L'ideale critico

L'ideale critico L'ideale critico (Intervista ideale) — Parlo con Fausto Torrefranca? — Maestro : eccomi senz'altro allo scopo della visita. Ho letto in questi giorni un suo studio d'ante-guerra su Giacomo Puccini — libro genialissimo : e lei aveva poco più di vent'anni ! — per cui debbo dirle tutto il mio entusiasmo. E' uno dei libri più ingiusti ch'io mi conosca... — Mi spiego. Ingiusto: però ammirabile. L'autore fa torto all'equità ; ma non ne fa a se stesso : e questo è l'importante. Se anche la critica, come ormai s'ammette universalmente, è un modo mentale d'essere; se, in altri termini, anche il critico è un artista, principale e forse unico dovere suo è di trovarsi in integrale buona fede con se stesso, e in perfetta regola con l'estetica che presiede al suo modo d'espressione, all'arte dello scrivere. Dovere, e diritto, allora. Poiché, a quei due patti, l'essere ingiusti non è soltanto un potere, ma una necessità. — Capisco la sua impazienza. Ella non si spiega come io mi permetta d'impartirle una-lezione, in cui, appunto con quel suo libro processuale su Puccini, libro cosi sbagliato e così importante, da più che vent'anni ella ha provato d'essermi maestro. Gli è che il docente d'allora, Fausto Torrefranca, è lo stesso Fausto Torrefranca che ha presieduto in varie tornate quel Congresso in tema di critica musicale, dove s'è rifatta la precettistica di tutta la critica in generale, degradandola dalla qualità d'arte libera e ardita, appassionata e appassionante, suggestiva e impegnativa, a quella d'una piccola contabilità automatica e fantomatica, smorta ed inerte, sterile e triste. Da quel Congresso vigilato dalla sua autorità non sono usciti che voti di prudenza e di continenza : le quali senza dubbio sono virtù cristiane — e certo più cristiane che rivoluzionarie — non essendo però tutte le virtù indispensabili, nemmeno secondo la legge di Gesù. Emblema della prudenza e il serpente; emblema della timidezza, la colomba. Ma, essendo la critica un'arte, crede ella che sui blasoni della sua fantasia non abbiano da trovarsi altro che rettili e tortorine? Se l'immaginazione è della partita, perchè non ammettere tra i simboli della sua araldica anche il puledro degli impeti, l'usignolo degli estri, il leone degli ardimenti, magari anche la tigre senza pietà o l'intemperante cicala, che canta sino a scoppiarle il cuore? mtiEuni locoeldaDnedecrprlii tapsovmcotrpcofioagugroseabl'ostaateae doIoilsgzrCm«Bnc— Indovino la sua obbiezione. Arte, sì: concesso; ma, insomma, questa critica non è una stornellata al vento. E ordinata dev'essere, misurata dev'essere : se no chi l'ascolta; se no chi le crede? D'accordo. Ma, sempre riconosciuto nel critico geniale il diritto d'evadere anche da quei termini sacri col privilegio — privilegio irrevocabile, signori congressisti! — della sua personalità prepotente — in quanto il talento e fa fantasia possono andare a scuola dalle allodole, ma non già da Bechmesser — sempre restando accordata allo spirito dell'esegeta eccezionale un'eccezionale indipendenza, che pensare d'un consesso dove, oltre ai comandamenti già sospetti di cautela, di continenza e d'astinenza, si e giunti a invocare la proibizione dei « pezzi di bravura », delle « opinioni soggettive », e persino delle analisi aiutate dalle parole « che si riferiscono alla tecnica e ai concetti di altre arti » ? Che pensare di quei radunati messeri ai quali spiace che dei critici, cui per grazia del Cielo furono concesse la levità e l'ilarità come agli Dei, allievino e aggrazino le pagine loro « dei facili spassi d'una scrittura di maniera umoresca », solo in grado di portare « qualche bizzarro contributo a un genere letterario» non già al pregio ed al fascino della manifestata opinione? Che pensare, finalmente, d'una proposta congressuale, impunita istigazione di reato, varcante i limiti d'ogni decenza sino a formulare, contro i diritti dello spirito, i doveri dell'ignavia, con la raccomandazione che il critico, tradendo se stesso e la propria missione, si rassegni agli errori del volgo, « rinunziando a tanta parte dei propri convinci menti » ? vdgsècegobtCpdWofitsledsldNedaaanc«cDbscpmnfi Quelle bestemmie non le ha pronunziate lei : lo so. Ed ella stupisce, ancora una volta, eh io a lei mi rivolga nel r doppio corruccio di critico in funzione temporanea, di galantuomo in continuità di servizio. Gli è che pure lei presiedeva quella congrega : ed ora che ho letto e ammirato, quel suo studio su Puccini dov'ella s'esprime tanto bene, pur esprimendosi in maniera « umoresca » ; ed è tanto ingiusto, ma nello stesso tempo tanto sincero; tanto impreciso, ma nello stesso tempo tanto impressionante; e pure non convincendo forse nessuno, malgrado ed anzi a causa del non aver rinunziato ad alcuno dei convincimenti suoi propri, riesce a fermare il lettore, a ghermirlo, a incantarlo, obbligandolo a fervidamente comunicare con l'oggetto della sua critica ch'è, insomma, quanto la critica deve proporsi come primo, se non come unico fine — ; ora che ho letto, e gustato, e adorato quel suo libro, di cui tutte le parole mi innamorano benché neppure una mi converta, io ardisco, ecco, ardisco meravigliarmi che Fausto Torrefranca, brandendo il campanello presidenziale, non 1 abbia ad un certo punto tirato sulla testa di qualcuno. ritendpftamSsficsdd— Mi lasci dire. Abbiamo parlato idi precisione obbiettiva. Forse che a — a o i a ne esiste una, determinata a tal segno che i Congressi le possano indicare a modello, esatto e inderogabile, come già si fece del sistema decimale? Quella precisione, nessun critico la conosce. Non la conosce nep- Eure il Tempo, che pure è venerane e galantuomo: tant'è vero che i giudizi in materia d'arte hanno i loro corsi e ricorsi, traverso i secoli, come la luna. Meglio di me, Maestro, ella conosce queste cose. Come ricordargliele, senza sembrarle puerile? Della precisione in materia critica nessuno ha, o può illudersi di possedere il segreto : cominciando da quei critici che più si piccano d'essere prudenti e continenti, mentre, per solito, non sono che i più malsicuri o i più astuti : cioè a dire, i meno ascoltati ; in altre parole, i meno adempienti. E allora, se l'obbiettività assoluta non è che una parola, tanto vale liberare estrosamente, ingenuamente, selvaggiamente il proprio concetto come il core lo « detta dentro », avvalorando almeno la propria pagina di quell'ispirazione, di quella concitazione, di quell'abito, di quella fiamma. Giusta od ingiusta, precisa od imprecisa, il verbo del critico ha allora la sua proba e la sua sola ragion d'essere, ch'è quella di portare un « contributo » alla verità, un raggio al suo prisma, una vampa al suo rogo, uno splendore, avverso o consentaneo, alla sua fede. Ma per ciò al critico non toccano che due obblighi : uno, che ha nome rettitudine ; l'altro, che ha nome ingegno : i quali obblighi, essendo assolti innanzi a se stesso, lo porranno indubbiamente anche dal prossimo suo. In quanto artista, egli sa, e tutti debbono intendere con lui, che in arte si fa all'amore con l'idea, senza sposarla : e che portare in amore troppe prudenze ed astinenze, è snaturarlo, è offenderlo, è farlo patire e morire. Io, badi, sono astemio e non aspiro il fumo : però non respiro mai nè le sigarette decotinizzate nè il vino lungo. Ci sono bevande che, a sterilizzarle, nessuno le tollera più; frutti ripuliti che non sanno più di nulla. Così è della critica : musicale o drammatica, letteraria o politica che sia. « Per credergli — diceva Enrico Becque d'un suo critico, che pure non gli era ostile — bisognerebbe che fosse un po' meno educativo » . , a . o a — à e a a e e i e i i i i e o à o i e l ? o e e li a U— Maestro mio : lo vorrei un po' vedere il critico ideale, secondo desiderata » del vostro ultimo Con gresso ! Per quel po' d'« esibizioni smo di coltura» (la coltura musicale è sì rara, che quando c'è si può anche concederle di mettersi in mostra) egli ripudierebbe in massa tutti i grandi recensori della storia, che più o meno hanno peccato d'una sì nobile vanità; tutti, dico, sino agli attuali di casa nostra, dal Villanis al Cesari. In virtù delle « regole di prudenza », egli si guarderebbe bene dall'assomigliare a un critico come Wagner, stroncatore di Mayerbeer, o a un critico come Pizzetti, carnefice di Leoncavallo. Dovendo mettere in campo « opinioni non troppo soggettive », un oracolo come l'Hanslich gli farebbe addirittura orrore; e dovendo bandire « i facili spassi delle sculture di maniera umoresca», per troppi capitoli d'amena lettura non saprebbe che farsene d'un luminare quale il Vuillermoz. Nè con minore sdegno ripudierebbe egli un Lualdi, o un Levinson: non disdegnando costoro «i riferimenti alla tecnica e ai concetti delle altre arti » ; ma neppure saprebbe rifarsi ad alcun altro modello forestiero o nostrano, per trovarsi soltanto un complice nel proditorio crimine di « rinunziare a tanta parte dei propri convincimenti » : poi che, da Toni a Della Corte e da Torrefranca ad Abbiati, neanche uno per fortuna nostra appare capace di tanto; e men che meno lo erano i loro esemplari predecessori, cominciando da quel miserabile Noseda che, in odio a rinunzie siffatte e a siffatta indegnità, firmava addirittura «Il Misovulgo» ! a ei o ra o ce, olo po on aiti tbica ca on o, — Nè quel critico ideale potrebbe rassegnarsi a prender lume, secondo i voti del Congresso, dai critici d'altre arti : i quali tutti, quando furono egregi, lo furono con tutti i torti denunziati dal Congresso su non lodato. Potrebbe egli forse volgersi, per imparare prudenza e misura, per farsi spassionato e impersonale, per togliere nervi all'impulso o potenza alla parola, al Carducci' delle Polemiche o al Baretti delle Serate; o al Settembrini ; o al Papini ; o allo stesso De Sanctis ; o, per uscire dai confini, a un critico famoso ma scapricciato come Ruskin, a un critico finissimo ma ingiustissimo come Barbey d'Aurevilly, a un critico sommo ma dispotico, onesto ma spietato come Alfred Kerr? E forse potrebbe quel critico ideale imbattersi senza fremere, uscendo dal Congresso, nel libro così iniquo e così bello che su Giacomo Puccini scriveva, avendo diritto di scrivere, il Presidente del Congresso medesimo? — Ella non è obbligata a rispondermi, Maestro. Ma se, come Presidente, ella è stato imparziale, mentre, come critico, era stato parzialissimo, io voglio e debbo dirle che, sull'onor mio, apprezzo il difetto di questo più della perfezione di quello. Mi è lecito? Non so. Ma so di parlare in coscienza. Ella poi, mi giudicherà come vorrà. Tanto, lo farà con intelligenza, se anche lo farà con ingiustizia: e io sarò soddisfatto in ogni caso. Marco Ramperò" fagificnoorchvimniml'aCleLfinma didiPfrgcaccl'spe ticninqtil'vtocrpplemdvdnbsthgcvpfirach