Un grande pittore : il Crespi di Marziano Bernardi

Un grande pittore : il Crespi Alla mostra del Settecento bolognese Un grande pittore : il Crespi e a o à Bologna, 9 notte. Fosse soltanto per la magnifica esaltazione di Giuseppe Maria Crespi — sessantun quadri scelti tra i più suggestivi, i più rari e meno noti — la mostra del Settecento bolognese che s'inaugura domenica 12 maggio in Palazzo d'Accursio per la ricorrenzfi. del centenario carducciano avrebbe una splendida giustificazione. Per la prima volta infatti sarà possibile studiare ed ammirare in un suo complesso imponente, c non più a spizzico attraverso le collezioni pubbliche e private d'Italia e d'Europa, o sotto particolari aspetti come avvenne alla mostra fiorentina del ritratto italiano, o quale insigne ma limitata rappresentanza di un potentissimo ingegno pittorico come all'esposizione veneziana del Settecento, o a quella di Londra aRlcmNlatsbdcopdpqcpo fra giorni a quella di Parigi, l'opera I ddel così detto Spaglinolo, e l'evoluzio-Isne di quest'opera nei successivi mo- fmenti della lunga vita (16 marzo 1665-'pie luglio 1747) dell'artista. Neppure ajdFirenze, in quella memorabile mostra | fdel 1922 in Palazzo Pitti promossa da Ugo Ojetti, che segnò un ritorno all'esatta valutazione della nostra pittu n—ira nei due secoli barocchi e dove pure;dfiguravano oltre venti Crespi, il mae-itstro bolognese si presontava così estro-1 mso e vario, dall'idillio pastorale degli!Amorini della Raccolta Contini allajtragedia chiaroscurale del Cristo de-[priso della Raccolta Pelliccioli, comejqui oggi nelle sale della severa mole |Tfelsinea. C'erano allora, si, due dei fa-|mosi Sacramenti di Dresda dipinti per!incarico del cardinale Ottoboni; malmancava quella meraviglia coloristica impostata su una quasi totale monocromia argentea ch'ò l'Achille e il centauro Chitone del Museo viennese di storia dell'arte, eseguita per il principe Eugenio di Savoia, e davanti alla quale, appunto a Vienna, vedemmo andare in estasi il critico francese JeanLouis Vaudoyer, buongustaio della pittura italiana post-rinascimentale; mancava, se non erriamo, lo straordinario Autoritratto di Brera, uno dei vertici della ritrattistica settecentesca come di quella quattrocentesca lo è il Condottiero d'Antonello (e l'accostamento, pensando alla definizione dei caratteri, non è casuale); mancava soprattutto quel fastoso Ritratto di suonatore, esempio massimo, forse, della immediatezza rappresentativa del maestro di Giovan Battista Piazzetta, di recente scoperto da Guido Zucchini nella quadreria del marchese Salina. Questa volta, invece, a collaborare alla celebrazione sono state invitate tutte le Gallerie pubbliche, tutte le collezioni private italiane. Bologna, na turalmente, attraverso la Pinacoteca e le raccolte locali (Leoni, Federici, Ferratini, Policardi, Pepoli, Mazzoli, Tinozzi, Paolucci, Zacchia, Verri, Neri, ecc.) ha dato il contributo maggiore; ma dipinti numerosi son venuti da Firenze, Napoli, Roma, Padova, Pesaro, Venezia, Pisa, Milano, Rovigo, Ravenna; e Vienna ha mandato oltre l'Achille anche l'Enea con la Sibilla e Caronte, Parigi la Sacra Famiglia della raccolta Haussmann, New York la deliziosa scena degli Amorini con le iiinfe dormenti della raccolta Kress. L'insieme è tale che, assaporato il godimento della vasta rassegna vien spontanea una domanda: non sarà questa l'occasione eccellente perchè un nostro studioso scriva finalmente il libro che Giuseppe Maria Crespi ancora attende dalla critica moderna ? Una domanda analoga se la poneva già nel 1920 (Dedalo) queir acuto indagatore di problemi estetici ch'è Matteo Marangoni, e la si può rileggere in fondo al capitolo dedicato Arte barocca (Firenze, Vallecchi, 1927): «Non ha il Crespi il diritto a un posto assai più degno nella storia della pittura moderna? ». Non che il Crespi, di solito appena citato nei manuali, manchi d'una bibliografia succosa; ma dal Pallucchini (.L'arte di G. B. Piazzetta, Bologna, 1934, già qui' recensito) al Costantini (La pittura italiana del Seicento, Milano, Ceschina, 1931) si tratta per lo più di accenni, riferimenti, esemplificazioni; e con le belle ma brevi pagine del Marangoni tutto ciò che si può leggere in italiano, di moderno, sul Crespi si riduce alla piccola monografia dì Hermann Voss (Roma, Biblioteca d'arte illustrata), oltre, s'intende, al bolognese in m—l a qualche sparso articolo di rivista. Roberto Longhi, ora all'Ateneo di Bologna, e che sta curando con lo Zucchini e il Fiocco il catalogo di questa mostra della quale parlerà anche nella Nuova Antologia, ci sembrerebbe l'uomo adatto a subire il fascino di così alto argomento. «Un flore nuovo che sbocci ad un tratto fresco e sorridente » dopo la pe-j santezza e la musonerta della pitturai bolognese che lo precede, ha scritto ! del Crespi il Marangoni; e il Voss dal j canto suo ce lo presenta come « una originalissima figura di pittore, nato, ; per così dire, col pennello in mano, | dalla sensibilità nervosa e tutta sua ipropria, dalla fantasia fervida, irre-. quieta, non paga delle forme ormai ■ convenzionali e spesso vuote dell'arte ■ patria ». Girate per le sale di Palazzo j d'Accursio, ripulite, ridecorato, ripri- i stinate nella dignità d'un tempo per il ! felice incontro dell'animosa volontà del j podestà Angelo Mànaresi con l'antico desiderio d'un gruppo di cittadini che fanno capo allo Zucchini e al Lippari-; ni, e di un manipolo di artisti i quali! — come il Negroni, il Nardi, il Costa, I il Lambertini, Dante De Carolis — han dato all'impresa, restauri e mostra, tutta la loro attività intelligente; esa-j1 minate queste quasi cinquecento opere I!che coi disegni ordinati dal Certani, colijfastosi mobili barocchi (vedere la stu- [penda specchiera della marchesa Iso-,jlani) usciti dalle case Isolani, Bonora, j|Taeconi, Montanari, Salina, ecc., con |le statuine presepiali del Mazza pre-;!state dal marchese Zacchia-Rondinini•le con le cere terribilmente veristicheIdel Piò, costituiscono la fervida, eloquente documentazione del Settecento bolognese; e concorderete col giudizio del due critici. Togliete il Crespi a questo vasto panorama pittorico dei Basoli, dei Balzani, dei Bigari, dei Burrini, dei Marchesi, dei Oraziani, dei Martinelli, dei Gionima, dei Gandolfi, dei Dal Sole, dei Gamberini, dei Forabosco, dei Franceschini, dei Cignanl, dei Creti, e avrete un orizzonte alquanto monotono a luci brune e spesso opache, con lampi di biacche, forti ombre, dense profondità nerastre. Ritratti, scene galanti, aneddoti di genere, grandi allegorie, grandi scene bibliche e sacre. In tutti una bella abilità, talvolta un magistero che 11 per lì ecciterebbe all'applauso come dinanzi all'impeto elegante del David e Golia del Forabosco, tradizionale soggetto ch'è qui un pretesto ad un agile ritratto di giovane, piglio fiero, ricca veste settecentesca, tocco piumato da bellimbusto bolognese alla Corte del Cardinale. Ma alla fin fine è ancora l'eredità dei Carracci che grava sull'insie- cato persin dagli inglesi per le imma-1 ginose allegorie, ma qui più da pre-; giarsi forse per le caste figure mono- crome delle Virtù; il Franceschini,, maestro di pittura scenografica, decoratore che spinge la sua influenza fin' me suscitando uno stile monumentale — volutamente monumentale — in cui la grandiosità caraccesca però si spegne in concezioni eclettiche dove il manierismo prende la mano. Cè il brioso Burrini, è vero, e basterebbe lo splendido paese, che pare un anticipo dell'ottocentismo francese del '30, dell'Erminia e il Pastore, e il cromatismo dossiano del manto della donna guerriera, a far di questo pittore un artista tra i più gradevoli; c'è il Creti, fecondo e facondo, già ai suoi tempi ricer- sui Gandolfi; il Gamberini che risente il Crespi nella Questua dei frati, dove una donna col bimbo in braccio è degna del Piazzetta; i Gandolfi, e specialmente Ubaldo pei dodici Ritratti della collezione Isolani, nei quali i toscani ammiratori degli ottocentisti francesi della Galleria Demidoff avrebbero potuto trovare sorprendenti modelli do- po cinquant'anni di gelide accademie neoclassiche; e infine il Gionima, il più forte di tutti dopo il Crespi, discepolo di questo, o che se non fosse morto a trentacinque anni avrebbe forse spinto la sua arte a risultati pari a quelli dei maestro: e no fan fede la Deposizione, la Sepoltura, la Crocifissione, scene drammatiche, contenute, d'una sincevita, prorompente, d'una architettura e' d'un colore che finalmente escono dalle ricette del tempo per individuare la tragedia sacra con potenza di intuizio ne psicologica. Ma a codesto panorama manchereb bo un centro — anche qui nella mo stra —■ senza il Crespi. Egli riassume e annunzia, coordina ed accentra que st'orchestra un po' fiacca. Senza di lui meno si comprenderebbe il Piazzetta giovane, che gli rapisce — disse bene il Pallucchini — quel che v'è di più sano e vitale nella sua pittura: «il risalto e la modellazione ben definita delle masse per mezzo di partiti luministici; l'organica distribuzione dell'ombra e della luce, superamente quindi del ma nierismo tenebroso; e quel gusto della carne fermentante, cosi sicuramente definito dal Fiocco, che il Crespi deri vaya dall'educazione emiliana, fatta sulle opere del prassilelioo Correggio». Anche per questo suo istinto di rial tacciarsi dritto ai veramente grandi finisce ad esser grande il Crespi. Cosi pel Guercino. « Quello che è tanta parte del piacere che ci dà la pittura del Crespi, cioè il gusto e la vivacità delle sue biacche luminose e vibranti e la saporosa ricchezza dei suoi impasti, a me pare diretta derivazione, sviluppata e raffinata, di quelle stesse virtù del primo Guercino, che lo' squisito senso coloristico del Crespi ha saputo con pochi altri — Mattia Preti per esempio — cogliere e sfruttare salvandole dall'indifferenza in cui il pubblico e il Guercino stesso le avevano lasciate cadere. Queste virtù guercinesche che risentono fatalmente ancora di pesantezza secentesca si spogliano e si alleggeriscono nel nostro pittore. E cosi le biacche dorate che riscaldano le tele del Guercino si convertono nei bianchi argentini del Crespi, i grassi e forti impasti delio terre del primo vengono dallo Spagnolo distillati e raffinati in tonalità trasparenti e preziose ». (Marangoni). Ma ciò che al di là dei modi tii dll tecnici e delle assimilazioni e dei suggerimenti prontamente accolti ci rapisce nel Crespi, è l'affermazione possente, talvolta violenta attraverso lo stile, del temperamento originale della personalità costantemente proclamata in quest'acqua un po' ferma della pittura bolognese settecentesca. Dov'egli posa la pennellata, là si confessa, sincero, probo, sdegnoso di popolarità, solitario nell'arte come nella vita. Indulse talvolta alla pittura aneddotica, grassoccia, piacevole alla società pretesca della città pontificia; e la scenetta della Pulce fu anche troppo replicata. Ma dirlo « la più schietta espressione della gioconda vita bolognese del suo tempo » è forse dir troppo. Non è un semplice umorista alla Longhi; non mai un fiammingheggiante scatologico. Un che di drammatico e di serio vive sempre in lui anche nello scherzo: sempre gli giunge la voce di Rembrandt attraverso le ombre profonde, le allucinanti i A sconcertanti luminosità improvvise. Arguzia e vivacità, sì, come nella Famiglia del pittore; ma il gioco ad un tratto s'arresta con un ritorno istintivo alla gravità. L'uomo che dipingeva gli Amorini e la Diana aveva in sè tanta misurata gentilezza da non potersi abbassare alla buffonata giullaresca. E lo sguardo severo e dolce degli autoritratti ce lo presenta come un sentimentale proclive a qualche malinconia. Espressione, anche in questo, compiuta di un secolo che fu malinconico e patetico sotto le rosee grazie delle sue ga lanterie: se spesso gli Imbarchi per citerà sono un modo di eludere la tristezza. Marziano Bernardi Scena famigliare: la pulce» (Museo Civico, Pisa)