L'arte della contraffazione

L'arte della contraffazione L'arte della contraffazione Non avrei creduto che vi fossero tante cose curiose, importanti e interessanti da dire su questo argomento, quante ne trovo da appren°Ter5.,nel &rosso volume di Riccardo Nobili The gettile art of faking - La nobile arte della contraffasione (.Londra Seeley Service e C ) *** Il capitano Nobili è un italianissimo italiano, che abita Venezia e compose questo libro, nello spirito dei cronisti di una volta, per commissione di un editore inglese, avido di simili ghiottonerie. Mi dispiace che egli abbia saltato a pie pan il mondo antichissimo. Che bel mannello avrebbe potuto spigolare tra le collezioni dei Faraoni, a proposito di Minosse e dell'arte micenea! Noi non sapremmo letteralmente nulla delle relazioni tra i popoli all'alba dei nostri cinquemila anni di storia, se gli oggetti d'arte non ne facessero presente testimonianza. Il mondo egiziano e il mondo minoico sono intrecciati fra loro da uno scambio continuo di influenze, di cui abbiamo prove reciproche in certi oggetti, trasportati dall'uno all'altro paese, e anche nelle modificazioni dello stile, proprio ad ogni paese, secondo la moda delle impostazioni. Talora, ci si trova di fronte^ anche a vere contraffazioni (digià, sì, ahimè!) a copie ingegnose di oggetti micenei in qualche tomba faraonica, o viceversa. Anche della Grecia, questo libro parla poco. Secondo la teoria dell'autore, gli elleni non possedevano collezioni private, le loro case erano solo cubicoli per il riposo notturno e per il minimo indispensabile di vita intima diurna. Tutta la parte interessante dell'esistenza si svolgeva per la strada, nei ginnasi, le agore, i templi, non esisteva dunque neppure la contraffazione che segue il collezionismo, come l'ombra segue la luce. Se ripensiamo al costume, proprio a certi artisti greci dell'età tarda, di imitare o contraffare forme arcaiche della loro arte, si può dubitare che tali conclusioni siano troppo assolute. D'altronde, le pitture che venivano esposte nella pinacoteca sul Partenone (una specie di esposizione permanente a rotazione continua) non erano tutte di soggetto sacro; dalle modeste dimensioni della saletta arguiamo che si trattasse di quadri abbastanza piccoli. Non è illogico presumere che dovessero dunque andare a finire nelle case dei cittadini. Sappiamo tutti la storia dell'uva che gli uccelli volevano bec care dal quadro ; è una « natura morta » che inevitabilmente sarà finita nella stanza da pranzo di qualche Pericle, per adornare le feste in gran voga al tempo di Socrate. ***. Del « mercato artistico » romano conosciamo invece ogni più minuto particolare, luogo, tempo, ubicazione, modalità, tipi dei frequentatori, dei mercanti, degli artisti e dei collezionisti, i quali ultimi andavano dal sublime al grottesco, dallo snob al genio — Cesare — e al "delinquente, come Verre. I negozi di antiquari a Roma, si aggruppavano nelle Septae, lungo la Via Sacra, dove si trovavano — chi avesse dotte narici da scovarli — i più ricchi tesori del mondo, e anche — chi fosse ignorante da meritarsele — le falsificazioni più ribalde e truffaldine. Pare che gli umoristi, uso la gazzetta Marc'Aurelio e il canzoniere Petrolini dell'epoca, a loro volta scovassero miniere di scherzi e beffe facili e gustose in quegli emporii. Già, ai romani genuinamente romàni, il gusto dell'anticaglia e lo stesso gusto dell'arte non era mai finito di piacere. I primi capitani, i primi conquistatori che avevano importato roba d'arte dalle guerre subivano i fulmini dell'augusto Senato. Quel popolo di agricoltori e soldati trovava inconcepibile che ci si lasciasse attrarre e distrarre da bottini di quadri e statue, roba inutile, quando si poteva saccheggiare oro, grano, bestiame, uomini, donne e viveri! Fu Siila il primo a mettere seriamente di moria le collezioni. Seriamente, e anche tragicamente, che i suoi metodi erano spicci e non troppo scrupolosi. Quel che gli piaceva, prendeva, e così, e peggio, fece sulle sue orme Verre in Sicilia, come tutti i lettori di Cicerone sanno. Cicerone, per conto suo, da buon avvocato accusava di collezionismo effeminato, rubereccio o maniaco i suoi avversari, e dello stesso collezionismo faceva vanto e merito per se stesso e i suoi clienti. Stava in guardia contro le contraffazioni — « odio le statue che portano nomi falsi » scriveva — ma dalle istruzioni che impartiva agli amici, non pare che fosse un collezionista molto illuminato : « mandami tutto quello che può adornare la mia villa » seri ve, come avrebbe potuto fare un profittatore del dopoguerra. Raffinatissimo era invece in qualità di bi bliofilo, e in quell'argomento, dove veramente se ne intendeva, diveniva minuzioso ed esigente, a differenza di molti altri romani, che. compravano i libri a metro e a peso, secondo le testimonianze di Marziale. Strano che egli, spirito elegante e nutrito di coltura greca (le sue lettere sono infarcite di grecismi) non riuscisse ad assimilarsi il senso estetico dei greci! Quadri e statue gli parevano ancora « giocattoli da bambini » ; Roma, se non osava più disprezzare l'arte, ancora ai suoi tempi se ne vendicava disprezzando l'artista che la produceva. Persino sotto Tiberio, i patrizii si scandolezzavano che uno dei loro, Fabio, senza timore di degradarsi firmasse con nome e qualifica i prodotti del suo sordido studio. Ricordiamo come la nobiltà torinese dell'ottocento piangesse sul traviamento di Massimo d'Azeglio pittore; la storia si ripete! Cicerone stesso chiamava i pittori e sddstmt'apsfdbettddttsgmcevCmlaaaledtuuqQnautplzpcspudmbiCstlrintettttsgtfrmtdllescbvscuAmcscsdèc e o o o b e i i e . e . o i o i l e i , i , e i r n — i o o n e a a e. e n i a n o a no ! e scultori quei pazzi di greci ; anche il dar dei matti agli artisti è una tradizione venerabile e tuttavia verdissima. **# Esistevano sin da allora le vendite all'asta come vi furono forse prima, certo dopo, in ogni tempo. Caterina de' Medici, pochi giorni dopo 'a San Bartolomeo, frequentava in persona, col corteo delle dame, l'asta della collezione di Claude Gouffier, duca di Reannes, grande scudiero di Francia, che la tropi» liberalità verso l'arte aveva rovinato, e di cui tutta Parigi elegante disputava le curiosità e « oggetti di virtù ». Tutti ricordiamo le descrizioni delle aste d'arte romane nel Piacere dannunziano. E' curioso che fin dal tempo di Roma antica quelle vendite fossero molto ben frequentate, specialmente dalle dame, con vistosi guadagni dei periti e banditori uo-mini di mondo, goderecci delle facili spese. Figuriamoci che chiassate devono esservi state, che subbuglio, che fervore di curiosità per la vendita di Caligola, il quale, a corto di soldi, mise all'incanto tutto quanto nel palazzo imperiale non gli pareva più all'ultima moda, e non disdegnò di adire egli stesso l'asta per far salire le offerte. Anzi, vedendo un riccone di vecchio pretore addormentarsi tra la folla, gli appioppò il trucco di un aumento di offerte, in tutto per un paio di milioni, ogni volta che quello dondolava il capo nel sonno. Quanti pettegolezzi, ancora, il giorno che Gegania, la gran cortigiana alla moda, essendosi incapricciata di un candelabro di gran pregio, dovette accollarsi nel lotto anche un vituperoso schiavo gobbo, ma finì con l'amare più il gobbo vivo che il bron zo morto, al quale dette valore solo perchè le aveva condotto in casa così singolare amante. *** E' di Cicerone uno stupendo pensiero metafisico sulla scultura, a proposito di una testa di Fauno, che un collezionista vantava splasmata dal capriccio della natura, non per mano dell'uomo. Perchè non avreb be potuto essersi veramente trovata in una cava di marmo vergine a Chio, egli osserva? « Persino lo stesso Prassitele non può fare altro che togliere via il marmo superfluo dal la forma delle teste che giù tutta realmente si trova nascosta dentro il troppo del marmo ». Verità piato nica, che secoli dopo Michelangelo tornerà a scoprire, con il suo genio e il suo scalpello, cercando solo di torre via quel troppo del masso pietroso, entro cui si divincola e palpita il divino respiro delle sue creature. Ma in questo mondo romano vi sono altri artisti, gli scrittori, epigrammisti, commediografi, poeti satirici, i quali nulla sanno di queste folgoranti ideologie pure, e invece ritraggono tipi, macchiette, non immortali, ma eterne, perchè si ripetono eternamente. Ecco la galleria dei fanatici, il collezionista criminale e il collezionista eroico. Verre è l'uno e l'altro; per possedere, ruba e uccide, poi a sua volta si fa assassinare da Marc'Antonio piuttosto che, da vivo, cedergli due vasi di bronzo di Corinto che il Triumviro vuole possedere a tutti i costi nella sua collezione. Un altro fanatico, Nonio si fa proscrivere piuttosto che cedere allo stesso Marc'Antonio una spada di sommo pregio, di cui Antonio s'impossessa solo con quel mezzo. E Plinio, il buon lombardo cauto, il comasco realista e savio, scuote gravemente il capo : che idea curiosa, quanto più giudiziose le bestie, di questi uomini incaponiti a difendere con la vita un oggetto superfluo! Vi è il collezionista snob, « tutto è per lui oggetto di vanità e di vetrina, gli amici come i quadri e le antichità » osserva Marziale. Vi è il collezionista scocciatore, euctus, che vi racconta per filo e per segno la storia di ogni pezzo di argenteria sulla mensa ; Demasippo, l'ignorante secondo Orazio, non tiene in casa un bacile dove almeno almeno non abbia fatto il pediluvio il figlio di Eolo, dio dei venti ; Trimalcione, agli strafalcioni d'arte, di mitologia, di storia, aggiunge l'intollerabile boria delle sue ricchezze : « tutta roba massiccia, tutta roba mia, costa cara e non la vendo a nessun prezzo ! ». Vi sono i collezionisti che ronzano dall'antiquario Milone per via della bella moglie, « la sola cosa che comprino e gli rimanga lo stesso in casa » ; poi gli specialisti che hanno occhi solo per l'argento, o per quel tale tipo di bronzo, magari per una loro manìa di chiodi arrugginiti. Sfilano innanzi a voi il piagnone Eros che geme e si dispera innanzi ogni bella cosa che non può comperare, e Mamurra, il supercritico, il quale gira tutti i negozii, butta all'aria tutti gli scaffali, ogni giorno da mane a sera, trova una seta in ogni gemma e uno sbaglio in ogni statua, spregia Policleto stesso, e dopo aver mercanteggiato milioni si riduce la sera ad aver comperato una terracotta di tre soldi ; vi è il ricco Tongilio, che dall'alto della sua otto cilindri (ma allora erano otto schiavi a portar la portantina) spende e spande a dritta e a manca senza discernimento; suo contrapposto, il genuino entusiasta che si priva del necessario, pur di soddisfare la sua passione. Lo si trovava a Roma, descritto da Petronio, Marziale e Stazio, come esisteva a Parigi nel millenovecento e dieci l'ungherese Nemes, il quale girava le capitali d'Europa e America a comperare opere d'arte di milioni per la sua inestimabile collezione; ma girava in terza classe, tanto gli pareva sprecato ogni soldo che non alimentasse direttamente il suo amore per l'arte. Margherita G. Sarfatti advidapgspf