Raffaello non aveva giudizio ?

Raffaello non aveva giudizio ? Raffaello non aveva giudizio ? Qualche premessa che sembra màcabra - La città che più diede e meno ebbe Indigestioni di date -- La prima reggia del Rinascimento Un pregiudizio dentario Urbino, maggio. Ognuno di noi porta sempre, dietro la faccia e sotto i capelli o la calvizie, un teschio. Portano il proprio teschio, ovunque vadano, anche le belle signore ossigenate ed eleganti: sotto il lieve cappellino farfallante e gaio. Eppure, molti e molte hanno spavento persino di quei crani che son dipinti sui pali elettrici o stampati sulle bottigliette medicinali: — Che orrore! E' forse uno spavento ereditato dal medioevo più iettatorio, quando il religioso sadismo pittorico si dilettava in ghignanti danze màcabre. Per il moderno antropologo sereno, invece, e per l'esteta di anatomia umana, il cranio è il solido guscio che protegge l'organo nobilissimo: è la conchiglia che racchiude l'intelligenza. Lo scienziato ed artista accarezza con compiacimento la testolina ricciuta del figlioletto o del nipotino, quando riconosca, al tatto, la ben conformata sagoma cranica. Due ossa temporali ben modellate gli rivelano assai più che molte parole. Facciamo perciò assai bene a conservare, come importantissimi cimeli, i teschi dei grandi uomini. Il cranio di Raffaello, qui in Urbino, è più efficace e vivo che la maschera di Napoleone nella Confraternita della Misericordia, all'Elba. Dinanzi a quella maschera bronzea, hai un senso di pena: le palpebre immote, la rigidità algida ti dicono che « Ei fu ». Qui, dinanzi all'armonìa ossea di questo cranio, ti chiedi, con appassionata curiosità: — Che c'era, li dentro? *• # Non c'è mai molta gente, nella stanza natale di Raffaello: la custode, discreta in un silenzio riposante, conduce visitatori isolati. La vòlta è bassa, ad ogive: sulle pareti imbiancate, le incisioni accentuano l'effetto daltonistìco di bianco e nero. La stanza ha l'aspetto monastico: ma di quei monasteri ove nulla è truce, ove l'aria è lie il ilnzio è ce, ove laria è lieve, il silenzio è sereno. Da qualche tempo è stato portato qua su — ed è giusto che qui sia — l'affresco che era giù, nella bottega del padre, Giovanni Sunti. Ed appare sempre più verisimile che, in questo mite profilo di donna, Giovanni raffigurasse sua moglie, Magia Ciarla, e che il dormente puttino sia Raffaello. Così tutta la famiglia Santi o Sanzio è riunita in questa stanza natale del Maestro; il babbo non vi è raffigurato, ma c'è con l'opera sua. Appena undicenne era Raffaello quando suo padre passò, nel 1494, a quell'altra vita ove, da un triennio, lo attendeva la prima moglie, Magia: qui Giovanni ne lasciava un'altra, matrigna e tutrice del ragazzo: Ma soprattutto lasciava al figliolo insegnamenti di arte e di gusto: a undici anni era assai più maturo che i suoi coetanei colui che, in appena 87 anni di vita, doveva ascendere sino al vertice sommo dell'arte. Proprio di ff t questo affresco paterno — dipinto per la Chiesa di Gradara — conservano il ricordo le più belle pitture raffaellesche di Madonna e Bambino. Che Raffaello fosse inviato a Perugia vivente il padre, dev'essere un errore del Vasari: probabilmente il giovane non entrò nello studio del Perugino che sulla fine del 1499. Questa casetta della Contrada del Mante conserva tanto più di Raffaello, quanto più egli ne prese: in misura assai traggiore di quel che egli mai diede alla sua Urbino, ove trascorse — oltre la prima infanzia — il primo decennio dall'età della ragione. I pedagoghi di storia e di storia dell'arte amano impinzare di date gli allievi, sì che costoro, alla fine di ogni corso, sono in stato di indigestione calendaricsca: le date rimangono stipate e inerti, sinché intervenga, lento medicamento, l'oblìo. Più che ima data precisa — anno, mese, giorno — ebbe importanza, nella vita di Raffaello, quel lungo decennio in cui egli, ragazzo dapprima e poi adolescente, discendeva ogni giorno la ripida mattonata Contrada del Monte, verso quella larga piazza che oggi reca il nome standardizzato di Piazza Vittorio Emanuele: v'era già la trecentesca romanica chiesa di San Domenico, con lo stesso quattrocentesco portale di Maso di Bartolomeo e la splendida terracotta invetriata robbiana. Era in costruzione il Duomo, che tre secoli più tardi doveva rovinare per terremoto; ma soprattutto era già eretto, imponente, il Palazzo Ducale che Federico II volle « gloriae et posteritatl auae >. Raffaello Sanzio era nato nel 148S, un anno dopo la morte del gran Federico da Montefeltro, secondo duca d'Urbino. Le date illuminano sol se messe a confronto. La Provvidenza — che la Provvidenza ha la sua intelligente attività anche nel campo demografico — stabili che Raffaello, nascendo, trovasse già nella sua Urbino quell'impronta di bellezza che la cittadina magnifica conserva ancora. Il vero creatore dello Stato Urbinate e della piccola splendidissima corte fu Federico « il quale a' di suoi fu lume della Italia... di modo che possiamo non sanza ragione a molti famosi antiqui aguagliarlo ». E dovrebbe qui leggersi, dopo questo brano di Baldassarre Castiglione (Cortegiano, 1, S), la lunga descrizione del palazzo « il più bello che in tutta Italia si trovi, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva » (ibid.J. E tale appare ancor oggi, rosseg- giunte e fantastico quando il sole, da ponente, ne infiamma i torrioni, o quando, a chlaror di luna piena, diventa argentato castello di fiaba. E' la prima reggia del Rinascimento. In questo scorcio di secolo Cristoforo Colombo scopre l'America per assegnare una data convenzionale alla fine del Medio Evo: llf9i. Ma già mez- zo secolo prima, quando Luciano da Laurana, architetto dalmata, si accinge a costruire il Palazzo nello stil novo del Brunelleschi e dell'Alberti, il Medio Evo è scomparso: qui non si costruiscon più le muraglie truci, non i ponti levatoi dal rimbombo legnoso e dalle catene digrignanti: si slanciano agili i torrioni quasi orientaleggianti, a inquadrare armonie di loggiati, ampi portali. La masso immensa e rossiccia che domina il declivio non sembra sbarrare la vallata, ma sorgere da essa in una maestosa fioritura architettonica. E la vita di Corte si intona, per nobiltà e raffinatezza, alla sede, poi che Guidobaldo I continua le tradizioni paterne. O, piuttosto, le riprende non appetta ritorna a regnare, dopo aver dovuto cedere due volte la città al Valentino: gli è elettissima compagna Elisabetta Gonzaga. E papa Giulio II, dissipata la genìa dei Borgia, venuto alla corte di Urbino, ode qui parlare di un giovane pittore che molto promette: Raffaello, orfano di Giovanni Santi o Sanzio. *** Può esser raro titolo d'orgoglio, per Urbino, l'aver, dato al suo figliolo più che averne ricevuto. Ventunenne, nel 1504, Raffaello viene qui a dipingere per il duca Guidobaldo due pannelli: San Giorgie e San Michele. Entrambi sono al Louvre. Due anni più tardi ritorna e dipinge un altro San Giorgio: e Guidobaldo invia il quadro in dono a Enrico VII: ambasciatore è messer Baldassarre Castiglione, amico di Raffaello. Al Louvre c'è anche un raffaellesco ritratto del Castiglione: ma fu eseguito in Roma, ove l'amicizia tra i due divenne più salda. Sì che quando il trentasettenne grande Urbinate morì, Castiglione scriveva alla propria madre: « Io sono sano, ma non mi pare di essere a Roma, perchè non vi è più il mio Raffaello. Che Iddio abbia quell'anima benedetta ». Ogni decente visitatore di Roma sa che i resti di Raf che i resti di Raffaello sono nel Pantheon, dietro i' famoso distico del Bembo: questo cranio, a Urbino, non è II vero: è un calco in gesso: lo avverte onestamente la scritta.: «Exemplar calvariae Raphael Sanctli ». Le visitatrici impressionabili possono perciò con tranquillità e senza bjwido nelle vertebre firmare il registro, volgendo il dorso al finto cranio di Raffaello.E' finto, ma è fedelissimo calco, con le ampie arcate sopracigliari rivelatrici di larghe vedute, l'occipite prominente e rotondo in curva armonica esterna come armonioso fu l'Interno, l'angolo facciale tipico di buona razza nostra. Sotto la campana vitrea, U raffaellesco cranio sembra anche irridere a un pregiudizio dentario. A trentasett'anni non aveva che uno solo di quei denti che il mondo concordemente chiama «del giudizio» o persino « della saggezza ».Questa mandibola sembra fatta dalla Natura per scandalizzare gli idolatri della tradizionale regolarità. I denti sono gli accessori più animaleschi del nostro cranio: quelli anteriori — che gli scienziati chiamano voracemente « incisivi » — hanno l'attenuante di decorare candidamente il sorriso. Ma i « moZar» » sono i meno nobili: e quelli « del giudizio » i più oscuri e bestiali. Non c'è da stupirsi che il grande Maestro ne abbia lasciato spuntare uno solo, e il più tardi possibile. Toddi.