi, di contrasti fra i sudditi, oppure fra gli stessi rappresentanti del popolo, o tra governanti addirittura. Capo dello Stato, Governo e Parlamento, non li considerava con la mentalità di certi occidentali: del Capo dello Stato la costituzione dà lui voluta ha fatto non un arbitro provvisto della sola arma dello spirito di conciliazione, ma un arbitro potentissimo delle sorti di gabinetti e Parlamenti. Egli diceva che lo Stato ha essenzialmente due funzioni che gli son proprie ed assicurano la sua stessa esistenza, e sarebbero l'esercito e la politica estera: « Queste due funzioni, sentenziava, non possono essere esposte alle fluttuazioni derivanti dalle lotte dei partiti, giacché il sistema condurrebbe 10 Stato alla rovina, facendo degenerare l'una e l'altra ». Ed in tempi di crisi ministeriali, che provocava a suo piacere, non appena gli uomini si fossero consumati o l'avessero deluso, usava rispondere al nuovo presidente del consiglio che gli andava a chiedere se intendesse rimanere nel gabinetto: « Volentieri, ma pongo due condizioni: lei mi promette di non occuparsi dell'esercito e di lasciarmi una certa ingerenza nella politica estera... ». Così assicurava la continuità. Delle tre molle motrici di ogni Stato, Pilsudski stimava meno il Parlamento, la famosa accolta dei 600, capace d'ostacolare la circolazione : con la riforma elettorale adesso ai voti, la Camera dei deputati, o Sejm, egli l'ha ridotta nientemeno di tre quinti, portandola da 444 a soli 200 membri. Ad una delegazione del Sejm disse una volta, senza giri di parole, che i dibattiti dei signori deputati erano stati così noiosi da fare addormentare le mosche sul soffitto, costringendole a interrompere gli amorosi giochi. Con più chiarezza, dopo la marcia su Varsavia, del '26, ammonì i rappresentanti del popolo che se avesse voluto gli sarebbe stato facile mandarli a spasso e non ammetterli nell'aula dell'Assemblea nazionale, ma che ancora voleva vedere se fosse possibile governare la Polonia senza frustino. « Io vi avverto che il Sejm ed il Senato sono istituzioni aborrite dalla nazione. Ritentate: sarete liberi. Avrete libertà di scegliervi il Presidente: l'im garantito e manterrò la parola, però ve ne prevengo: non gl'imponete delle convenzioni di partiti, perchè il candidato alla presidenza deve mantenersi al disopra dei partiti e rappresentare la nazione intera. Sappiate che, in caso contrario, quando la strada s'impadronirà del potere, io non difenderò nè il Sejm, nè il Senato... ». E questa ideologia viene assimilata da Valéry Slawek, l'attuale presidente del Consiglio, che in un discorso pronunciato a Lodz nel giugno del 1929 fa sentire ai partiti dell'opposizione che è meglio rompere le ossa di un deputato, anziché mandare le mitragliatrici nelle vie. Pilsudski ha avuto il grande merito di conservare i suoi collaboratori « giovani » negli anni della loro maturità; e anche maturi, tutti sono sempre rimasti suoi docili soldati. Li ha formati attenendosi al principio che chi impara a nuotare con le zucche non possa diventare ottimo nuotatore: ragionava che la preparazione sarebbe riuscita meglio quando gli uomini si fossero trovati di colpo alle prese con le maggiori difficoltà. Le istruzioni soleva darle per sommi capi, e sovente in forma indiretta, ricorrendo ad aneddoti e a parabole. Stava a sentire il personaggio desideroso di conoscere il suo pensiero, poi gli diceva: « C'era una volta... ». Se il personaggio non aveva capito, insisteva nella tattica: « Le racconterò un'altra storiella; c'era una volta... ». E il personaggio lasciava il Belvedere congetturando sulle conclusioni alle quali le storielle gl'imponevano di giungere. A decisione avvenuta, il maresciallo confermava che la parabola era stata ben compresa, altrimenti ricorreva ad una terza. Un generale chiede P ordine scritto Per le iniziative che prendeva lui, dava gli ordini con una chiarezza assoluta. Nel dicembre del 1918, appena ritornato in Polonia dalla prigionia di Magdeburgo, andò alla ricerca di un presidente del consiglio contro il quale le passioni non si potessero troppo scatenare, e affidando 11 delicato compito a Sliwinski gli fece : « Lei mi deve trovare un presidente del consiglio di età avanzata, che non sia socialista e neppure di destra, e tuttavia bene accetto alle due parti, che capisca qualche cosa di politica e goda di una certa autorità ». Sliwinski definì la missione irrealizzabile, ma Pilsudski gli diede tempo fino a sera. Il primo tentativo fu fatto col vecchio storico professor Smolenski, che parlò con Pilsudski senza conoscere la ragione dell'incontro, enunciando tutti gli errori dei governanti. Interrogato in merito ai rimedii, suggerì la dittatura. «La dittatura? — scattò Pilsudski. — E dove sono gli strumenti? Lei vuole che io faccia la ridicola fine del tale e del tal altro? Ma visto che lei crede di sapere come si debba governare, faremo un'altra cosa: entro domani lei formerà il gabinetto ». Vecchio e ammalato, il povero storico scongiurò di essere esonerato dall'incarico. E allora venne alla ribalta Paderewski, la cui figura andava benissimo per eliminare i conflitti interni e le lotte intorno alla persona del Capo del Governo. Nell'autunno del '20, decisosi ad occupare Vilna, chiamò il generale Zelikowski, suo fido amico e antico legionario, e gli ordinò d'impadronirsi della città, con l'avvertenza che poi sarebbe stato sconfessato. Presidente del Consiglio era a quell'epoca Witos, e Pilsudski era Capo dello Stato, sicché il generale, essendo le istruzioni di Varsavia diverse, pregò Pilsudski di dargli almeno un ordine scritto. Pilsudski gli rispose netto: «M'ero illuso di poter fare di voi un D'Annunzio ; ora mi accorgo che siete semplicemente una bestia da soma ». Ai 9 di ottobre il generale, vinti gli scrupoli, occupò Vilna, e non appena le cancellerie europee, tutte indignate, chiesero conto a Varsavia delfarbitrario atto, Pilsudski recitò la parte dell'uomo sorpreso, biasimò l'iniziativa di Zeligowski e dichiarò che le truppe si sarebbero dovuto ritirare. Invece si diede a guadagnare tempo, ed in Vilna, città polacca, verrà adesso sepolto il suo cuore. Per quanto l'ideologia politico-militare fosse chiara, le decisioni non erano mai repentine: il maresciallo rifletteva a lungo sui passi da intraprendere e, quasi per consultare le carte, si dava a fare un solitario dopo l'altro, oppure si isolava completamente, correndo su e giù per la stanza « come un bufalo ». Però, spiegava, questo è individuale: un altro andrebbe forse al cinematografo. Ripetere con gli avversari che il maresciallo non abbia avuto un'ideologia sarebbe errore. Se mai, egli ne ebbe una incompleta, nel senso che sentì soltanto i problemi di politica estera e militari, rimanendo insensibile a quelli di natura sociale, riassunti dalla formula dell'organizzazione della nazione. Anche, però, è possibile che questo compito egli lo abbia voluto lasciare ad altri. Così egli è morto avendo dato alla Polonia un chiaro programma di politica estera ed un'arma efficientissima per favorirne l'applicazione, e per il resto incaricando gli eredi di elaborare le parti incomplete della sua ideologia. Italo Zingarelli