Parole delle statue

Parole delle statue Parole delle statue Le statue di piazza sono mute: questo si può dare per sicuro. Esse non ci parlano mai, è provato, neppure nei sogni. Meno certo è che siano taciturne le statue di giardino. Così ostinatamente, cocciutamente silenziose restano in qualsiasi circostanza le statue di piazza, che si pensa siano anche sorde. Tanti discorsi si fanno in loro onore, il giorno dell'inaugurazione; e loro zitte! Forse, è dispetto. Forse bisognerebbe che, per onorarle davvero, non vane parole noi rivolgessimo loro, ma taciti sguardi in reverenza. Fu così, per essere guardata soltanto, che talvolta^ qualche Vergine miracolosa si degnò di rispondere dal marmo o dall'alabastro del simulacro all'adorante verginella. Ma i Re, i sapienti, i condottieri, una volta fermati nella pietra, non danno più udienze. Essi guardano il cielo. Essi additano le stelle. E' tutto. Per chi dunque sguainano la spada? Per chi spiegano il cartiglio dei loro dettati o delle loro gesta? Sordi e muti, essi sdegnano i nostri saluti acclamanti. — Parla, dunque! — gridò Michelangelo al suo Profeta, fatto nel bronzo d'una sì splendida vita, che però il silenzio rendeva arcana e nemica. E nell'impeto d'ira, gli battè col martello in fronte. L'altro non rispose. Gli antichi facevano cieche le statue: forse per giustificare quel silenzio terribile con una terribile jattura. Chi non ci vede, non ama parlare che a se stesso. Luoghi, ininterrotti soliloqui dei busti secolari, delle venerabili erme nella notte! Non s'immagina senza fremere la tristezza — una tristezza costretta all'immobilità — dei pensieri che devono, da millenni, passare nelle vuote orbite di sasso. Assai probabile, invece, è che conversino tra loro, se non proprio coi passanti, le statue dei giardini. Fra gli alberi esse debbono trovarsi a loro agio. Può essere che nella buona terra, come le piante, mettano radici. Certo è che nei viali dei parchi esse diventano, anche alla vista nostra, accoglienti ed espressive. Se non udiamo le loro sillabe, comprendiamo però benissimo che ne potrebbero pronunziare. Il loro sguardo è umano, la loro bocca è parlante. Le stesse erme venerande sembrano mettere un lume nel cieco viso, scaldandosi al sole delle allee. Ride questa Pomona dell'orto, mentre uno stornello becca nel musco tra i frutti di tufo ch'ella reca in seno; e si direbbe che quella Musa di terracotta, laggiù nel boschetto intorno alla fontana, senta il brivido delle foglie svolatele sulle spalle ignude. « Qxuxl mistero dal gesto d'una grande — statua solitaria in un giardino — silenzioso al vespero si spande!*. Ma non sono gesti soltanto. Rousseau giovinetto sentì nel giardino della donna sua protettrice le statue discorrere. Il poeta Rodolfo, a zonzo pei Campi Elisi in una sera di Maggio, ne sorprese due che si chiamavano col psssl psss! degli innamorati. Vano consiglio, dunque, quello che ci venne da un filosofo, di parlare alle donne scolpite per avvezzarsi, tornando poi fra le vive, a non essere corrisposte ! Quello sconsolato educatore non sapeva intendere le femmine, ma neanche le statue : o, quanto meno, alle statue non sapeva dar retta a quelle ore e in quei luoghi primaverili, in cui esse pure hanno qualche cosa da dire ; in cui tutti abbiamo da dire qualche cosa, anche se possediamo un cuore di pietra. Certo è che vivono, nei quieti e cari giardini di vecchia data, le statue accomunate agli alberi e agli arbusti. I rovi, le ortiche, le male erbe che si aggrappano ai loro zoccoli, le graminacee che serpeggiando su dal suolo e giù dai tronchi le assaltano e le stringono, talvolta, sino a deformarle, i licheni che le imporriscono, le lebbre che le sconciano, si direbbe siano per loro tanti fomiti d'energia e di letizia, anziché d'avvilimento e di mina. L'umidità crepa il viso delle Veneri di marmo; uligini giallastre e rossastre impongono alle Grazie alabastrine i più goffi mascheroni sulle gote, le più orrende piaghe nel petto : ed esse ci sorridono e ci invitano, più fervide e floride e proclivi che mai. Nessuna ingiuria se " venga dalla terra danno che sia di linfe, d'umori comuni alle amiche piante. E qui esse vivono e comunicano qui, dove il giardiniere^ non allontana dal loro sacro volto nè l'edera che lo sfigura nè la chiocciola che lo sporca; non già nella strada cittadina, dove pure solennemente le tutela tutto un consesso di Conservatori dei Monumenti ! Qui nel caro, vecchio giardino, esse tutte sopportano: dal superfluo delle tortorelle agli scherzi della clorofilla, che va pitturandole qua e là come dei tony; dai funghi inseriti burlescamente nei piedi o nei coturni, alle parassitarie da cui si lasciano afferrare e soffocare, le buone statue, come nonnine immobilizzate dalla frotta affettuosa dei nipoti ! Così è l'amore della terra. Così fatto è ogni amore, quaggiù, che solo a patto d'opprimerci, d'offenderci o d'imbrattarci non poco, potrà darci tanto bene. Ricordo, del giardinetto ove crebbe la mia infanzia, un Amorino dal naso rotto in capo a una serra di giacinti; e come Cupido paresse fiutare anche più allegramente, j dall'appendice camusa, l'odore ch'era nell'aria: un odore giovine, tentante, novello e monello come lui! E in mezzo a un fosso che dava acqua ai cetrioli c'era un'Ondina d'argilla, sfiancata ormai dalla corrente : e più gli anni passavano, più mi pareva ch'ella dovesse rompere da un momento all'altro o in un tuffo o in un grido, tanto di giorno in giorno ella pcscprilpzdfvdpcapncgbdcvcptcMtdnemtslaigmtgmldtrpssbdcstplgLrsscHmvgsDzdneeltmtgrtbpdbdiventava più umana, ella apparivi! più verosimile e vera. Anche un Bacco di terra creta era nell'orto, fra un sestetto di salirelli chiusi a mezzo il corpo nell'erma : e nella pancia del povero dio, corrosa dal tempo, c'era un formicaio; ma la faccia era ilare, ilare più che mai : e pareva proprio godere di quel solletico senza posa che gli dovevano dare, andando e venendo per l'ombelico, le formiche fameliche ; e come guardavo la statua, ridevo anch'io, parendomi che i satirclli mi facessero eco : pronti, costoro, a saltar fuori col pie caprino dallo zoccolo, come da un astuccio fastidioso. Ma quella a cui più m'incantavo era un'Ebe giovinetta .scolpita in una pietra tenera che il tempo, o un fulmine, aveva segnato d'un orrido spacco dalle labbra insino al petto. Un vero morso di fiera nella gola adolescente! Ora, ciò che mi commoveva, era che dalle vene ferite ella paresse palpitare; e che le api del giardino veramente si posassero, mistero senza fine meditato, sull'insanabile strazio della bocca! Ebe, certo, respirava, parlava. Ma come avrei io ardito, nella mia timidezza bambina, di rivolgerle il discorso? Solo una volta osai : ed era notte. Non vedendo ; non veduto. Ed era notte di vento. — Ebe ! — chiamai, fattomi presso alla statua, tut torà calda di sole vespertino, o, for se, della sua intima vita. Ma una fo lata si levò, fremente, furibonda : nè io saprò mai se una risposta mi sia giunta; o se perduta si sia, chissà mai come, chissà mai quale, nel vento e nelle tenebre. Vivono e parlano, le statue dei giardini, avendo messo radici. Le muffe e i muschi di cui si vestono le patine del tempo, i riverberi frondosi degli alberi attigui, sono fra tanti segni d'esistenza che le diffe renziano dalle inerti statue delle piazze; e, in più, c'è quel misterióso spiriitis che s'effonde dalla loro pre senza anche malcerta, anche invisi bile, quando le avvicinate al calare della notte. L'ombra le avverte anche più della luce. Le sentite con voi su voi, coi loro gesti tutti giusti e tutti armoniosi di protezione e di pace. Sentite, come nei riti medievali, l'imposizione delle loro mani di granito. La clorofilla vive in loro. La crepa della pietra, è ruga o sorriso. Si direbbe che l'anima dello scultore, chiusa in loro da forse un secolo e più, finalmente erompa in comunione con l'anima della terra. Ha messo cent'anni per fiorire, come il dattero. Ora respira. Ora conversa. Non c'è, fra le tante statue dei giardini d'Italia, una sola che non sia accogliente come una persona. Dico, una vera persona umana, ziente, clemente, che tutto comprendendo tutto perdoni. Tutte ci amano, allora, e ci favellano: le driadi e i satiri, non meno dei santi e degli eroi. Date dunque uno sguardo ai loro basamenti. Non recano, guardate che iscrizioni d'amore: date me morande, cifre d'appuntamenti, cuo ri trafitti, nomi incrociati. Non ne troverete una sulle scolture di città. Solo qui, nei parchi, dove Rousseau giovinetto o il poeta della Bohème risentirebbero le ninfe di travertino tentarsi col pss f>ss furtivo nelle notti di passione, le statue sono pronube, essendo amiche. Nei giardini pubblici della mia città, non lungi da due generali garibaldini la cui sciabola sguainata non spaventa più neanche uno scricciolo, c'è un Abate Rosmini, pur tanto reverendo nel bronzo della sua veste talare, al cui zoccolo alabastrino si dà convegno l'intero esercito della mobilitazione primaverile degli amanti. Passano le rondini. Saltano i merli. E i passeri ridono, torno torno, di quegli scritti giuramenti ; e di quei cuori trafitti che pure somigliano a tanti uccellini sullo spiedo. Sul basamento della statua gli amanti leggono l'ora del convegno; e, felici s'incamminano laggiù, verso le acacie e i tigli; laggiù, verso l'ombra tutelatrice a cui lo stesso Abate, indulgentissimo, fa segno. Ed ecco la notte. Notte di luna. Notte d'Aprile. Ora tutte le statue sono deste. Se fosse qui la mia Ebe adolescente, forse ardirei, questa notte, d'appoggiarle l'orecchio al cuore; e sono certo — oh, spavento! — che lo udrei battere insieme col mio, anche se il mio soltanto avesse da battere per tutti e due. Marco Raraperti

Persone citate: Abate, Bacco, Cupido, Profeta, Rosmini, Rousseau

Luoghi citati: Italia