LE ARTI

LE ARTI LE ARTI Greco e Cavagna Sulla fine dello scorso febbraio s'è svolto al Tribunale di Bergamo un processo che dalla cronaca giudiziaria è bene trasferire a quella artistica, tanto chiaramente con esso è tornato sul tappeto uno dei più gravi problemi della critica d'arte. Il dibattito, originato da una querela per diffamazione e da un'altra per falso, verteva su questo punto: se un grande ritratto di tal Gerolamo Albani, console veneto a Genova, già appartenuto al Locateli! Milesi e poi passato in altre mani, fosse stato dipinto dal bergamasco Giovan Paolo Cavagna oppure da Domenico Theotokopoulos detto il Greco. La differenza, a parte l'interesse artistico, era la seguente: che, dato al Cavagna, il quadro poteva valere poche migliaia di lire; dato al Greco, ne valeva parecchie centinaia di migliaia. Come e perchè s'era iniziato il processo? Perchè, secondo una delle parti in causa (quella querelante per falso) il quadro attribuito al Greco da parecchi critici insigni avrebbe recato — naturalmente prima dell'autenticazione — ben chiara e leggibile la firma del Cavagna, fatta poi abilmente sparire ma documentata da una fotografia'eseguita in precedenza; mentre secondo l'altra parte (quella querelante per diffamazione) codesta firma non sarebbe mai esistita. H Tribunale, udite le testimonianze di numerosi critici e antiquari, ha già emesso la sua sentenza e non è qui luogo da riportarla e commentarla. Ciò che al di fuori del processo ci sembra invece assai piccante non riguarda la Giustizia, bensì la critica d'arte che fa professione di identificazioni e autenticazioni. Si pensi un momento: il Cavagna accanto al Greco: come dire un pigmeo ai piedi di un colosso; se è vero che il Greco è ormai concordemente ritenuto — dal Barrès al Justi, dal Mayer al Cassou — uno dei massimi artisti di tutti i tempi (Cassou: « On peut reconnaltre que l'oeuvre du Greco consista à introduire la spiritualité dans la peinture »), e che viceversa a Paolo Cavagna, modesto pittor provinciale, bastano le due paginette dedicategli da Adolfo Venturi nel settimo tomo della sua Pittura del Cinquecento, anche se l'illustre storico ne nota, esaminando la pala dell'Accademia Carrara, la freschezza cromatica, la virtuosità pittorica nelle sottigliezze luministiche, le reminiscenze del Moroni, le influenze dei Veronese e dei Bassano, e se ce lo indica come ritrattista di non comuni qualità. Ecco: compare all'orizzonte un Greco che non si conosceva, questo ritratto del console Albani; entusiasmi, applausi, e un gruppo di critici non esita ad accordare alla pittura tutto il suo favore. Un bel giorno qualcuno afferma che chi ha dipinto quel Greco è il Cavagna, e s'accende il dibattito prò e contro l'affermazione. Ripetiamo che la controversia ci lascia estranei ed indifferenti. Ma se la pura e semplice esistenza di una firma quasi mediocre, o viceversa la sua inesistenza, può togliere o restituire il quadro al Greco, allora i casi sono due: o il Greco non è quel gigante che si proclama essere il pittore di Candia, oppure il Cavagna è artista che merita ben altro che le due paginette venturiane. (Ci potrebbe esser poi un terzo caso: se critici e antiquari abbiano cercato nel quadro anzitutto il suo valore estetico, un valore indiscutibile, imperioso, travolgente, e al di fuori del suo autore; o se piuttosto non siano partiti dalle affinità, dai confronti, dalla « calligrafia » pittorica, dal segno così e così, insomma, dalla filologìa invece che dall'aura spirituale tipica di un dato genio). Ma venendo al sodo: è la firma (od in mancanza di firma l'attribuzione) che fa l'opera, o è la sovrana bellezza di quest'opera a qualificare il talento di un autore, senza la prevenzione di un nome illustre? Perchè qui non si tratta dell'esame stilistico di un'opera — come potrebbe essere per il caso Giorgione-Tizìano — contesa da due sommi ed affini ingegni pittorici; qui si tratta di un vero e proprio abisso nella scala dei valori estetici: da una parte una stella di prima grandezza, dall'altra una pallida fiammella. Se ne potrebbe dedurre, e la deduzione sarebbe piena di buon senso, che un pittore sia pure della taglia del Greco potrebbe benissimo in un momento di stanchezza essere stato impari a sè stesso, e che un pittore limitato ma di buone qualità latenti come il Cavagna potrebbe aver prodotto un capolavoro in un'ora di ispirazione felice. Ma allora entrerebbe in gioco un'altra questione che ragionevolmente dovrebbe sconvolgere il mercato artistico antiquario: non doversi valutare un'opera unicamente in merito alla sua paternità, onde qualsiasi cosa scadente che vada in giro col nome d'un Tintoretto o d'un Guardi debba avere mercantilmente il sopravvento su tante ottime cose di più modesti natali; ma essere necessario aprire una buona volta gli occhi e ragionare in base non soltanto ad una critica filologica, bensì col soccorso di quella sensibilità estetica appassionata e persino talvolta antierudita la quale, sì, può essere raffinata ed accresciuta dall'esperienza ma non è acquisibile nè con lo studio nè con la pratica perchè è un dono innato. Si vada ancora un poco innanzi in questo gioco di scoperte, attribuzioni, autenticazioni, passaggi d'opere da Tizio a Caio perchè salti poi su Sempronio a rivendicarle, e il pubblico finirà a non aver fiducia neppur più nei capolavori custoditi nei musei più insigni. La reazione — per le opere che non sono accompagnate da documenti certissimi e da una storia illustre e ineccepibile — non può essere che di metodo. Dinanzi a un'opera sconosciuta converrà procedere prima a una valutazione di bellezza, magari domandandosi se un dato grande autore può averla dipinta, e riconoscendo se essa risponda al suo mondo spirituale. Quindi potrà seguire l'esame della «grafia» pittorica, l'indagine con la lente, centimetro per centimetro quadro, fin dove essa giova... Insomma, l'identificazione e l'attribuzione di un quadro sono paragonabili ad una diagnosi, ed ogni clinico insegna che il sintomo nudo e crudo poco vale senza l'intuizione e la comprensione dell'intero organismo ammalato. Un diagnostico ha da essere anzitutto uno psicologo. Un expert ha da essere anzitutto un uomo di grande sensibilità estetica, e soltanto con questo presupposto l'erudizione gli servirà: — ma come può servire uno strumento, e nulla più. dar. ber.

Luoghi citati: Bergamo, Genova