La bianca città del Misti

La bianca città del Misti INel paese degli Incas La bianca città del Misti (Dal nostro Inviato speciale) AREQUIPA, gennaio. Arequìpa è la famosa città peruviana dalla quale, a quanto si dice, vengono le mule, le lane e le rivoluzioni. Di mule la città è piena davvero; mnlette piccole e svelte come capre, di mi bel colore caffelatte, padrone loro delle vie e delle piazze, ma rispettosissime della gente che incontrano, sempre le prime a farsi già dal marciapiede; ho persino l'impressione che salutino i passanti. Per le lane non è affar mio, ma mi dicono che ai mercati si compera molto bene; in quanto poi alle rivoluzioni, credo che la fama sia giunta fin dui tempi più antichi; nel 15J/2, infatti, nei pressi di Arcquipa •■>'! combattè una gran battaglia fra le truppe regolari del Governatore Vaca de destro e quelle rivoluzionarie capitanate da Diego de Almagro; quest'ultimo fu sconfitto e poi mandato a morte perchè cosi voleva la giustizia, scrivono i cronisti, ma il suo esercito era dei meglio che combattessero in America, con un'artiglieria che avrebbe potuto servire « »ion solo per la campagna delle Indie, ma anche per quella d'Italia». (Sembra però che gli excombattenti di Areqnipa fossero trattati 'un po' male al momento del congedo, perchè mandarono una lettera piena di proteste direttamente all'imperatore Carlo V: « Signor Imperatore, dice in sostanza la lettera, non e giusto che agl'imboscati diano delle ricompense e a noi niente; se no crediamo che in caso d'altra rivolta in queste terre, saranno ben pochi quelli che accorreranno al servizio di V. M. »), Uno scampolo di Spagna Venendo poi ad epoche più fresche, fu proprio ad Arequìpa che nell'agosto del 1930 scoppiò la rivoluzione militare capitanata dall'allora comandante Sanchez Cerro contro il Governo del Presidente Leguia; la vittoria fu dei ribelli, ma, non appena Sanchez Cerro giunse a Lima, ecco che ad Arequìpa scoppiò un'altra rivoluzione, perchè nel frattempo le simpatie si erano rivolte verso un altro capo, Don Davide Samanez Ocampo. Chiasso soltanto, perchè Sanchez Cerro riuscì ad aver ragione dei nuovi ribelli e a tener poi il potere fin che non lo ammazzarono nel maggio del 19SS, ma ad ogni modo ì iem porali venivano sempre da Areqnipa. Tant'è vero che anche oggi, quando siha notìzia di disordini nel Perù, tutti guardano all'orizzonte di Areqnipa; se non ci son nuvole là, segno che non c'è niente di grave. Qualcuno ha detto che in ogni abitante di Arequìpa c'è un guerriero o un asceta. Nascere con questo destino non dev'essere molto comodo, eppure sembra che in questa terra aspra e violenta, agitata da continui terremoti ina con uno dei cieli piti mori/idi c vellutati del Sud America, non ci sia tanto da scegliere: o la rivoluzione o la tenerezza, o la battaglia o la chiusura. Non per niente Areqnipa ha il più tremendo vulcano del Sud America, il Misti, Il a due passi della città, e anche la chiesa più grande, che quante volte è stata distrutta dai terremoti e dagli incendi e altrettante è stata ricostruita, sempre più grandiosa e imponente. Segni e ammonimenti; e chi arrivala prima volta capisce subito che qui non si scherza; la seconda città del Perù; e Lima è tanto lontana, un giorno di treno e tre di mare, che Areqnipa può benissimo vantare dei diritti di capitale; tutto l'orgoglio dei vulcanici meridionali va in bollore solo a dire il nome della bianca ciudad del Misti. Io mi son fatto due giorni di treno per rotolar fin quaggiù dal Olisco; tutta l'altapampa, tutte le creste della Cordigliera, tutta la Sierra, hi stazione più alta del viondo (Crucerò Alto, 1)600 metri), i precipizi più orrendi, le nuvole più fitte e più lanose; ma ora che sono finalmente in porto, a 21)00 metri appena, quasi al livello del mare a, paragone delle altezze alle quali mi ero abituato, mi pare che gli amabili ospiti abbiano l'aria di dirmi che valeva ben la pena di far tanto viaggio; non troverò più rovine incaiche, qui i conquistatori arrivarono come a casa loro e non fecero che parate in piazza d'armi, fin che non scoppiarono le discordie fra i capi; gli Indiai erano tutti lassù, sui tetti dell'Eldorado; ma se voglio vedere le meraviglie dell'epoca coloniale, lo sfarzo della Spugna plateresca e impennacchiata, Areqnipa mi offrirà meraviglie. Basterebbe la Cattedrale, fabbricata tutta con pietre bollenti del Misti; e poi la piazza, che naturalmente si chiama anche qui Pia- za de Armas, più bella di quella di San Marco, mi hanno detto, e io non hoosato sollevare alcuna obiezione per non contraddirli; e poi certe sfilate di archi barocchi, di patios bianchissimi, color calce viva, di cupolette moresche, che vi par d'essere in Andalusia; la Spagna ha piantato qui il suo sigilloe guai a chi lo torca; vi ha lasciato poi anche il sangue culdo dei conquistatori che arrivavano in avventura ed è venuta fuori così la città più spagnolesca di quante ne seminarono lungo le coste del Pacifico i generali di Carlo V al t Q del rande Impero « Rolls Royce » ridotte a tassì Stasera intanto, tornando all'albergo, ho trovato sul tavolino un grosso album di cinquecento pagine dedicato tutto ad Arequìpa; dieci pagine di storia (« Il giorno dell'Assunzione, 15 agosto 151/0, in nome di Dio e degli uomini, cioè di Carlo V e del signor Governatore Don Francesco Pizzarro, il luogotenente magnifico Don Garcia Manuel de Carbajal piantò nelle viscere di queste terre vulcaniche, uberrime e soleggiate, le slriscie di Aragona che per più di tre secoli ci unirono al ctirro trionfale della gloriosa Spagna sui cui dominii non tramontava mai il sole») e 1)90 pagine di fotografie d'illustri cittadini d'Arequipa d'oggi: famiglie intere, coi nonni e i nipoti, tavolate di signori in frac col bicchiere in mano perci brindisi, esposizioni di belle donne indécolleté, giovani e vecchie, pulzelle e maritate; nessuno ha un'idea di quanto piaccia farsi fotografare alla gente del Sud'.imerica; ci tengono più alla fotografia che al diploma scolastico; caschi il mondo, un ritratto di bella donna nella prima pagina di un giornale ci sarà sempre; e l'omino col cavalletto e la scodellina del magnesio è il primo che s'incontra in ogni riunione di Sudamericani. Città che ci tiene al suo decoro e alla sua vida social; nei giornali leggete sempre di gente che parte ed arriva; basta prendere un biglietto alla stazione per vedersi l'indomani sul giornale: il tale è andato ai bagni, il talaltro è andato al porto di Mollendo; Dona Carmen ha offerto il tè al paren-tado e ai suoi umici »; e il giorno dopo li vedete tutti fotografati nella pagina delle feste, con la tazzina' in mano, beati sorridenti ottimisti. L'eroico colonnello Bolognesi Anche i taxi più belli li ho visti qui ad Arequìpa; lucide sei cilindri nuovissime che sembrali tutte macchine di ministri; e gli autisti che attendono i clienti in piazza se le spolverano, soffiandovi su col fiato e passandovi ilpanno di lana, che neanche le scarpe nuove brillano così. Mi dicono che an- che questa è una conseguenza della crisi; un bel giorno pareva che qui fos-sera diventati tutti signori; non si scarrozzavano che in Packard e in Bolls Royce; poi si accorsero che avevano fatto male i conti, che non era vero che fosse arrivata la cuccagna, e allora li-quidazione generale; e le automobilone,invece di tornare in Nordamerica donde erano venute, passarono al servizio pubblico. Un giornalista francese ha scritto anche di aver risto una volta chiedere l'elemosina a cavallo qui ad Arequìpa; a questo proposito c'è stata anzi una polemica sui giornali e mi assicurano gli Arequipegni che non è affatto vero; qui sono molti quelli che ranno a cavallo, donne, uomini, vecchi e bambini,L'oidio anche a far la spesa in piazza ocavallo, ma a chieder l'elemosina no.Non ci sarebbe forse niente di male, ma insomma, bel gusto screditare così alla leggera una città, una delle più serie città del Sndumerica, che ha avuto i più illustri viceré e le più danarose famiglie della Colonia. M'è bastato vedere lo stemma di una, col motto orgogliosissimo e spugnolissimo Despucs de Dios, Quiioz; dopo Dio non ci son altro [che i Quìroz; gente che se lo meritava proprio di abitar quassù, all'ombra del più bel vulcano del mondo, su questo imponente altipiano dove le rocce han no il color del miele e le montagne sembrano grandiose caserme di angeli guerrieri. — In quanto poi alla fierezza della nostra gente — mi diceva un cortese amico che mi faceva da guida e m'illu strava ad uno ad uno i monumenti cittadini — sappia che anche l'eroe della battaglia di Arica (7 giugno 1880), il colonnello Francesco Bolognesi, uno dei più prodi soldati del Perù, era figlio di padre italiano e di madre arequipegna; sangue generoso da una parte e dal l'altra. Oli era stato affidato il comando della piazzaforte di Arica ed egli sapeva benissimo che se avesse ceduto, i nemici avrebbero invaso il Perù. La situazione era disperata, ma ai parlamentari che venivano ad intimargli la resa, facendogli notare che i suoi 1500 uomini non avrebbero potuto opporre che una minima resistenza contro i 7000 soldati cileni che avevano già puntati i cannoni contro Arica, il valoroso colonnello rispose tranquillamente ch'egli era disposto a bruciare fino all'ultima cartuccia: «Questo è il mio dovere e ì difensori di Arica non si arrenderanno mai ». Poco dopo cominciò la battaglia, che fu la più sanguinosa di tutta la guerra del Pacifico; i Pe ruviani ebbero 900 morti, 200 feriti e circa 1)00 prigionieri, ma l'eroico colonnello Bolognesi fu tra i primi a cadere ulta testa dei suoi bravi. In segno di riconoscenza e di perpetua memoria, gli abitanti di Areqnipa gli hanno innalzato un monumento, gli hanno dedicato un bel parco di eucalipti e hanno dato recentemente il suo nome anche al ponte grandioso sul fiume Chili che attraversa con le sue acque impetuose il cuore della città. 1 Ettori; De Zuani IL PONTE BOLOGNESI AD AREQUIPA»