Le battaglie dell'autunno del' 16 nella narrazione ufficiale austriaca

Le battaglie dell'autunno del' 16 nella narrazione ufficiale austriaca Le battaglie dell'autunno del' 16 nella narrazione ufficiale austriaca „ VIENNA, marzo, [è E Pronto il quinto volume della dMoria_ dell ultima.. Guerra dell'Au- sostria-Ungheria, edita dal Ministero della Difesa Nazionale e dall'Archivio di Guerra; l'opera è ormai a buon punto. Dei fascicoli distribuiti in questi giorni, interessante è soprattutto la descrizione degli avvenimenti che portarono alla presa di Bucarest ed all'invasione quasi totale della Rumenia, mentre l'attività sul fronte italiano si riduce a tre battaglie sull'Isonzo, dai tecnici austriaci giudicate, per quanto sanguinosissime, non ricche di conse- fò'f?ze- 21 di "ovembre ^'ìfr1916 mori Francesco Giuseppe; dire rsoGimpdpqrsA1fadsche la scomparsa di un uomo di 87 anni abbia influito in modo decisivo sulle sorti dell'Impero sarebbe forse azzardato; ma il fatto è che siccome il successore non fu all'altezza del compito un'influenza indiretta la morte del vegliardo pur finì con l'averla. srladsdvpdL'occupazione di Bucarest La sconfitta degli eserciti rumeni j %determinarono forze austro.unga-!^la determinarono forze austro-unga-1 riche assistite da truppe tedesche, lrturche e bulgare. I rumeni si bat-itrlevano quasi da soli; l'aiuto russo, scarso e lento, non servì a gran cosa, e il francese, di natura scientifica cl'ce morale, consistè nei consigli dati «da una missione militare. Per effet- pto della perdita di Bucarest, Corte lye Governo furono costretti ad attendere a Jassy la fine del conflitto mondiale, Le condizioni dell'esercito rume- tagtno, premuto dall'armata danubiana t4 _ - _ - . , ilal comando di Mackensen, diventa' rono criticissime nei primi giorni di dicembre, in seguito alla duplice sconfitta subita dal generale Presan sul fiume Argesu. Varcato l'Argesu, ai 5 di dicembre l'invasore si portò a contatto delle posizioni rumene. La mattina di quel giorno Mackensen, ritenendo per molti indizii che •Bucarest non sarebbe stata difesa, mandò un capitano del suo Stato Maggiore dal comandante della fortezza, per invitarlo ad arrendersi senza lotta; questo parlamentare fu accompagnato ad un comando che si trovava ad est di Bucarest e lì gli venne detto che Bucarest era una cittàindifesa. La cosa rispondeva a realtà, in quanto per formare i reparti di artiglieria pesante, i cannoni erano stati tolti dai forti ancora prima che il Reame avesse dichiarato la guerra; convintosi della necessità di abbandonare la capitale al nemico, il comando rumeno voleva soltanto guadagnare tempo. Nella notte dal 5 al 6 di dicembre, le avanguardie tedesche raggiunsero i sobborghi di Bucarest e verso mezzogiorno fecero il loro ingresso nella capitale i grossi reparti ; nel frattempo turchi e bulgari avanzavano dal sud. Lo scrittore austriaco considera la presa di Bucarest e di Ploesti il completamento della disfatta sull'Argesu; dopo Bruxelles, Belgrado e Cettigne, Bucarest era la quarta capitale di un piccolo Stato nemico occupata dalle truppe delle Potenze centrali. Sia a Bucarest che a Ploesti fu fatto gran bottino e questo facilitò ai vincitori il proseguimento della campagna. Enormi le perdite rumene: l'armata Falkenhayn fece da sola 60.000 prigionieri e raccolse 85 cannoni e 115 mitragliatrici. Mentre cadevano Bucarest e Ploesti, si arrendevano a Cilieni 26 ufficiali e 1600 uomini; verso sera, continuando i battaglioni austroungarici l'avanzata in direzione nord, si arresero altri 10 battaglioni, uno squadrone e 6 batterie. Le ragioni di una sconfitta Lo storico (compilatore del capitolo è il noto colonnello Kiszling) nel solito commento finale va alla ricerca delle cause che determinarono la catastrofe degli eserciti di Re Ferdinando. In linea di massima egli si astiene dallo svalutare l'avversario, anzi dice che la stessa battaglia sull'Argesu rispondeva ad un'ardita concezione; ma l'ammassamento del gruppo di manovra richiese troppo tempo, e scatenato l'attacco si vide che le truppe non potevano sfoggiare l'impeto necessario per sbaragliare fulmineamente l'armata danubiana. « A provocare la catastrofe, prosegue il Kiszling, contribuì ancora una circostanza non irrilevante. Il comando rumeno, fidando nella brevità della campagna, aveva inqua-idrato nelle formazioni campali tutti *gli uomini istruiti, senza prendere I «misure ner colmare i vuoti. Allor-1 Hnvsuc«pdppcnmtficm'ttcnldsBdtdaQprgccrsItlalascgecsdmtsgvddldsonqrtsnmmisure per colmare i vuoti. Allor che, essendo le perdite diventate notevoli, i depositi all'interno non furono più in grado di mandare riserve, per formare delle unità adoperabili in combattimento si fusero prima i reggimenti entro le divisioni, e quindi divisioni intere. Ne derivò una mescolanza di reparti assai nociva al valore intrinseco delle truppe. Ad esempio, la 17a divisione di fanteria era composta dei resti di 26 reggimenti; nelle altre divisioni combinate le cose non si presentavano meglio. Al termine di una campagna di quattro mesi e mezzo, di 23 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria non rimanevano al fronte che 6 divisioni e mezzo di fanteria, con effettivi di 90.000 uomini. Centocinque mila uomini furono mandati in Moldavia per essere riorganizzati. La differenza con i 505 mila uomini contati al principio della guerra dev'essere aggiunta al conto delle perdite, da parte rumena indicate in 17.000 morti, 56.000 feriti, 147.000 prigionieri e 90.000 dispersi. Inoltre i rumeni perderono 359 cannoni, 356 mitragliatrici e 293.000 fucili ». L'autunno sull'Isonzo Afferma il Kiszling che col suo insuccesso militare la Rumenia cagionò agli Alleati un'amara delusione. Gli aiuti russi giunsero ai rumeni lentamente, anche perchè le ferrovie della Moldavia non permettevano trasporti in massa, e d'altro canto i russi in Rumenia si batte rono senza molto slancio: « Com battevano, conclude lo scrittore, Der llssncnaucvtCnuna causa straniera. Lo stesso loro comando era in primo luogo preoc cupato di proteggere il fianco meridionale russo ». Autore del capitolo riguardante il fi-onte italiano nell'autunno del '16 è il maggiore della riserva Heyden dorff. Dopo !a 6.a battaglia dell' sonzo. che aveva fruttato a Cadorr fra iri5edrìlli agostó"gli arriva' rono 38 batterIe, Nello stesso tempo I- sonzo, che aveva fruttato a Cadorna Gorizia e altri notevoli guadagni, gli imperiali profittarono della lunga pausa fio scrittore austriaco la giudica in verità troppo lunga e dal punto di vista tecnico disapprova questa tattica dell'avversario) per riorganizzare efficacemente la difesa; infatti alla fine di agosto la 5.a Armata disponeva di nuovo di 148.000 fucili. Boroevic si rinvigorì facendo accorrere truppe dal Tirolo, dalla Galizia, dall'Albania, e accrescendo la potenza dell'artiglieria si provvedeva a sostituire il materiale e si realizzavano progressi nella formazione di abbondanti scorte di munizioni. Gl'italiani però conservarono la loro superiorità in fatto di lanciamine, arma alla quale avevano dedicato sin dalla fine del '15 particolare studio. « La nuova arma dei bombardieri, unita all'artiglieria %ÌZÌT™«n I^JH ^?ile.P^cuancfa ^fS?^ f r:"|j„°L„ , trov?amo descritta, nellepagine sue cessive, un po' dappertutto; dove l'artiglieria e i lanciamine italiani concentravano il loro fuoco, la zona « r P. nuvole di fumo e di polvere, le comunicazioni telefoniche yemvano distrutte e le truppe nelle trincee di prima linea rimanevano abbandonate a! loro destino. I progressi tecnici degl'italiani, nell autunno del '16, risultavano evidenti in tutti 1 campi; il colonnello del Genio , ilnn Utinanh wi nnHnln A ri 1 I aiti onrln i, * Francesco Giuseppe e all'avvento I « trono del giovane Carlo, il Glaise1 Horstenau .ripete che il vecchio Monarca entro in guerra senza farsi il von Brosch, mandato dal Comando supremo sul fronte dell'Isonzo per un esame diretto della situazione, compilò un rapporto in cui diceva: « L'avversario, inesperto al principio della guerra, oggi si avvantaggia di moltissime esperienze pratiche, in parte compiute personalmente e in parte segnalategli dal fronte francese, esperienze le quali, unite alla notevole superiorità dei suoi lanciamine e della sua artiglieria, lo mettono in grado di battere in modo efficacissimo anche posizioni ottime e costruite in maniera da oppore la maggiore resistenza ». Le perdite delle due parti Le tre battaglie dell'autunno del '16 furono, abbiamo detto, violentissime; il maggior generale Pitreich, in un manoscritto del quale i compilatori dell'opera austriaca hanno potuto prendere visione, definisce la giornata dell'll di ottobre tremenda, e delle più memorabili vissute sull'Isonzo. E in quel mese l'armata Boroevic perde 32.000 uomini. Ai 31 di ottobre si scatenò poi la 9.a battaglia dell'Isonzo, durata fino al 4 di novembre, ed in essa furono asprissime le lotte per il Fajti-Hrib. Quella volta gl'italiani adoperarono per il tiro di sbarramento contro le retrovie austro-ungariche granate a gas, che pur non essendo potenti come poi diventarono nei mesi successivi, inflissero alle truppe di Boroevic, non ancora provviste di maschere contro i gas, perdite sensibili. Il sacrificio di uomini fu quasi identico per le due parti — i caduti italiani ammontarono a 28.100, gli austriaci a 28.000 — ma particolarmente gravi risultarono per gli austriaci le perdite di materiale, essendosi gl'italiani impadroniti di 23 cannoni, 9 lanciamine e 42 mitragliatrici; nel corso della battaglia erano inoltre diventati inservibili 66 cannoni e 8 mitragliatrici. Boroevic si vide così privato di circa un terzo delle sue bocche da fuoco Il maggiore Heydendorff, nel commento finale alle operazioni, riporta ciò che Cadorna, a pagina 20 del secondo volume del suo libro Lo guerra, ha scritto sulle tre offensive dell'autunno del '16, dichiarando di non volersi indugiare sui motivi da Cadorna addotti per spiegare l'arresto di azioni che i comandanti di alcuni Corpi volevano invece assolutamente sviluppare; però egli osserva che gli attacchi italiani venivano regolarmente sospesi proprio quando all'avversario mancavano le riserve fresche. Benissimo preparate, eseguite dalle truppe con eroi-j smo, quelle grandi azioni italiane non ebbero felice esito che per tal motivo. La morte di Francesco Giuseppe Nelle pagine dedicate alla morte LPmve e i e 5 a o o e o r lusioni, soltanto convinto della fatalità della rovina dell'Impero nel caso che egli avesse tardato ancora a sguainare la spada. Dice quindi che nella prima fase della guerra Francesco Giuseppe quasi non venne tenuto al corrente di quanto al fronte avveniva; più tardi fu disposto per un rapporto telegrafico giornaliero, completato due volte al mese coll'invio di carte che illustravano la situazione. Propositi e decisioni del Comando Supremo venivano comunicati a Sua Maestà a voce, o dall'arciduca Federico o da Conrad. Sarebbe tuttavia sbagliato, secondo il Glaise-Horstenau, ritenere che l'Imperatore, guardandosi dell'influire sulla condotta della guerra, rinunciasse alle proprie opinioni ed esitasse ad esprimerle; più volte, ricevendo Conrad, egli manifestò dei dubbi in merito a certi piani del Comando Supremo e lo stesso faceva conversando col cano del suo Gabinetto militare, generale Bolfras. Fra l'altro egli si oppose all'offensiva nel Trentino della primavera del '16 (la famosa Sirafe-Expedition) offensiva che, racconta il Glaise-Horstenau, aveva disapprovato, nelle sue lettere al Bolfras, pure il comandante della fronte dell'Isonzo, generale Boroevic. Ma Conrad non tollerava ingerenze. Ai 18 di agosto del 1916, compiendo Francesco Giuseppe 86 anni, il comandante supremo gli telegrafò a nome delle truppe di terra e di mare; Francesco Giuseppe rispose con un telegramma che conteneva una o frase impregnata di così profondo l 6 abbattimento, che il Comando Supremo, per pubblicare il telegramma, domando che la frase venisse tolta. li Feace