Gli orrori della schiavitù in Abissinia documentati da lady Simon

Gli orrori della schiavitù in Abissinia documentati da lady Simon Gli orrori della schiavitù in Abissinia documentati da lady Simon a e e o e, o Roma, 11 notte. Degli scritti di studiosi e di viaggiatori che, in questi ultimi tempi, hanno illustrato gli orrori della schiavitù sopravvivente in Etiopia, uno dei più notevoli è il libro che nel 1929 lady Simon, moglie dell'attuale ministro degli Affari Esteri britannico, ha pubblicato a Londra, col titolo « Slavery », per la casa editrice Hodder and Stoughton. La signora Kathleen Simon dedica in questo libro il suo più lungo capitolo, da pagina 8 a pagina 40, alla schiavitù nella Etiopia, che ella considera il più terribile e il più angoscioso fra tutti i paesi del mondo. Sir John Simon ha voluto scrivere egli stesso la prefazione al libro della moglie e in essa, dopo aver ricordato lo parole di Lincoln, il quale affermava che una Nazione non poteva essere costituita metà di uomini liberi e metà di schiavi, afferma: « Nel nuovo ordine internazionale la libertà che godono molte comunità, rende intollerabile che vi siano uomini, donne e piccoli bambini di altre razze, i quali sono ancora oggi in schiavitù, n problema moderno della schiavitù non è nazionale, -ma internazionale e la coscienza del mondo che se ne è impadronita non si acqueterà finché esso non sia risolto ». Il libro di lady Simon ha avuto grande risonanza nella stampa britannica. Il Literary Supplement del Times, numero 1450 del 5 dicembre 1929 ha dato particolare rilievo al capitolo sulla schiavitù in Etiopia ed ha scritto: « In Abissinia la religione potegge potentemente l'istituzione della schiavitù, nonostante tutto ciò che essa comporta di orrore nel modo di commerciare gli schiavi e nel modo di procurarseli ». L'inchiesta di Lady Simon E a sua volta il Times del 3 dicembre 1929, rilevando esso pure la particolare gravità delle rivelazioni sulla schiavitù in Etiopia, scrisse: « L'Abissinia è tra i maggiori trasgressori della legge contro la schiavitù. Tanto in Abissinia che in Arabia le sofferenze del trasporto per terra pare siano del tutto simili alle sofferenze degli schiavi che traversavano l'Atlantico nel Secolo XVII. Gli schiavi cadono estenuati di fame per finire la loro spaventosa esistenza negli artigli o nelle fauci degli uccelli da preda e della bestie feroci; oppure, legati al collo l'uno all'altro, sono spinti avanti con la frusta dai loro padroni, i qual' cercano di difendersi da altri razziatori. Questo Stato non può rimanere membro della Società delle Nazioni se non si libera da questa colpa » seclv—gtqrrdqntgndzrtdEiztmreanqlnceli Giornale d'Italia riporta nella a a o e i ' e e sua traduzione integrale le parti più espressive del capitolo di lady Simon che illustra il regime schiavista dell'Etiopia. « Il fatto dell'esistenza della schiavitù in Abissinia sotto qualsiasi forma — scrive lady Simon, — non è più oggetto di contestazione. Può dirsi effettivamente che quasi di mese in mese qualche pietosa aggiunta venga ad arricchire la conoscenza, che si va cosi rapidamente moltiplicando, delle tragedie costituite dal possesso di schiavi in queste contrade cosi dense di straordinario interesse. « La schiavitù è intessuta a tal punto nella trama dell'esistenza stessa degli abissini da provocare la convinzione che l'Abissinia non potrà liberarsi dai ceppi di questa sciagurata istituzione altrimenti che mediante il generoso intervento di Nazioni non sospinte dalla sete di guadagno, bensì mosse dal proposito di costruire lo Stato di Etiopia, anziché da quello di dividere il paese in tante zone di « influenza nazionale » che condurrebbe indubbiamente a complicazioni internazionali. « L'Abissinia è retta da un governo monarchico e da sistemi sociali a carattere feudale, basati sulla schiavitù e sulla servitù. Il suo capo supremo ci appare quale un autocrate le cui azioni non hanno altra limitazione che quella imposta loro dalle esigenze delle circostanze politiche e teologiche. « Quanto alla entità della popolazione, come si riscontra in molti altri campi della vita abissina, può dirsi che essa è materia di congetture. Infatti nessuno è in grado di stabilire se essa ascende a otto, a dieci, oppure a quindici milioni. Ma non è forse inopportuno attenerci sui 10 milioni e sembra pressoché accertato che, calcolando grossa mano, la popolazione schiava supera i due milioni. Una personalità attendibile considera questa cifra assai moderata. La popolazione abissina, cioè di abissini propriamente detti, attualmente non raggiunge i quattro milioni e occupa meno di un terzo del paese. Il resto degli abitanti è un misto di tribù galla e di altre tribù africane ». Dopo aver citato vari terrificanti episodi, lady Simon ricorda che il suldcitmgsdsncfnmhsDptlTstGoverno italiano possiede dati dilfatto riguardanti le condizioni della schiavitù in Abissinia e nei territori circonvicini. E' altresì noto alla Lega delle Nazioni che i consoli italiani si sforzano attivamente per assicurare la libertà a qualsiasi schiavo prigioniero che passa su territorio alle dipendenze del Governo italiano. Durante l'inchiesta promossa dalla Lega delle Nazioni il Governo di Mussolini richiamò l'attenzione di sir Eric Drummond su di una incursione eseguita ai danni di una caro¬ a vana di schiavi, e venuta a cono- l i l scenza degli impiegati italiani. Era una delle tante consimili, che rivelano nei diversi particolari le crudeltà che accompagnano il commercio e le razzie di schiavi. In un rapporto che dal Governo italiano fu inviato a sir Eric Drummond c'è la narrazione di una sciagurata banda di 150 schiavi, sospinti verso un porto lungo la costa da abbrutiti mercanti di schiavi e sorpresa a un tratto da un nucleo nemico, che si avventa sulla misera carovana. Trenta sono i morti e i Un significativo episodio feriti che essa si lascia alle spalle. La lettera del Governo italiano narrava testualmente «Il Governo italiano è stato Informato che alcuni negozianti di schiavi hanno trasportato per mare 150 schiavi, prescegliendo una via indiretta per sfuggire al pagamento della tassa di trenta talleri per ogni schiavo, imposta dal capo della provincia di Aussa. Dietro l'istigazione di Dejach Jaio, capo dell'Aussa, la carovana fu attaccata nel territorio situato fra le Adal e le Issa Somalis, da uomini dell'Aussa. Trenta schiavi caddero morti e feriti. Le donne sono state portate via e consegnate a Dejach Jaio, Questo incidente dimostra la esistenza del commercio degli schiavi malgrado gli ordini rigorosi emanati dal Governo abissino e nonostante i severi castighi che esso impone ». Lady Simon ricorda anche il Libro bianco inglese, che usa l'aggettivo « infernale » per qualificare le condizioni neWinterland abissino e riporta le rivelazioni fornite dal maggiore Darley e dal dottor Djce Sharp. Il primo, quale impiegato del Foreign Office presso una commissione di confine in Abissinia, si trovò ad essere in posizione privilegiata per attingere informazioni. Il dott. Djce Sharp, invece, è un medico militare del Governo inglese, dotato di notevole esperienza. E' fratello del direttore di un autore- ilvole giornale britannico. Entrambi a questi due uomini hanno, voluto che il mondo beneficiasse del frutto delle loro esperienze. Più schiavi che uomini liberi In primo luogo essi fanno osservare che anziché sulla via del miglio» ramento la situazione, nel corso di questi ultimi anni, è andata peggiorando a cagione della morte di Menelik II, avvenuta nel 1913. I due autori dei rapporti ci informano poi che ad Addis Abeba, ossia nella capitale, vi sono più schiavi che uomini liberi. Se la stessa proporzione prevale in tutto il Paese — e vi è motivo di crederlo — il numero degli schiavi in Abissinia ammonterebbe ad un totale di circa 5 milioni e non già a soli due milioni. La scomparsa del freno imposto da Menelik II nel 1913 e le guerre civili che gli tennero dietro lasciarono libero il campo allo scatenarsi di forze non represse e il risultato fu un grande aumento di razzie di schiavi. Il maggiore Darley narra di essere tornato a distanza di dieci anni dall'epoca della sua prima andata colà, in un certo distretto a quei tempi prosperoso e denso di popolazione, dove il suolo era fertile e le colline ridotte a terrazze coltivabili. In questo territorio piombarono gli incursori di schiavi, provocandovi terribili conseguenze. Ecco la descrizione che egli fa del territorio quale gli è apparso attualmente : « Oggi chiunque può camminare per intere giornate in queste località senza imbattersi in anima viva. Le terrazze esistono ancora, ma gli uomini che dovrebbero trovarvisi intenti alla semina e al raccolto sono morti oppure ridotti schiavi alla capitale. Le campagne sono completamente abbandonate in balla dei lupi e delle jene ». La somma di distruzioni dovute agli incursori è pari nella sua intensità a quella operata dalle cavallet* te, ma più crudele. E' noto che le devastazioni dovuta a queste razzie hanno superato la frontiera del Kenia e del Sudan abis«