Fine della storia di donna Francesca Scanagatta "già Tenente nelle I. R. truppe Austriache,, di Mario Bassi

Fine della storia di donna Francesca Scanagatta "già Tenente nelle I. R. truppe Austriache,, Fine della storia di donna Francesca Scanagatta "già Tenente nelle I. R. truppe Austriache,, V. Un giorno forse l'autore di questo racconto vorrà riprenderlo, per seguire la sua eroina, quanto più possibile davvicino, nelle vicende della non lunga carriera militare, per le guarnigioni di pace, dall'Austria in Polonia, e ancora sui campi di battaglia, in Italia, nelle campagne del 1799 e 1800. Ma ora, forse, il lettore del giornale, che ha capito come si svolge questa storia, desidera vederla affrettare alla fine. Riprendiamo ancora una volta 11 testo del biografo autorevole, il nostro Giacomo Lombroso, che riassume rapido gli ultimi episodi della carriera militare della Scanagatta. Riformatasi la nuova coalizione contro la Francia, cui partecipano l'Inghilterra, il Re di Napoli, la Russia, la Turchia, e infine anche l'Austria, mentre il Bonaparte si trova impegnato in Egitto; e dopo 1 rovesci subiti dalla Francia, soprattutto in Italia, prima che il Bonaparte, tornato dall'Egitto, inizi a campagna di rivincita; siamo dunque in Itaia, sul finire del 1799: « ...L'alfiere Scattar/atta parti per incorporarsi al 6" battaglione del reggimento Burnito, che faceva parte dell'esercito incaricato del blocco di Genova, e comandato dal maggiore Paulich. Raggiuntolo a Borzoìinsco » (sic; ma vuol essere Borzonasca, nell'Appennino genovese, nella valle dello Sturla, precisamente alla confluenza .del Penna), « verso i primi di dicembre, ne ripartì l 9 di quel mese, per attaccare i Francesi accampati in quelle vicinanze... ». Accennavamo ai rovesci subiti quell'anno dai Francesi in Italia: messi in rotta dovunque, costretti ad abbandonare la penisola, nella sua estensione, e l'intera valle del Po. Soltanto il corpo dell'eroico generale Gouvion-Saint-Cyr teneva ancora Genova e il Genovesato, con dura resistenza. Davanti aveva il corpo austriaco del Karaczay, che sceso da Alessandria, faceva mpeto ai valichi dell'Appennino, e attaccava centralmente al Passo della Bocchetta; e sulla destra, per la Riviera dì Levante, lo premeva un altro corpo austriaco, condotto dal Klenau. Mentre, l'undici decembre, Gouvion-Saint-Cyr riesce a ributtare l'attacco austriaco alla Bocchetta, il Klenau spinge le sue avanguardie fino a San Martino d'Albaro, alle porte stesse di Genova. Ecco che rientra in scena la nostra Scanagatta. Il suo battaglione, come abbiamo detto, sesto del reggimento Bunato, battaglione comandato dal maggiore Paulic, faceva parte del corpo di Klenau, e si trovava già a Borzonasca, quand'olia lo raggiunse, ai primi di decembre. E subito dopo, il nove, il battaglione moveva, di conserva con altri reparti, per snidare i Francesi da quell'aspro groviglio di monti, tra l'alta valle dello Sturla e la testata di vai Cicana, verso monte Ramaceto e monte Cavallo. Azioni frazionate, di piccoli nuclei, come comportava il terreno, rotto intricnto selvoso, favorevole a ogni insidia, ad agguati e sorprese, con facilità, reciproca dei due avversari, d'infiltrazioni, di aggiramenti, di dispersioni. Questo tipo di guerra, anzi di guerriglia, piace alla Scanagatta assai meglio che non il combattimento di masse, in campo aperto: comecché offre tante più possibilità all'iniziativa dell'ufficiale, anche l più subalterno, e ha carattere e gusto tanto più d'avventura, più emozionante e più seducente. I Francesi furono ripiegati e respinti, successivamente, in quel settore, dalla linea Monte Ramaceto-Monte Cavallo, a quella Monte Caucaso-Monte Pagliaro; e poi ancora costretti ad arretrare su quella sorta di bastione montano che divide l'alta valle dell'Avcto dall'alta valle della Trebbia: una cresta poderosa che s'inarca a settentrione del Caucaso, e procede, da libeccio a greco; e vi si trovano le poche misere casupole di Barbagelata, e più in là, quell'altre casupole e capanne di Costa Finale. Il battaglione del maggiore Paulic sali all'assalto della cresta; ma fu arrestato dall'accanita resistenza francese, e dovette retrocedere. Ricomposti i ranghi, montò di nuovo all'assalto. L'alfiere Scanagatta, alla testa del suo plotone, sotto il flagellante fuoco nemico, riuscì a sbucare sul breve pianoro di Barbagelata. I difensori, che resistevano al riparo dei muriccioli delle case, furono cacciati alla baionetta; parecchi si arresero prigionieri; gli altri si buttarono giù per il valloncello di Scorticara, onde si scende in vai della Trebbia. La conquista di Barbagelata, prontamente sostenuta da altri reparti del battaglione, accorsi al rincalzo del plotone della Scanagatta, decise del successo austriaco: rotta la loro linea, ai Francesi non restò che ritirarsi, pur contestando duramente l terreno. — Bravo, alfiere, — esclamò 11 maggiore Paulic, raggiungendo la Scanagatta, che aveva preso posizione, con gli uomini che le restavano, su uno sperone di monte, sull'altro versante della cresta: — mi ricorderò di voi. E immediatamente ordinò di avanzare oltre, per incalzare il nemico. Ma questo era andato intanto raccogliendo le proprie forze; e già accennava a un ritorno offensivo. Il combattimento si riaccese più furioso, per quella sorta di anfiteatro alpestre, frastagliato e scosceso, che corona Scorticara. L'azione venne frantumandosi in una disordinata successione di assalti e contrassalti, di scontri particolari, con alterna fortuna dall'una parte e dall'altra, con violenti corpo a corpo, e momentanee soste e riprese. A un tratto fu veduto 11 maggiore, che correva avanti a' suoi uomini, vacillare e cadere. In quel punto, un reparto francese contrattaccava da quella parte. Un ufficiale francese si buttò avanti, trascinando un gruppo d'uomini. Il maggiore Paulic, che aveva avuto un piede fracassato alla caviglia da una pallottola, si alzò n ginocchio, levando il braccio con la spada brandita; e chiamando a nome il capitano più anziano del battaglione, gridava, fra il tuonare delle fucilate: — Capitano Luzier, avanti: alla carica. L'ufficiale francese gli fu sopra, mentre i suoi uomini rovesciavano i pochi austriaci che si trovavano presso al loro maggiore; e gli puntò a pistola al petto: — Arrendetevi. Il maggiore tentò sollevarsi; poi lasciò cadere la spada. Mormorò: — Non posso, non posso... I soldati francesi, afferratolo, lo strascinarono via. II quindici decembre, i Francesi contrattac- cavano il corpo di Klenau, su tutta la linea. Il nostro ottimo testo, quel colonnello Bourdeau, già citato, da cui, disgraziatamente, osserverà il lettore, non abbiamo appreso l'esemplare, tacitania virtù della concisione, annota, semplicemente e risolutivamente: «... Saint-Cyr uccourt (15 decembre) et reiette Klenau dans la rivière du Levant... ». Anche il battaglione della Scanagatta, quel giorno, è attaccato sulla posizione che teneva, quella cresta tra l'alta valle dell'Avete, di qua, anzi, verso la testata, e l'alta valle della Trebbia, di là; e dove, in cima, si ritrovano quei meno che paeselli, di Barbagelata e di Costa Finale. Il comando del battaglione, poiché il maggiore Paulic, ferito, come abbiamo veduto, era stato preso prigioniero dai Francesi, — e sappiamo che, portato a Genova, gli fu poi dovuta amputare la gamba, che già la gangrena minacciava l'estremità dell'arto; — il comando di quel sesto battaglione del reggimento Sanato fu dunque assunto dal capitano più anziano, appunto il Luzier. — Capitano Luzier, avanti: alla carica, — era stato l'ultimo animoso ordine gridato dal prode Paulic. Eh, si. Questi Francesi del demonio son loro, che montano alla baionetta. E dopo un violento combattimento, pre-j cisamente il quindici decembre, riconquistano laj posizione; e il battaglione, ributtato a sua volta giù in va! d'Aveto, decimato e scosso, ripiega, come del resto l'intero corpo di Klenau; e ridi-1 scendendo per la vai d'Aveto, il giorno seguen-! te, è a Parazzolo. A sera, del sedici decembre, il comando del: battaglione s'è insediato in una di quelle rusti-j che casette di Parazzolo; e il battaglione è accampato intorno. — Signor alfiere Scanagatta... Signor alfiere Scanagatta. Stanca del gran camminare per gl'impervi j monti, tutti quei giorni, e dei replicati e duri combattimenti, la nostra eroina s'è buttata su un mucchio di foglie, che l'ordinanza le ha ammassato sotto la tenda, e avvolta nel suo man-j tello, dorme profondamente. — Signor alfiere Scanagatta... Signor alfiere; Scanagatta. Un soldato del comando di battaglione cerca l'alfiere: — La chiama il signor comandante di battaglione: sùbito. Pochi minuti dopo, l'alfiere entra nella stanzuccia del comando di battaglione. Una lucernetta a olio, posata su una rozza tavola, illumina le pareti grigie, intorno, muri di sasso, a secco, il soffitto di travi e d'assi, annerite dal fumo. La tavola è ingombra di carte; da una parte qualche stoviglia, qualche avanzo di cibo in due piatti di stagno, una bottiglia, un pajo di bicchieri. Il capitano Luzier è seduto su una' cassetta, dietro la tavola; l'aiutante del battaglione, seduto su un grosso ceppo, è intento a scrivere. L'alfiere saluta, battendo sonoramente insieme i tacchi degli stivali. — Buona sera, alfiere, — risponde il capitano: — s'accomodi. Prende un bicchiere di vino? Non ho altro da offrirle. Ma non era per il bicchier di vino, che l'aveva fatto chiamare. Spiegò che il battaglione muoverebbe, all'alba seguente, per tornare avanti; e che lui, alfiere Scanagatta, con due plotoni, di cui gli era affidato il comando, doveva precedere, la notte stessa, per tentare di rioccupare di sorpresa quella posizione di Barbagelata, nella cui conquista s'era già personalmente distinto, due giorni prhriU. La realtà, che il capitano Luzier non disse, anche perchè forse Tignorava lui stesso, si era che, trovandosi l'intero : corpo del Klenau nella necessità di ripiegare, alcuni reparti venivano destinati, come regolare, a coprire il movimento; e tra questi, appunto 11 sesto battaglione del reggimento Banato: ' cui toccava di riprendere e tenere quella cresta dominante tra l'alto Aveto e l'alta Trebbia, con Barbagelata e Costa Finale. La Scanagatta, ordinò i suoi due plotoni, e: s'avviò, ch'era notte, una buja notte d'inverno. Soffiava un vento rigido, con folate di nevischio. Gli uomini camminavano faticosamente, per la difficoltà del terreno e l'avversità del tempo, e i peggio per la stanchezza di quei molti giorni che marciavano e combattevano. Impiegarono un'ora, ad arrivare a quelle capanne di Priosa, dov'era distaccata una compagnia del battaglione. La Scanagatta rimise al tenente, che comandava questa compagnia, l'ordine scritto del capitano Luzier, che l'informava del compito affidato all'alfiere, coi due plotoni, e stabiliva che lui, il tenente, con la sua compagnia, sarebbe avanzato, seguendo, e in modo da intervenire tempestivamente nell'azione, se ne fosse risultata l'opportunità; a suo giudizio, scegliersi una posizione conveniente, assicurando i collegamenti, e con i due plotoni antistanti, e indietro, col comando del battaglione. Dopo una discreta sosta a Priosa, i due pio-1 goncddqnmvSplllbttgssrFsngcAtfifubfdffivFvTascuGrccgrsaptguuicsvvggscsrsscslnnvpbt toni ripresero la marcia, continuando a risalire la vai dell'Avete per i pendii e i greppi, dal lato sinistro. L'alfiere Scanagatta contava arrivare sotto a Barbagelata prima dello spuntare del giorno, attaccare il nemico all'improvviso, approfittando di quell'ora antelucana, appunto, in cui, quando la notte è trascorsa tranquilla, per i difensori d'una posizione, la vigilanza in genere si allenta, quasi si addormenta; non di rado, si addormenta davvero. Il vento s'era calmato; il nevischio era cessato. Nel cielo nero, per un rotto tra le nuvole, occhieggiava qualche stella. L'alfiere Scanagatta fermò i suoi uomini; e mandò avanti un caporale e tre soldati, che, non distancandosi più d'un tiro di fucile, esplorassero quella valletta, sparsa di macchie cespugliose, su cui erano arrivati, e che si diramava dal vallone principale. Era la valletta, ella riconosceva bene, che girava a semicerchio sotto la posizione dominante di Barbagelata, e andava ad attestarsi alla cresta, poco oltre, precisamente tra Barbagelata e Costa Finale; mentre il sentiero proseguiva di qua, ancora un breve tratto per il vallone delI'Aveto, e descrivendo anch'esso un semicerchio, Indi, guadagnando la costa, raggiungeva Barbagelata da quest'altra parte. Poco dopo, i quattro uomini tornarono, che non avevano visto nulla, trovato nulla, se non molta neve, che il vento aveva accumulato nella valletta, e ci s'affondava fino al polpaccio. La Scanagatta allora lasciò il sentiero; e tacendosi precedere da due pattuglie, una sulla sinistra, 'altra sulla destra, guidò i suoi uomini su per a valletta. Ella sapeva quanto ripida e difficile a salita da quella parte; e come a certo punto bisognasse scalare una rupestre fascia diroccane; ma calcolava anche che il nemico non s'aspettasse l'attacco da quello scoscendimento, e magari nemmeno lo sorvegliasse. E tutto andò come previsto. Gli Austriaci misero piede sulla cresta, e s'inoltrarono su quella sorta di terrazza, dove le misere casupole, mezzo rovinate, di Barbagelata, senza che le vedette Francesi s'accorgessero di nulla, se non quando se li ebbero addosso. Il tempo, quelle, di spianare il fucile, sparare un colpo all'impazzata, gettando un grido di allarme; e cadevan giù, colpite a bruciapelo, o all'arma fredda. Gli Austriaci si precipitarono verso le casupole, punarono i fucili contro le porte, e attraverso le finestre, sfondando, con pochi colpi del calcio del ucile, le sconnesse imposte. Schioppettate, da una parte e dall'altra; urla, gemiti di feriti, nel bujo; qualche soldato francese, che tentò saltar fuori da questa o quella casa, da quella sorta di nuove trappole ov'eran còlti, si buscò la sua fucilata, o andò a infilarsi sulle bajonette. — Arrendetevi, arrendetevi, — gridava l'alfiere Scanagatta. Ancora uno scambio di schioppettate, attraverso le porte e le finestre. Ma veramente i Francesi erano ih trappola. E poi erano relativamente pochi, e divisi per quei quattro abitacoli. Tentarono ancora di resistere; qualcuno tentò ancora di sbucar fuori. Poi, una voce gridò che si arrendevano. E come il nostro alfiere austriaco ingiungeva loro, uscirono dalle case, a uno a uno, disarmati, avendo lasciato dentro le armi. Gli Austriaci contarono trentaquattro prigionieri; mentre un pajo o tre approfittavano della confusione, per darsela a gambe, inseguiti a fucilate; ma scomparvero tra i dirupi e la boscaglia, nella notte. Gli altri furono raccolti in un recinto di sassi accumulati e tronchi, che l'estate serviva per le gregge, quando il paesetto era abitato: ora, o lo stridore della stagione, o la paura deila guerra e delle soldatesche, gli abitanti erano emigrati, da tempo, portando via gli animali e le povere masserizie. E c'erano undici morti, nove Francesi e due Austriaci; e una ventina di feriti, più o meno gravi. E questi, feriti, l'alfiere fece ricoverare in due di quelle casette, che ciascuna si componeva di una o due stanze, di muri a secco o di legname, che parevano stalle, e ne mantenevano l'acre odore. L'ufficiale, che comandava i Francesi, era gravemente ferito, come vennero a dire alla Scanagatta. Ella entrò dove le indicarono, con impugnata la spada, e la pistola nella sinistra. — Portate, se trovate un lume, — gridò a' suol soldati. Nell'abituro, nell'unica stanza, l'ufficiale francese giaceva disteso sotto il vano d'una finestrella; e gemeva dolorosamente. Un soldato riattizzò con la bajonetta un po' di brace, che si consumava nel focolare; e soffiando, ne suscitò un momentaneo baglior di fiamma, che crepitando e scoppiettando, proiettò rossi riflessi intorno, per il pavimento di terra battuta, per e pareti scabre, di pietrisco, e fumose. La Scanagatta intrawide un volto pallido, di giovanetto, incorniciato di capelli neri; e per il pavimento, dove quello era disteso, s'allargava una pozza oscura, del suo sangue, di cui aveva imbrat ;:ata la tunica, sul petto, e i calzoni. Ella buttò la spada e la pistola, s'inginocchiò accanto al ferito, gli prese il capo tra le mani, per sollevarglielo. Quello si lamentò più forte. — Muovetevi, accidenti, — inveì l'alfiere, all'indirizzo di alcuni soldati, che s'aggruppavano sulla soglia: — che state lì? Ho detto di portare un lume. Portate anche dell'acqua. Qualcuno ha una borraccia, con un po' di liquore? — Poi, rivolta al ferito: — J'espcre que ce ne soit pas grave: où vous ètes blessé? — Ca n'a pas d'impnrtanc.e, — mormorò il Francese: — Je vous remercie. Mais c'est inutile. Cette fois, je suis foutu. — Mais non, j'especre que non... Je vais voir. — E gli sbottonava la tunica. < ' Un soldato aveva portato un lumino a olio, e 10 posò per terra, li accanto. L'alfiere aveva fatto chiamare la sua ordinanza, ch'era un italiano; e gli parlò nella propria lingua: — Dammi la mia borraccia: ci dev'essere ancora un po' di rum. Fai portare dell'acqua. Cerca nel tuo sacco: hai qualche mio fazzoletto... Il ferito si riscosse, aprì due grandi occhi, si illuminò nel volto: — Siete italiano, voi? — Si, — rispose con un sussulto l'alfiere austriaco: — E voi?... — Sono napoletano. — E fate la guerra per questi Francesi? — E voi non la fate per gli Austriaci? — Non è la stessa cosa. — Già, non è la stessa cosa... Ma io almeno mi sono battuto per la libertà, contro 1 tiranni, le canaglie coronate: mi sono battuto anche per 11 mio paese. La Scanagatta gli aveva scoperto la ferita, tra il torace e la spalla sinistra, un foro dai margini slabbrati, che ci sarebbe entrata una noce, e donde sgorgava ancora un rivolo di sangue, a lenti fiotti. — State tranquillo, amico mio, — disse, con la più dolce voce: -— mi pare che non sia grave. — E bagnato un fazzoletto nell'acqua, glielo premeva sulla ferita. Ma l'altro le sorprese in volto un'espressione, che contraddiceva le parole. — Non sono un ragazzo, — protestò, con voce che s'affievoliva: — potete dirmelo... e anche se non me lo dite voi... Sento bene che è finita, per me... Almeno questa consolazione: che muoio tra le braccia d'un compatriota, d'un Italiano... Che strana cosa, la vita. L'alfiere austriaco accennò ai soldati, con un gesto imperioso, che uscissero. Poi sedette per terra, accosto al ferito, gli sollevò il capo, se l'appoggiò sulle ginocchia, accarezzandogli la fronte e i capelli, chinandosi col viso contro il suo viso: — State calmo... Se avete qualche cosa da raccomandarmi, qualcuno, cui fare sapere... che siete stato ferito... L'altro accennò di si, col capo. — Dite... dite sùbito... Poi, se siete religioso... volete che recitiamo insieme una preghiera? L'altro scosse la testa, con un triste sorriso. Alzò una mano a prendere quella dell'alfiere austriaco; e gli fisse gli occhi in volto. Dalla finestrella veniva un barlume scialbo, del giorno che spuntava, rigido e squallido mattino d'invernò, sui monti nevati. La fiammella del lumino dava guizzi, e sfriggeva rossa. Rintuonarono lontano colpi di fucile. L'alfiere austriaco drizzò il capo, stette in ascolto. Poi sollecitò: — Ditemi, dunque... Forse tra poco io dovrò andare. L'altro supplicò: — No, aspettate... Tanto, presto, me ne vado io... Ma che mani avete, che viso, che occhi... Mi sembrate una donna, mi ricordate... L'alfiere austriaco sciolse la mano dalla stretta, si scosse. Socchiuse gli occhi per un attimo, i lineamenti del volto contratti da una visibile emozione, e come se tutto raccolto in sè, per alcunché d'irresistibile che l'agitava dentro. Poi, stringendo tra le mani la testa del moribondo, e fissandolo con occhi quali nessuno le conosceva, nessuno le aveva mai più veduto, sussurrò con altra voce, che la sua usata, velata eppur soave: — Se questo possa confortarvi, in questo momento... a voi posso confessare: sì, io sono una donna. E lo baciò amorosamente sulla fronte. Così, un Napoletano, affascinato dalla grande Rivoluzione, arruolatosi nelle truppe repubblicane francesi, e diventato ufficiale, era venuto a morire, combattendo, in un miserabile abituro, sperduto tra le montagne genovesi, tra le braccia d'un'Italiana, in divisa di alfiere austriaco. In verità, che strana cosa la vita. Dicevo: un giorno, forse, vorrò ritessere, punto per punto, la romanzesca ma autentica storia di questa Francesca Scanagatta, nata in Milano, di nobile famiglia, il di primo di agosto del 1776: che fu educata dalle Dame della Visitazione, nel monastero di Santa Sofia, a Milano; indi, per sua animosa e irresistibile inclinazione, vestiti panni maschili, e con più accorti sotterfugi dissimulando il suo sesso, riuscì a farsi ammettere cadetto nella imperiale e regia Accademia Militare di VViener-Neustadt, ne seguì i corsi, segnalandosi per ingegno e zelo e bravura, e poco più che ventenne guadagnò la nomina ad alfiere; e militando nell'imperiale e regio esercito austriaco, partecipava replicatamele ad azioni di guerra, dava prova costante di valore e di capacità, e promossa infine tenente, il primo marzo del 1800: senza che nessuno mai sospettasse di quel suo sorprendente inganno. Poi, lasciate le armi, tornata alla vita borghese, e ripresi costumi e vesti confacenti, passò più tardi a nozze, con un ufficiale milanese delle truppe presidenziali della Repubblica d'Italia, e poi del Regno Italico, il tenente Pini. E sposa amorosa, e madre feconda e fortunata, di quattro figli, due maschi e due femmine, visse abbastanza a lungo, perchè noi ne avessimo notizia direttamente da coloro stessi che la conobbero di persona, sul declinare sereno de' suoi giorni, e ascoltarono da ei degli avventurosi casi della sua giovinezza. Se avverrà, ci pare che intitoleremo il nostro racconto — Il pennacchio di Bradamante; — e risognando l'ariostesco « ... Ch'uvea la spada in luoijo di conocchia... ». Mario Bassi FINE. (Le precedenU cinque puntate di questo racconto sono pubblicate su La Stampa, nei numeri del il e SO yennujo, e li, S, e 28 Jebbrajo). I i 'l ; | I I cj I! Composizione di Marcello Boglione.