Dal miracolo delle vittorie rideste di Leptis ai cangianti misteri di Garian e di Nalut di Alfio Russo

Dal miracolo delle vittorie rideste di Leptis ai cangianti misteri di Garian e di Nalut VISIONI nEImImA LIBIA. t Dal miracolo delle vittorie rideste di Leptis ai cangianti misteri di Garian e di Nalut l o e o r e a , o l : n i i e a . o e a o, a o, o e a o n e n ao iil a n a ea, rsi n ve a tio li nin oir è to o, to ero il di ei alo, tir la po uo diaana. lo, un masio? de la (Dal nostro Inviato speciale) TRIPOLI, marzo. Alle porte di Tripoli sono state scritte patjine immortali. O marinai o bersaglieri e {unii e granatieri, sotto le palme in fiore era accovacciata la morte cim la uran falce aperta, e il vostro nome non lo sappiamo più. Ma ora nella febbre e nell'incantesimo della rievocazione siete risorti in questa Leptis imperiale insieme ai legionari romani. Le mutile Vittorie si son levate con ali nuove e nuovi impeti, le colonne si son risollevate, le terme risplendono di marmi e di bellezze ignude, la città rumorosa trionfa tra splendori d'ori, di spade, di corazze, torme di uomini seguon con inni e canti la quadriga dell'imperatore. Leptis romana e imperiale la voglio vedere così, con spirito di soldato per voi soldati d'Italia eredi dei legionari conquistatori, la voglio vedere senza fragili ricostruzioni di stucco, senza guida di dotti studiosi, sentirla con il cuore ascoltando la voce della storia meditando sognando. O Leptis spenta nel fulgore della giovinezza. Io vidi il mistero della sua prima risurrezione. Si stavano allora rizzando le colonne ripulendo le basi saldando le fondamenta: gli scavatori lavorano furiosamente di zappa e di badile e perfino i prigionieri libici addetti ai lavori pareva avessero perso la loro primitività dinanzi al miracolo della città ridesta. Riapparivano dopo secoli di morte alla luce del sole i bei marmi con le nitide ombre degli ovuli e degli acanti. L'arco quadrifronte s'ornava degli altorilievi alcuni spezzati altri intatti altri in frammenti; i ventri lisci delle Vittorie pareva sussultassero sotto la carezza del vento, i petti delle vergini vittoriose parevano colorarsi di sangue. 0 Apollo delfico 0 Venere impudica con il bel seno e il lucente grembo difeso dalla sabbia. Quante emozioni in quei giorni nei quali gli dei si risvegliavano dal secolare sonno, nei quali il mito di Roma risplendeva nei palazzi e nelle vìe. S'udiva il passo dei legionari, il rumore della folla al circo, l'urlo delle belve, il canto delle vestali. La vita di Roma insorgeva qui sul mare nostro dove approdavano le triremi piene di mercanzie. Ora il miracolo di quel primo giorno sì rinnova. Son belle le Vittorie, belli i palazzi, le vie brulicano di gente, il porto si popola di navi con 1 legionari armati di spade e di vanga, altre nuvi giungono con marmi prezio si dai quali sorgeranno per miracolo di arte Veneri stupende e Apolli giovanili e ardenti e Giovi dalla lunga barba inanellata e vergini guerriere. 0 Leptis città d'imperio e di giovinezza vissuta tanto quanto la tua giovinezza. La sua vita dorata si spense con Ut morte di Settimio Severo, le popolazioni emigrarono, il porto s'insabbiò, la città cominciò a rinserrarsi nel cerchio delle sue mura, languivano i commerci, le mercanzie delle navi ormai piccole erano povere, cominciava l'agonia della città, i palazzi si svotavano, i colonnati erano divelti, la terra diventava polvere il verde della campagna smoriva nel giallo e i venti preparavano alla città la sua gran bara di sabbia. Cominciò l'assedio feroce implacabile. La città era ormai senza voce, le terme senza acqua, i calidari senza fiamma, le piscine asciutte non accoglievano più la lucente nudità degli atleti. Il pungolo del vento scalfiva le mura lentamente e silenziosamente:, apriva le prime brecce attraverso le quali si rovesciavano torrenti di sabbia. Il lento morire della città cominciava, gli uomini fuggivano dinanzi all'assalto spietato contro il quale non c'era difesa, una via dopo l'altra un palazzo dopo l'altro sparivano sotto il velame greve, poi tutta la città moriva soffocata. Soltanto i fastigi del grand'arco quadrifronte affioravano su quel tragico mare, ultimo segno di volontà e d'imperio. Gli dei erano caduti con i volti contro la subbia, le Vittorie avevano ormai le ali infrante. La morte aveva vinto la città giovanile. Civiltà e barbarie L'incantesimo di Leptis durava anco ra nel mio spirito pur sulla via dove il lavoro nuovo pone sotto gli sguardi del viaggiatore quadri di vita vivaci e operosi. La bella stradtt da Tripoli a Garian si scioglie dove fu la steppa, e ora sono campi rigogliosi. Il Gebel fantastico castello di pietra e di terra innalzato sulla grande piana dal genio immaginoso della natura sembra da lontano inaccessibile. I suoi colori sono il verde e l'azzurro cangianti a ogni ora del giorno; la sera il paesaggio pare brullo e ispido e s'annerisce, la mattina impallidisce del pallore degli ulivi. In cima al lungo nastro tortuoso evSlgssc della via ecco Garian dalla vita fiorente. A Garian la civiltà appare giovanile e irruente, tuttavia in antri profondi vivono uomini ribelli al sole e all'aria. Strano contrasto di questa terra dove la civiltà non riesce ancora a superare il limite delle caverne dinanzi alle quali s'arresta come presa dal mistero della vita antica. Discendo nella caverna guidato -dall'ospite. Buio e silenzio. La miseria e la povertà si mostrano nude spaventevoli; le pareti sono intonacate sommariamente di mota, nessuna ricerca di abbellimenti, nessun principio di gusto istintivo. Par di entrare nel paese dei brutti sogni, e tutto è realtà, la realtà dell'umanità antica dolorante piena di male e senza luce. Quest'uomini sono morti in vita, queste donne piene di timore e di terrore sono come piccole belve dagli sguardi febbrili imploranti. Compiuto il rito dello sposalizio sono rinserrate dentro la tana. Trascorrono così la luna di miele e n'escono spente e barcollanti come fantasmi dal sepolcro. Rade foglie fan da letto e solo la stuoia sacra è triste ornamento di tanta desolata miseria. Tigrinna, paese ingenuo Tigrinna. Quando è sorto questo paesino dalle case candide come le cose ingenue, qui tra il regno dell'ulivo ? « O straniero, cantava il poeta, in questa terra nascono alberi non piantati da mano mortale e si innalzano senza coltura e dinanzi ai quali si arrestano perfino le lance del nemico. In nessuna parte essi crescono vigorosi come in questa contrada. Essi sono gli ulivi dal¬ e i a o a n ¬ le pallide foglie... Solenni per vecchiezza, dal fogliame d'argento smorto, quest'alberi millenari hanno visto dominatori possenti e miserabili predatori; sono pieni di storia e pare confermino con la loro presenza le parole degli studio si: «Nell'Africa romana le ragioni del la rovina furono negli uomini non nella j natura». Quando l'uomo 6 ritornato laìnatura non gli è stata matrigna. Tutte\queste opere, le case candide e i cam- i pi verdi, sono i documenti vivi, i pie- sugi sicuri dello sviluppo e della po- tema avvenire. Questa di Tigrinna è impresa sopra ogni altra notevole: vi\sono state trasportate numerose fami- glie di contadini italiani alle quali so- ; no state assegnate case nuovissime e. comode insieme alla terra per la colti- vazione del tabucco e degli orti. Dopo '.trent'annì i coloni saranno i padroni e/-1fettivi della casa e del campo ridilo- vando qui in questa terra romana e italiana il tempo di Roma patria di\soldati conquistatori e agricoltori. ... . , , II tragiCO tramonto tìl IMalllt La Gefara apriva il suo scenario eguale e lugubre senza respiro. Folate di vento freddo facevano fremere i ce- spugli d'erba nerastra e ruvida bruca- ta da magri cammelli duri aspri scoi-piti. D'improvviso dopo la lunga tra- versata apparve Nalut. Immaginate]venti o quaranta case raccolte a cir- colo sul calvo pianoro e fughe di mura corrose smozzicate cadenti, le case dei berberi. Cadeva su quella improvvisa apparizione il tramonto. La successione dei colori era fulminea e prodigiosa. Il celeste annegava nel viola il rosso sommergeva il viola, rosso ardente squillante tragico, e incendiava il paesaggio, le rade verdi palme della piccola oasi nascosta nella fenditura della montagna smorivano in quella fiamma, la valle s'oscurava nella nuvola purpurea. La notte le stelle parevano accecate da quell'incendio infernale, brillavano appena ma infine si ravvivavano al fiato del vento. Il paesaggio nuovamente cangiava, diventava infinitamente quieto e la serenità era rotta soltanto dagli squilli delle trombe dei soldati. Gioia e serenità della lunga giornata di Nalut, bizzarra ingenuità degli uomini e delle cose. Il grande castello guerriero consunto dal tempo è come il forziere della popolazione. Ognuno vi rinchiude le sue provviste, l'olio, l'orzo, il grano, i termini essenziali della vita di questa gente, e i guardiani sono preoccupati non dei furti degli uomini ma delle scorrerie dei topi. Di Nalut tra le tante cose liete, degli incontri, delle accoglienze, dei colloqui cordiali, mi rimarrà soprattutto scolpita la visita alla scuola. Vi trovai cinquanta ragazzetti berberi. La aula era linda e ordinata, quadri alle pareti, il Re, la Regina, il Duce, Balbo, la carta geografica, la lavagna. I ragazzi erano vestiti come tutti i giorni; nessuna cerimonia al mio ingresso, soltanto il saluto romano eseguito con spontaneità. In questa scuola, in questo maestro di Nalut io vedevo, come poi li vidi, tutte le scuole e tutti i maestri di Libia. Mestiere difficile quello dei maestri in questa terra, ma j essi aderiscono in pieno realismo alle aìnecessità e allo spirito di queste popòe\lazioni le quali d'altra parte dimostra i no di apprezzare le cure a esse rivolte seguendo con vivace intelligenza e con sicuro profìtto i corsi d'insegnaè mento. Le benemerenze della nostra i\scuola in Libia sono note fino dal tem- po antico. Assai prima dell'occupa- ; zione la scuola italiana costituì da e. sola la voce dell'Italia lontana. Coi re- vano tristi anni allora e nessuno, tio '. moroso com'era, voleva guardare ol-1 tre il mare. La prima scuola italiana, - in Tripoli la volle Crispi. Da allora sui e quella linea e con quello spirito ì maei\stri italiani danno l'opera loro, il loro] [sacrifizio e il loro paziente amore. Na-\ turalmente, e così dev'essere, l'inse- \gnamento si orienta verso obbiettivi] o dl"erllitdai nos,M> deve agire cioè su' e I elementi umani essenziali ai quali do- vr(l dare soprattutto l'intelligenza: - j "-elle cose. -' Quei ragazzetti ai quali rivolsi al- cJ"\e domande parevan tutti presi ; e]4?^feì?Ie Riconoscere l'Italia; e, - a i a a. o Roma, Milano, Torino e le città e le terre più vicine. Iti Sicilia, Palermo, Catania, Siracusa erano il centro della loro immaginazione. « Mi porti con te a Roma? Io volere venire, volere conoscere ». Alfio Russo AsstdttJs_npèmr LA BASILICA SETTI MIAN A. INTERNO DEL CASTELLO BERBERO DI NALUT: IL FOF.ZIERE

Persone citate: Apolli, Balbo, Crispi, Duce, Settimio Severo