Zeffiri d'Arcadia

Zeffiri d'Arcadia ROMA NEL MEDIOEVO Zeffiri d'Arcadia Rappresentante tipico della cultu-1 pra di.questi primi secoli medievali|rresterà quel Venanzio Fortunato na-j tativo di Ccneda, la futura patria di Lorenzo Da l'onte, che fece carriera alla corte d'Austrasia e dovette il meglio della propria fama di poeta non tanto all'aver composto inni enIrati per sempre nel rituale cattolico, come il Pange lingua e il Vexilla regis, quanto all'essersi fatta una specialità di certi suoi laboriosi poemetti di circostanza congegnati a guisa di acrostici, con architetture geometriche di iniziali che mandavano in sollucchero ecclesiastici e retori di Francia e d'Italia e che ebbero probabilmente la loro parte nell'amicizia di cui lo onorò Santa Radegonda, la moglie divorziata di Clotario. Trascritti in bei caratteri di diverso colore, quei giochi di pazienza, frutto degli ozi eruditi dell'industre veneto finito vescovo di Poitiers, erano una ghiottoneria che gli intenditori si disputavano. Lo stesso Fortunato ne spediva di tanto in tanto agli amici, accompagnandoli con lettere esplicative del tenore di quella notissima a Siagrio vescovo di Autun : « Vi mando il mio poemetto, che forma un quadrato e comprende trentatre versi di trentatre lettere, in ricordo degli anni di N. S. quando resuscitò per nostra salvazione, e presenta cinque acrostici, due ai capi dei versi, due sulle diagonali ed uno al centro, da leggersi dall'alto in basso. Nell'ombelico del componimento ho collocata la lettera mediana delle ventiquattro dell'alfabeto, preceduta da tante al* tre quante sono quelle che la seguono... ». Cessata ogni partecipazione di laici alle opere dell'intelletto, questa tendenza accademica della cultura non tralascerà di dominare l'Europa del tempo, giungendo, con Giuseppe Scoto, con Teodulfo, con Bernovino vescovo, con Adelmo, con Alcuino, sino agli anni migliori dell'evo carolingio. Adelmo, nel VIP secolo, inizierà un suo poema De Virginità te con un esametro le cui lettere t'ormano le iniziali e le finali dei primi trenta versi del proernio. Rernovino, in pieno secolo IX°, menerà vanto di un inno dove l'invocazione Deus miserare torna quattro volte verticalmente attraverso dodici esametri. Giuseppe Scoto dedicherà allo stesso Carlo Magno un carme nel mezzo del quale l'augusto lettore potrà decifrare, in bel vermiglio, l'augurio : Là E G E FELJCITER A R L • E Epoca di ferro e di sangue ma soprattutto di meravigliosi contra sti, il Medioevo assume presto nel campo della cultura una fisonomia tra mistica e curialesca, fatta di arzigogoli, di sottigliezze e di arguzie che lasciano presentire le sottigliez ze superiori della scolastica e i ca pricci marmorei delle cattedrali. Con gli albori della fortuna carolingia nella febbre della creazione di un grande Impero, il culto degli studi seri e delle vaste meditazioni poli tiche sembra un istante risorgere, intorno alla corte franca, mentre un risorgimento parallelo si delinea in Italia alla corte longobarda. Ma la pressione dell'intellettualismo clericale non tarda a riprendere il sopravvento e, lungi dal battere in ritirala davanti alle preoccupazioni civili dell'epoca, vedremo l'accademismo dei chierici aver ragione degli sforzi più meritori per dar vita a una letteratura politica. La corte imperiale, infestata di vati e di pedanti, diventa teatro di tornei d'eloquenza. A tavola, mentre i gloriosi paladini strofinano i lunghi mostacci gialli sui quarti di montone dispensati loro dalle mani regali, i chierici, e c'è forse tra costoro Paolino patriarca d'Aquileja, che insegna a Carlo la grammatica, e il diacono Pietro Pisano già maestro a Pavia, dissertano prolissi di retorica e di religione, recitano versi, propongono e sciolgono enigmi, riducendo al silenzio lo storico Eginardo, un laico, e quell'altro diacono Paolo, non abbastanza retori, forse, pel gusto della dotta compagnia. E, quasi a meglio indicare lo spirito accademico che presiede a questi primi esercizi di gaia scienza, gli illustri dilettanti pigliano un nome arcadico: Carlo Magno si intitola Davide, Alcuino si fa chiamar Fiacco, Angilberto, segretario del monarca e drudo di sua figlia, si arroga, per aver composto un abbozzo di epopea, nientemeno che l'appellativo di Omero. Una sorta di puerilità pretensiosa succede al grave anelito antico verso il sapere. Vien meno lo studio diretto dei classici, che solo pochi eruditi non si tengon paghi di conoscere attraverso le citazioni altrui. Isidoro di Siviglia nomina ancora Virgilio e Orazio, Plauto e Terenzio, Persio e Giovenale, inframmezzando alla propria prosa passi dell'uno o dell'altro, ma nei suoi ragguagli entra già un che di sommario e di favoloso. A un secolo e mezzo di lì, Teodulfo mostra di non ignorare Virgilio ed Ovidio, Naso loquax, come lo chiama lui ; ma i suoi autori prediletti sono soprattutto Gregorio Magno, Agostino, Ambrogio, Cipriano, Isidoro, Fortunato e Paolino. Siamo lontani dall'umanesimo di un San Girolamo! Fra poco si conteranno sulle dita, per ogni diocesi, i chierici la cui scienza eccede l'angusto campo della Bibbia e dei Salmi. A Roma, forse appunto perchè la rsnimstcIcdmddcmorpcpprsdsgfrrdmrvnpla potestà clericale vi è più forte, tale restringersi dell'orbita del sapere torna più sensibile che non in ogni altro luogo. Lo slesso studio del di- ritto vi decade, malgrado sia questa l'epoca delle Epitome di Giuliano e della Stimma Pcrusina, finisce in quella specie di seminario che è a Schola cantonali del Laterano, modello di quella milanese della basilica ambrosiana e dell'altra aperta Lucca sotto il portico della cattedrale, diventandovi sempre più canonico e sempre meno romano. In quanto alla conoscenza del greco, essa è già scomparsa al principio del VIP secolo, e se qualche estremo vestigio rimane dell'idioma non dico di Platone ma del Crisostomo devi cercarlo nella Schola graeca, corporazione sopravvissuta al regime bizantino, la quale manterrà fin oltre il Mille l'usanza di intervenire alle incoronazioni imperiali e alla popolare festa della Coromannia cantando antichi inni orientali, storpiati, però, e probabilmente incompresi. Regresso del greco in Occidente, regresso in Oriente del latino, cui lo stesso Giustiniano ha rinunziato sin dalle sue ultime Novelle. Ma questo progressivo esaurimento del bagaglio intellettaule comune' rende forse agli uomini la vita meno dura riducendo la loro capacità di soffrire. Discesi di sulla breccia del mondo, quella su cui Gregorio Magno montava ancora la guardia, i chierici sprofondano nel silenzio quasi voluttuoso di un biten retiro, che non ha più se non un rapporto lontano con la solitudine ascetica dei primordi. Sono ora, per cosi dire, i mandarini dell'Occidente. Vada pure il mondo a rotoli e le nazioni se la sbrighino come possono : in attesa di Cluny, in attesa del Poverello di Assisi, diaconi e preti, monaci e abati se ne staranno in disparte a coltivare in pace il loro orticello spirituale. Julien Benda sarebbe contento di loro. Sulle orme della Vivaria di Cassiodoro, i monasteri principali si arricchiscono di scolte di copisti che tracciano di e notte lettere e fiorite iniziali davanti le finestrelle aperte sul pomario canoro di passere o sul mirifico firmamento. « Nulla mi piace tanto, aveva detto l'ex-ministro di Teodorico, quanto la fatica del copiare con diligenza vecchi manoscritti ». E' un gusto che generazioni e generazioni di chierici divideranno seco. Non è questo, oltre tutto, un modo di guadagnarsi il Paradiso? Le tre dita degli amanuensi sono al servizio della Trinità, e Satana tocca tante ferite quante sante parole vengono da quelle trascritte. Per trascriverne di più. grattiamo, se occorre, le pergamene ingombre di testi pagani e stendiamovi sopra una bella scelta di omelie ! La fantasia dei chierici naviga in un soave empireo di tranquille gioie, di dilettose intimità. I disordini del mondo son tali, che la sola ambizione di chi è costretto a subirli consiste nel recuperare al più presto il porto della propria cella. E', certo, nel rivarcarne la soglia dopo le agitazioni della vita di corte che Alcuino esce in questo commosso saluto : O mea cella, mlhi habitatio dulcis, [amata Semper in aeternum, o mea cella, [vale. Undique te cingit ramis resonan[tibus arbos Silvula florigeris semper onusta [comis... Presa in queste disposizioni idi! liache, la cultura dell'epoca si stem pera in una produzione frammenta ria e inorganica quanto enciclopedi ca ma tuttavia estremamente caratteristica, a base di quadretti di genere, di precetti morali, di enigmi compresi in pochi distici, che farebbe pensare ancora una volta all'Estremo Oriente coi suoi hai-kai giapponesi e in generale al culto del frammento proprio di tutte le epoche di disorientamento ideologico, la nostra non esclusa. La raccolta weidmanniana dei Poeti latini dell'evo carolingio è piena del profumo di questa lontana amabile dissipazione erudita. Alcuino si diverte ad allineare l'un dopo l'altro centinaia di Praccepta vivendi, un verso per precetto, non più. Adelmo, grande cultore di enigmi, occupa i propri ozi componendo graziose strofe di due esametri e due pentametri alternati, su temi per miniatura : la rondine, l'ape, l'ortica, il pavone, la palma, il cammello, la salamandra, il pesce. Dice, ad esempio, il pesce : Me pedibus manibusque simul [fraudaverat almus Arbiter, immensum primo dum [pangeret orbem... Eugenio di Toledo cesella anche egli concetti brevi quali pennellate di alluminatore, talora non privi di candida amenità, come quell'invito della tortora alla monogamia : Utile coniugibus exemplum prae[beo turtur: Non repeto thalamum nec, coniunx [casta, maritum. La cella, l'orto, gli uccelli : ecco gli oggetti del costante trasporto di questi chierici, che non hanno ancora perduto il senso musicale della metrica latina ma non sempre evitano le sgrammaticature : En per frondisonans herbosi cae[spitis ulmos Concentu pariles dulce queruntur [aves... E, in cima a tutti i pensieri, più caro d'ogni altro, sempre lo stesso sogno, la pace : Pax animae vita, pax virtus, [paxque medella, Pax ordo rerum, pax bonitatis [amor! Quale soccorso può sperare l'Italia, quale comprensione delle sue tragiche necessità nazionali da una pcsncpcpdatasspsN cultura così lontana dalle realtà storiche, da un mandarinato intellettuale non d'altro vago se non di chiudersi quieto in casa lasciando che i cavalieri dell'Apocalisse scorazzino a lor agio sul mondo? I chierici hanno tradito, e più ancora nel nostro paese che fuori, tradimento che commetteranno, del resto, altri nei secoli. Disertato l'arengo civico, rinunziata la libera discussione, abdicato al diritto di intervento nel temporale, ogni speranza di veder la cultura reagire, in quest'ora decisiva per la formazione del mondo moderno, contro le forze che lavorano a decapitare l'Italia è perduta. Settecent'anni di pensiero romano non avranno servito a nulla. Ancora un poco, e la stessa Chiesa soffrirebbe le conseguenze del disastro di cui in altri tempi si è compiaciuta. Già nel 680, invitato a farsi rappresentare a un concilio in Co¬ stantinopoli, papa Agatone incontra difficoltà a metter la mano su una deputazione che offra sufficienti garenzie di assolvere degnamente l'ufficio. Nell'825 l'editto di Lotario sulla restaurazione degli studi in Italia riconosce che l'insegnamento, per l'estrema incuria dei superiori, vi è dovunque perduto: «.doctrina fundihts extincta». L'anno appresso, papa Eugenio II ammette a sua volta che « in molti luoghi » della penisola non si trovano più nè maestri nè amor dello studio. Di li a un quarto di secolo, nèll'853, un altro Papa ripeterà il vano lamento, aggiungendo che è raro trovare nelle semplici parrocchie qualcuno che sia in grado di insegnare un po' di grammatica... Scendiamo a precipizio verso l'abisso del X" secolo. Concetta Pettinato FlzoelpflSvpctgsdgggnizdeb