Il gen. Baldissera fondatore della Colonia Eritrea nella vibrante rievocazione di S.E. il gen. Zoppi

Il gen. Baldissera fondatore della Colonia Eritrea nella vibrante rievocazione di S.E. il gen. Zoppi JVeI Salone de "Ima Stampa 99 Il gen. Baldissera fondatore della Colonia Eritrea nella vibrante rievocazione di S.E. il gen. Zoppi Nel pomeriggio di ieri ha avuto luogo nel Salone de « La Stampa > l'annunziata conferenza di S. E. il Sen. Ottavio Zoppi, Ispettore Generale dell'Armata di Fanteria, sul fondatore militare della Colonia Eritrea. Il salone era gremito di autorità, notabilità, ufficiali e di un pubblico assolutamente distinto. C'erano: S. E. il Prefetto Giovava; il Podestà ing. Sartirana; il dr. Meda, Segretario amministrativo in rappresentanza del Segretario Federale; S. E. Manno, Primo Presidente della Corte d'Appello; S. E. Ago, generale designato d'Armata; S. E. il gen. Grossi, comandante del Corpo d'Armata territoriale di Torino; il generale di Divisione Rossi; il gen. Scala, comandante la Scuola di Guerra; il gen. Bellini, comandnnte la Scuola di Applicazione Artiglieria e Genio; il generale Cantù, ispettore I Zona RR. CC; il gen. Vecchiarelli, comandante la I Brigata alpini; il gen. Manca, comandante dell'Artiglieria del Corpo d'Armata; il gen. Lussiana, comandante del Genio; il gen. Pasquali, ispettore di mobilitazione; il gen. Rovero, presidente del Tribunale Militare; l'avvocato militare comm. Guasco; il gen. Mazzucco, comandante il presidio aeronautico; i generali di Divisione Zucchi, Andreani, Faracovi, Gallina, Casavecchia, Fasolia, i ^-onerali di Brigata Asinari di Bernezzo, Giordano, Pugnani, Villa, Dallosta, Pasciuti, il gen. Marietti, il generale Vandella che fu con Baldissera; il generale Figari; il Console generale Stevani. comandante del Primo Gruppo Legioni Dicat; il col. Romcro, capo di Stato Maggiore del Corpo d'Armata; il maggiore Di Lorenzo, capo di Stato Maggiore della Divisione, il col. Angelozzi, addetto all'Ufficio ispettivo del Genio: il col. Favagrossa, Comandante della R. Accademia di Artiglieria e Genio; il col. Pinna Caboni, Comandante della Scuola d'Applicazione; il col. Ferrari, Comandante la Legione dei RR. CC; il col. Pescatori, Comandante il 90.o Reggiménto Fanteria; il col. Gucci. Comandante il 91.0 Regg. Fanteria; il col. Maccario, Comandante il 92.o Regg. Fanteria; il col. Miani, Comandante il IV Bersaglieri; il ccl. Cremascoli, Comandante il III Regg. Alpini; il col. Massone, comandante il Nizza Cavalleria; il col. Mussino, Comandante il I Regg. Artiglieria Alpina; il col. Fantozzini, comandante il I Regg. Artiglieria dell'Annata; il col. TJbertis, comandante del Centro automobilistico: il col. Barbacini, Capo dell'Ufficio fortificazioni; il col. Jocce, Comandante il Regg. Ferrovieri; il col. Daru, Comandante il Distretto; il col. Dugone, Direttore di artiglieria del Corpo d'Armata: il col. Pollina, della R. Guardia di Finanza; il col. Barberis del Commissariato; il ten. col. Fiorino dell'Ospedale Militare; i colonnelli Cozzolino, Gautier, Imoda, Caruso, Palmieri, l'Ammiraglio Di Sambuy, e poi accademici, senatori, deputati, fiduciari di gruppi rionali e moltissime altre autorità civili e militari. All'ingresse- di S. E. Zoppi nel Salone, ufficiali e pubblico scattano in piedi. Poi l'illustre Generale comincia a parlare, e prima di entrare In argomento cita un fatto non molto noto. Un battaglione di bersaglieri richiesto a Cavour Sin dai 1859, e cioè nel periodo più acuto e intenso dell'attività piemontese per il compimento dell'unità d'Italia, lo- stesso Ministro Cavour teneva corrispondenza diretta, o a mezzo del cav. Cristoforo Negri Direttore Gene*rale al Ministero degli Esteri di Roma, con Monsignor Massaia - Vicario apostolico in Abissinia e principe di missionari, per cercare dì intavolare relazioni tra il Piemonte e l'Abissinia a scopi commerciali e politici col pre ciao fine di fondare colà una Colonia! L'Italiano Rizzo residente all'Asinara informava nello stesso anno il conte di Cavour che il Ras dell'Hamasen (di cui è centro Asmara) era pronto a cedere al Piemonte il possesso di ricche e fertili regioni se il Piemonte gli avesse inviato un battaglione di bersaglieri onde, con l'aiuto di questo, sbaragliare l'armata dell'imperatore Teodoro! • > Con la futura apertura del canale di Suez, soggiungeva il Rizzo, come già aveva argomentato il Negri, la colonia piemontese avrebbe acquistato senz'altro notevole sviluppo e importanza. Dimissionario dopo Villaf ranca il Cavour, gli successe u Dabormida il quale sospese al riguardo le pratiche che furono però riprese nel '61. a Regno d'Italia costituito, e che ebbero sanzione nel '72 con una visita ufficiale a Re Vittorio Emanuele II in Roma di un ambasciatore straordinario di Me nelick allora non ancora imperatore ma deciso a combattere l'Imperatore in carica per succedergli. Il Generale accenna quindi alla giovinezza del Baldissera. Figlio di un cancelliere friulano, il giovinetto Antonio fu avviato agli studi da un sacerdote, poi ammesso alla Imperiale Accademia di Viener-Neustald, donde usci sottotenente nel '57. A 21 anni era capitano fier merito di guerra. Annesso il Veneo al Regno d'Italia, e sciolto cosi dal giuramento di fedeltà all'Imperatore, il Baldissera entrò in un reggimento di fanteria dell'Esercito italiano, accoltovi con freddezza tanto che per ben due volte dovette impugnare la spada per imporre una maggiore discrezione ai più riottosi. Trovò ben'presto anche colleghi e superiori che seppero onestamente stimarlo. Primo Nino Bixio, il quale quando comandava la Divisione di Chieti pose a proteggere il giovane capitano Baldissera intuendone il valore e carattere. ■ L'opera costruttiva Ed eccolo in Africa, dopo Dogali, con la spedizione di San Marzano, in qualità di colonnello brigadiere comandante la Brigata speciale che costituiva il corpo scelto della spedizione, ed eccolo a costruire genialmente, sulla piccola cellula creata dal col. Saletta, quel corpo di ascari che tutte le Nazioni dovevano invidiarci. I primi quattro battaglioni si raddoppiarono ben presto sino a quintuplicarsi durante la guerra libica. Dovunque impiegati gli ascari hanno dimostrato di possedere sempre quelle doti che il Baldissera aveva in loro sviluppate, e lo attestano la medaglia d'oro al valor militare concessa al R. Corpo Truppe Coloniali, e le venti ricompense varie assegnate ai vari battaglioni. Prese contatti con i Capi e i loro messi che a lui spontaneamente venivano o che chiamava a sè ; fece iniziare le opportune trattative per stringere patti particolari, compose litigi, distribuì terre, e attuò gravi pene per le razzie: ergendosi così in breve, stimato e temuto, sul fitto intreccio di interessi che andava man mano creando. Per tal modo dall'Oculè-Kusai al Barca, dal Bega all'Hamassien, sorse tosto una rete di influenze il cui centro trovavasi tra le due dighe della vecchia Massaua e che faceva sentire la propria azione anche verso il Sudan. La fama del grande Capo ve reo tosto i confini dei nostri possedimenti spingendosi lontana. Egli era fra i pochissimi italiani che avessero allora nozione delle ricchezze • delle risorse delle varie regioni etio- piche; aveva di buon'ora compresa la convenienza di attivare fra quelle stesse regioni e l'Eritrea contatti economici da svilupparsi gradatamente in condizioni di privilegio: vasti altipiani suscettibili di intense e molteplici colture, miniere di metallo prezioso: oro, argento, platino, ricchezze tutte che una popolazione per opera nostra elevata a condizioni di vita più civile avrebbe potuto valorizzare e moltiplicare con vantaggio proprio e nostro. E così, il Baldissera, spirito acuto e positivo faceva una politica mirante alle cose concrete, e non ai fantasmi, riuscendo in breve tempo ai grandi effetti che tutti conoscono, e che furono assai più vasti di elianto la occupazic- ne dell'altipiano e i nomi di Asmara e di Cheren, potessero letteralmente significare. . Durante il suo,. governò/. Massaua cambiò aspetto. Nuove dighe, nuovi fabbricati, nuove strade e l'acquedotto, sorsero in breve a migliorarla ed abbellirla secondo vuole la tradizione nostra usa a veder le legioni guerriere trasformarsi dopo la conquista in legioni di agricoltori e di costruttori e a veder sorgere pur sulle sabbie del deserto gli indelebili e monumentali segni della pace romana. Geniali e chiare norme dettarono le basi del diritto locale in ogni campo, e una netta distinzione venne stabilita fra amministrazione civile è quella militare, evitando ogni dannosa interferenza e qualsiasi tentativo di reciproco assorbimento. Chi fa, falla, e sarebbe adulazione affermare che tutto quanto fu fatto sotto il suo governo fosse perfetto; ma le basi erano solide, razionali, adatte ai luoghi e agli scopi e idonee a ulteriori sviluppi. La politica di Antonelli Ma mentre tutto ciò avveniva, Roma subiva sempre più l'influenza dell'Antonelli. Del conte Antonelli,' uomo di coltura e appassionato dei problemi africanche erasi facilmente imposto a Romadove quella coltura e quella passione gravemente difettavano, e che aveva acquistato non poche benemerenze nei primi passi della nostra attività coloniale, presto diventato, dalla sua base di Aden, l'arbitro della nostra politica etiopica. Egli che aveva trascorso molti anni in Abissinia per studi e con missioni ufficiali, che aveva avuto parte preminente nelle compilazioni di patti di commercio e di amicizia fra l'Italia e lo Scioa, che aveva grande conoscenza di questa regione (scrive nel 1880: «Senza tante storie affermo, per conto mioche lo Scioa è un paradiso terrestrebuon clima, abbondanza di tutto, abitanti pacifici ») che aveva fiducia in Menelik (scrive nel 1885: « Da parte del re Menelik possiamo sempre contare in una azione a nostro favore»), l'Antonelli, dico, era convinto che — sono sue parole — « Qualora Re dei re sarà un sovrano del sud, avrà sempre molto da fare per tenere a sè soggetti gli irrequieti tigrini; perciò avrà sempre bisogno del nostro appoggio morale e della nostra amicizia. Vedrà quindcon piacere stabilirsi fortemente gli italiani sull'altipiano tigrino il che manterrà costante la nostra influenza su tutta l'Etiopia; mentre se fosse Re dere uno del Tigre, anche cedendo ogga noi una parte di quel territorio, il giorno che si sentisse forte e sovrano assoluto di un impero, vorrà ricuperare quei paesi ceduti in un momento di generale disastro ». Come questa concessione fosse errata, e come fosse invece nel giusto igenerale Baldissera il quale era profondamente convinto che la nostra politica non dovesse mirare a sostituire all'autorità problematica dell'esistente Negus neghesti Giovanni quella resa assai più effettiva, mercè ì nostraiuti, di un qualsivoglia altro capo etiope — vuoi del nord, vuoi del sud — ma dovesse al contrario mirare ad imporre la nostra influenza sull'intera Abissinia attuando ed adattando alle contingenza il romano «divide et impera », lo dovevano dimostrare gli avvenimenti successivi durante i quali Re Menelik una volta assunto all'impero si comportò verso di noi nè più né meno di come si sarebbe comportato, a detta dell'Antonelli, un capo del Tigre, cioè avversandoci in ogni modo e con ogni mala fede, e mandando anzitutto per aria quel famoso trattato di Uccisili che l'Antonelli aveva ritenuto fosse suggello definitivo dell'opera propria e garanzia perpetua di pace e, anzi, del protettorato italiano sull'Impero. Adua A un certo momento la situazione creata dall'Antonelli apparve al Baldissera insopportabile e veramente dannosa alla Patria; ed egli, che era la competenza più felice, chiese il rimpatrio. A questo punto S. E. Zoppi delinea in rapida sintesi le conseguenze della politica antonelliana che ci portò ad Adua, dove rifulse il valore italiano — e lo attestano le perdite in ragione del 71 per cento della Brigata Arimondi e del 53 per cento delle altre Brigate e cosi continua: Sono passati da allora molti anni, abbiamo fortemente e gloriosamente superato gravi vicende politiche e militari, ma la rievocazione di quei giorni lontani, nei quali l'insuccesso tattico fu poca cosa in confronto di quanto avvenne al suo annuncio in Italia, sarebbe ancor oggi tale da farci arrossire, se non potessimo associarvi il nome e l'opera dell'uomo che oggi qui noi ricordiamo. In quell'ora egli apparve e fu veramente, il maggiore degli italiani. Sbarcato a Massaua tre giorni dopo Adua, nel momento in cui il destino e la Patria gli affidavano una dura e vasta responsabilità, mentre tutti vociavano, egli fu il solo a tacere; mentre tutti recriminavano (ed era l'unico che ne avrebbe avuto il diritto) egli fu il solo sereno; mentre i più guardavano con inspiegabile ma effettivo timore alle sorti della nostra Colonia, egli fu il solo sicuro. E il suo silenzio e la sua serenità e la sua sicurezza imposero e infusero sull'istante tra i soldati e per tutta la Colonia: costituendo cosi di fronte .agli etiopi imbaldanziti una compatta forza morale che, palesavasi con la famosa marcia su Adigrat da lui liberata e con la dimostrazione su Adua, e, infine, con la contemporanea vittoriosa azione contro i dervisci, valse tosto a risollevare ai loro occhi il nostro prestigio fieramente affermandolo in modo duraturo, e a dare da ogni lato sicurezza alla intera Colonia. Da Adigrat, impose a Ras Mangascià e a Ras Alula la restituzione, dei prigionieri. Tale brillante complesso di condotta strategica e politica se contribuì a dare solidità alla nòstra Colonia costituì anche una grande lezione per il Paese perchè dimostrò che l'animo del soldato era invitto e insegnò come deve comportarsi un popolo allorché inattese vicende intervengono a turbarne la quotidiana serenità. E se il Baldissera, dopo aver riacceso quasi col suo solo apparire (tanto era il suo prestigio!) la fede della Colonia, non incoraggiò il Governo di Roma ad una pronta rivincita, ciò derivò dal fatto che egli, mentre aveva la più grande fiducia nel soldato, non ne aveva alcuna nel Paese. Bisogna infatti tenere presente che la sua coltura, il suo ingegno e il. suo carattere gli consentivano dì giudicare le situazioni nel loro quadro di insieme senza lasciarsi illudere mai da fuochi di paglia o da ventate rettoriche. L'avvento auspicato S. E. Zoppi, con la competenza che gli proviene dalla sua alta Autorità, parla poi dell'opera di Baldissera in patria per la preparazione tecnica e spirituale dell'Esercito, e dopo aver delineato con tocchi chiari e palpitanti la nobile figura del grande Soldato che non fu mai ingeneroso, ma sempre forte sdegnoso .dei nemici, fiero e saggio, dotato di una bellezza morale che fu la sua grande risorsa nelle ore dolorose, l'oratore che ha incatenato per un'ora l'attenzione dell'eletto uditorio, così conclude: « Ecco le tappe, eccellenze, signore e signori, della nobile vita di Antonio Baldissera, e noi suoi devoti, sentiamo, rievocandola, che la sua esistenza fu invero una grande fatica. Fatica nobilmente e virilmente vissuta nel tragico contrasto tra la sua grandezza intellettuale e spirituale e la mediocrità dei tempi. Oggi l'Italia rievoca — perchè i tempi ci incitano a farlo — quanto questo suo soldato ha compiuto per essa ma, al di sopra dei risultati della sua opera ben nota, narrata nelle relazioni ufficiali, al dì sopra del giudizio degli storici, è viva, in coloro che gli furono gregari e discepoli — tra i quali i Generali De Bono e Baistrocchi — la certezza che egli fu veramente il Seminatore di molte virtù, di molte idee e di quello spirito d'azione, che la.grande guerra, cui egli assistette impotente e morendo, richiese all'ufficiale italiano. Più di una volta, nelle lunghe vicende del duro conflitto, noi ci rivolgemmo idealmente a lui per rievocare un ricordo che ci fosse incitamento e legge, per rievocare fatti, gesti e parole di Luì, che conservavano tutta la loro aurea e ammonitrice freschezza; e che dovevano alimentare la nostra fede e la nostra, opera: sé noi che fummo i suoi soldati lo abbiamo collocato a fianco dei capi che ci condussero alla vittoria, i giovani di oggi che conoscono appena il suo nome, perchè entrarono nella vita allorché la sua notorietà e la sua fama già sì andavano, per l'avvento di vicende nuove, spegnendo, i giovani, dico, questo nome non debbono scordarlo più. L'esploratore francese De Lauribar scrisse nel 1896 di Lui che egli era come un cannocchiale che quando è puntato verso l'avvenire vede a distanza di almeno 50 anni. Ebbene, noi sappiamo ora — anche senza dirlo apertamente — che quanto Antonio Baldissera aveva veduto 40 anni or sono sta oggi maturando per virtù del Regime del quale egli, disprezzando quello dei suoi tempi, aveva da allora invocato l'avvento, pur senza conoscerne il fatidico nome. La fine della superba rievocazione, detta con fierezza tutta militare, ha provocato una entusiastica e fervida ovazione, degno omaggio alla memoria del grande Capitano e alla maschia passione con là quale S. E. Zoppi ne aveva illuminato la grande figura. Con S. E. Zoppi si sono poi vivamente congratulate tutte le autorità presenti. rsdnsLazcd II Generale Zoppi parla