Cose di questo mondo

Cose di questo mondo Cose di questo mondo BAGUTTIANA. — La storica data el Premio Bagutta — 14 gennaio — è pausata, seìiza che molti se ne accorgessero. Non so neppure se i giornali abbiano annunziato il rini>io dell'assegnazione del premio stesso. Nel caso affermativo, nessuno si sarà preso colera: il pubblico rimane indifferente, di solito, alle notizie di questa specie; e gli interessati, cioè gli scrittori aspianti al Premio, devono essersi fatta una ragione di fronte al provvedimeno che corrUponde in ultima amatisi al forzato prolungarsi di una speranza. Perchè il Premio non sarebbe riuscito quel giorno a radunare non dico la maggioranza, ma neppure una coppia di giudici. Gli autorevoli personaggi che sì sono assunti il compito di leggere ad ogni fin d'anno una certa quantià di libri prima di offrire a un amico (honny soit qui mal y pense) il tangibile segno della loro preferenza erutto quasi tutti lontani dalla sede artistica e legale della fondazione. Questi giudii baguttiani o non stanno fermi un momento per ragioni professionali, o ono addirittura domiciliati in altre città, o non si curano più con l'amore di prima della loro creatura che un empo sembrava così prediletta. Al Ih del mese scorso Orio Vergani e Vellani Marchi in giro per l'Africa rano giunti fra gli antropofaghi, ed assillati dal dubbio, piii grave d'ogni crupolo letterario: sarà vero che i ■ bianchi non li mangiano*... Monelli fumava la pipa nella Saar, Gino Scarpa toscani a Treviso, Adolfo Franci seguiva di qua e ditale sorti di Adriana Lecouvreur, e Luigi Bonelli a Roma quelle della sua Bisbetica, domata in un'altra maniera. Dunque non c'era da ar altro che rimandare ad epoca più propizia la cerimonia per il conferimento del premio, il quale da canto suo vuole ancora difendere ad ogni costo a sua rinomanza, non solamente per essere stato il progenitore di ogni altro premio letterario italiano, ma anche per l'originalità, la gaiezza e l'indipendenza delle sue origini. Le quali, ahimè, risalgono ad otto anni addietro. Il busillis sta tutto qui. Otto anni son molti nella vita di un premio letterario, anche se questo è stato fondato da giovani nell'ultimo covo di una tradizionale e insieme nuova scapigliatura milanese. Perchè è appunto la scapigliatura che non sa più resistere nel tempo, manifestarsi n determinati modi e a data fissat sopravvivere come fine a se stessa. Lo scapigliato di ieri si ritrova oggi pettinatissimo o calvo. Ed anche i luoghi e le cose che gli furono cari perdano, a poco a poco o all'improvviso, le loro caratteristiche. Quell'osteria toscana di vìa Bagutta bisognava in principio andarla a scovare in quel suo nascondiglio mezzo buio dove si distingueva a stento il giallo dell'insegna. Oggi basta passare per il Corso, e a un certo punto te la trovi di fronte con tutto quel giallo che non ha pudore in fondo a un grande spiazzo di demolizioni. Dov'èpiù quel senso di raccoglimento e di mistero che giovava assai al suo prestigio t MALINCONIA. — Una volta era una trattoria come tutte le altre, che non faceva buoni affari. Di là dalla vetrata si vedevano le tavole imbandite, gli scarsi avventori, i camerieri imbronciati che li servivano di mala voglia. Poi un bel giorno dietro la vetrata fu calata una gran tenda di velluto scuro, e fu sostituita in alto l'insegna antica con una nuova, contenente un sol nome a grandi lettere nere, che di notte apparivano bordate da un filetto d'oro. Non più trattoria, ma « dancing », cioè sala da ballo, di quelle che a Parigi si chiamavano « boites » perchè erano piccole e raccolte come una scatola. Ora è uno dei luoghi di divertimento notturno più celebrati della grande città. Se ne discorre nei salotti, specialmente per merito delle dame, che hanno viaggiato all'estero e conoscono tutti i misteri della vita tentacolare delle metropoli. Così una sera ebbi anch'io voglia di entrarci. Pur di svagarmi un poco, ero deciso a non badare a spese. La prima saletta è una specie di bar, che in verità non ha nulla di diabolico. Ma già da lì si sentivano « i folli -uioZmi », come scriveva d- suo tempo Guido da Verona, e si respirava l'aria del peccato attraverso un pesante tendaggio, che come per lnC(lnto mi schiuse un piccolo varco, appena il giovine del vestiaire (in que- stì luoghi il guardaroba si chiama cosi) m'ebbe liberato dagli indumenti su¬ perflui. Pareti senza un quadro, senza una decorazione, nude. (La sola cosa che ci fosse di nudo). Tavolinetti torno torno, che lasciavano nel centro della saletta due o tre metri quadrati sgomiti 1 per le danze. L'orchestra, cinque suonatori stava dalla parte della tenda d'ingresso. Due comitive dì provinriall occupavano i due angoli di faccia. Inoltre c'era da un lato un tipo di fataloiio un po' calvo con due tedesche color platino, dall'altro una cocottina italiana in vestito da ballo. Nessun altro. Dal gruppo dei suonatori si staccava il violinista, lungo e maturo, e andata a dedicare a bruciapelo ai provinciali di destra le sue variazioni. Costoro, ignorando che questa è l'usanza nei locali più chic, sembravano mortificati e a disagio, siccìtè finirono di bere in fretta le loro aranciate, e si salvarono con la fuga. Allora il violinista passo all'altro gruppo, con identico risultato, e nella sala non rimanemmo che io, il fatalone con le due tedesche e la co- bottina elegantissima. L'orchestra suo „„,.„ lo stesso, ma adesso il violinista tton si muoveva più. Si masse invece il fatalone, lasciando sole le due dame, che si scambiarono subito uno sguardo d'intelligenza, dal chiaro significato: ahimè, queste limonate ce le pagherei ino da noi. La tenda dell'ingresso ogni tanto si apriva e lasciava affacciarsi il volto di un figuro col cappello in testa e una sciarpa di lana al collo, il quale continuava a fare alla cocottina dei segni assai energici per richiamar la, dato che lì dentro perdeva invano il suo tempo. Allora il irioZtmsta si avvicinò al mio tavolino e ini chiese che cosa avrebbe dovuto suonare per farmi piacere. Glirisposi che non avevo preferenze e mi affidavo al suo buon gusto. Mi disse:— Grazie. Suonerò Carioca. Però —. e indicò con l'archetto la sala vuota ■— che malinconia... Ma la gente non sa più divertirsi? — Sicuro che sa divertirsi — cercai di spiegargli. — Ed è appunto per questo che qui non ci irtene... Cirillo

Persone citate: Adolfo Franci, Adriana Lecouvreur, Gino Scarpa, Luigi Bonelli, Monelli, Orio Vergani, Vellani

Luoghi citati: Africa, Parigi, Roma, Treviso, Verona