L'alba agognata di Wiener-Neustadt di Mario Bassi

L'alba agognata di Wiener-Neustadt L'alba agognata di Wiener-Neustadt ò e o - (*) Tramestìo di gondole e di svariate imbarcazioni, quella mattina pallida dei primi di febbrajo, per il rio, davanti alla casa, dove abitavano i Giuliani. I servi stavano caricando i bagagli su un'imbarcazione; mentre la gondola del padroni, decorata degli stemmi di Casa d'Austria, accostava ai gradini, davanti alla porta; e i due gondolieri incitavano che gli altri dessero luogo, e dopo i caratteristici modulati richiami, con esortazioni e invettive tanto più verbose e sonore, in cui s'irritava e frizzava di scanzonatura plebea la vezzeggiata armoniosità della loquela di Rialto. Amici e conoscenti di rispetto s'erano riuniti, a malgrado dell'ora mattutina, per augurare ai partenti il buon viaggio. E nell'atrio della casa, che s'apriva sul rio, tra quella piccola folla signorile, che si pigiava e rimescolava, e il gran chiaccherlo che faceva, e l'andU'ivieni delle persone di servizio, nell'agitazione e nella confusione del momento, Francesca colse il destro, trovandosi tra il padre e la Giuliani, di buttar là alcune frasi, che non riuscirebbero troppo chiare nè a questa nè a quello; ma a cui entrambi, anche, e appunto per le circostanze del momento, fra quella ressa, il traffico e la premura, non credettero dar peso, e non ne fecero insomma specialmente caso, frastornati, un po' storditi, com'erano, nonché per la levataccia. Francesca, cioè il signorino Francesco parlò che, fermandosi a Wiener-Neustadt, cercherebbe di quel chirurgo Haller, chirurgo maggiore dell'Accademia Militare, con cui don Giuseppe aveva scambiato quella corrispondenza, per l'ammissione all'accademia. Accennò cosi, genericamente, di ammissione all'accademia, senza specificare di più. Il padre intendeva, naturalmente, dell'altro figliolo, di Giacomo. E Francesca lo fermò, che stava per aprir bocca, e insistette: — Lasci a me: porterò i suoi saluti, parlerò 10 col dottor Haller; e grì spiegherò tutto, il ritardo, i contrattempi. Mi fermerò a WienerNeustadt, cercandolo... Ma forse lei, signor padre, ci raggiungerà anche prima, per istrada: lei viaggia a cavallo; mentre noi, in carrozza, impiegheremo più tempo. — Certo, certo, — rispondeva don Giuseppe, senza darsi ragione del subitaneo interessamento della figlia per quella questione di Neustaudt: — il chirurgo Haller... — Farò prova del mio tedesco, — lo interrompeva ancora Francesca; che difatto da qualche tempo s'era dedicata con intensa applicazione allo studio di quella lingua. E quasi riprendendosi da quelle divagazioni, che parevano per sopire l'ansia un po' affannosa della partenza, ora rinnovava al padre commosse salutazioni, con sincero fervore, si raccomandava che, scrivendo alla signora mamma, non mancasse dirle tante tante coge — da parte del .suo Franz; — e dirle di tutte le cortesie che gli avevano usato i signori Giuliani, e di quella partenza, decisa all'improvviso; e poi ai fratelli, un abbraccio a Giacomino bello, e tanti baci a Guiduccio. Scrivo oggi stesso, — assicurava don Giuseppe. E si stringeva al petto la figliola, che s'era chinata a baciargli le mani, e la baciava sulla fronte, con più tenerezza. E intanto le sus surrava all'orecchio: — Se trovassi modo, nel viaggio, di metterti a posto con questi bravi Giuliani, dichiarare la verità... Tant'è vero che non sospettava minimamente del grosso tiro che gli andava tramando e combinando la mascolinizzata figliola. Si accostava il Giuliani, e annunziava che tutto era pronto, i bagagli, la gondola, e che era l'ora. Francesca rispondeva al padre, a voce alta, che 11 Giuliani sentisse: — SI, Si, farò il possibile... a Neustadt. Ce l'aveva con Neustadt, quella mattina. E il padre credette a un'ingenuo espediente, per dare a vedere al Giuliani che non si nascondeva nulla di segreto, in quello ch'egli le aveva parlato piano, all'orecchio. Saluti, abbracci, vicendevoli raccomandazioni e augùri. Dalle finestre delle case vicine, sul rio, la gente si affacciava a guardare e commentare, con la loquacità e l'arguzia veneziana, quella movimentata partenza del segretario dell'ambasciata d'Austria, la ressa dei salutanti, le ricche vesti delle signore, sete e pellicce, e gl'inchini » i baciamani dei cavalieri, e il cumulo dei bagagli, che empivano il fondo d'un'imbarcazione. La gondola, dove avevano preso posto i Giuliani, con il loro giovine amico, distaccò dai gradini, mosse per il rio, seguita dalle gondole degli altri signori, che le fecero corteo, per i rii e canali; finché sboccarono nella laguna. Ancora uno scambio di saluti; e la gondola, e l'altra imbarcazione dei bagagli, diligevano per la laguna », verso la terraferma, verso Marghera. E dalla gondola, di sopra alla cupoletta nera del felze, si sporgeva il signorino Francesco, il fresco sporgeva il signor e liscio volto incorniciato dalla tesa rovesciata del piumato cappello, la cappa abbandonata sulle spalle, la persona snella chiusa nell'abito attillato; e con la mano inguantata alla moschettie ra, sventolava il fazzoletto. E di qua, da un'altra gondola, che s'era fermata, don Giuseppe rispondeva al saluto, agitando col braccio disteso il tricorno. E senza capire, senza riuscire a spiegarsi perchè, sentiva dentro come un'apprensione, una sottile indistinta ambascia. Portò la mano agli occhi. Che strano, quel senso, quella stretta al cuore. Dopo tutto, il distacco dalla figliola non sarebbe che di pochi giorni; e probabilmente, come lei aveva detto giusto, la raggiungerebbe (*) Le precedenti due puntate di questo racconto sono state pubblicate su La Stampa, do| menica, 27, e mercoledì, 30 Gennujo. e a a per via: quelli in carrozza, che va a tappe regolate; e lui a cavallo, che coprirebbe veloce le tappe. Ah, quella causa ossessionante, finirla, liberarsene. Ristette lungamente a contemplare; che la gondola, e l'imbarcazione che seguiva, erano oramai lontane, sempre più rimpicciolite, e quasi dileguavano, sul lucido specchio delle acque, verso quel grigiore fosco della terra, che disegnava un immenso arco laggiù, come la linea stessa dell'orizzonte, un pc' più rilevata e accentuata, e con un'opaca fumosità di vapori, che vi gravavano sopra. Quando il gondoliere, dopo avere atteso un bel pezzo, lo richiese con discrezione dove portarlo, don Giuseppe si riscosse, e diede stizzosamente l'indirizzo del suo avvocato. Brontolò, chinandosi per rientrare ad accomodarsi nel felze: — Sarà in istudio, speriamo. III. Quella sera, i nostri viaggiatori dormirono a San Dona di Piave. E via, nei giorni successivi, la carrozza li portava, attraverso la pianura veneta, dalla Piave alla Livenza, al Tagliamento; e risalendo lungo il corso di questo fiume, furono a San Daniele del Friuli; e s'addentrarono nelle prealpi, Gemona, Venzone; e il paesaggio intorno s'inaspriva di rupestri monti e di boschi selvaggi, irte cime e giogaje nevate, e scoscesi burroni, dove precipitavano sonanti e spumeggianti le acque. Poi, tra un più imponente, maestoso giganteggiare di montagne, la neve coprì tutto, dall'ime valli alle sovrane cime; e le acque fluivano appena mormorando, e come imbrigliate e affaticate, sotto la crosta e tra rive di ghiaccio, vitree; e il vento s'udiva in alto, per le creste e tra i boschi, mugghiare e fischiare. Risalendo la valle del Fella, Dogna, Pontebba, Malborghetto: e valicarono il passo di Tarvisio, con molte difficoltà di strada, di maltempo, di neve. E ridiscesero nella valle del Gai], entrando in Carinzìa; e traversando la Drava a Villacco, e contornato da settentrione il pittoresco laghetto di Wòrther, riposarono finalmente, un pajo di giorni, a Klagenfurt, prima di proseguire nella Stiria. Il signorino Francesco si godeva la novità e la spettacolosa varietà di quel viaggio, con il voglioso ardore dei suoi diciassett'anni; e nulla pareva che l'attraesse e lo compiacesse quanto l'andare, e gli stessi disagi e l'avventura e il pericolo. — Maschiaccio, — lo definiva la signora Giuliani, quando, al passo di Tarvisio, le ruote della carrozza affondando nella neve alta, e i cavalli, ansanti, madidi e fumanti di sudore, schiumando dalla bocca, non riuscivano più a smuovere il e il signorino Francesco saltava giù, E veicolo l abbrancava i raggi delle ruote, per ajutare a o sPingere, si slanciava alla testa de. cavalli, li a e a l , o a a , e afferrava al morso, schioccando la frusta, li inci tava e trascinava. — Maschiaccio. — E quando, una volta, si spezzò una ruota, e la carrozza fu per rovesciarsi, il signorino Francesco partì lui, solo, che già annottava, per andare a cercare ajuto, al prossimo paese, un carradore, che venisse a rimediare al guajo. E suo spasso era prendere il posto del cocchiere, guidare lui la pariglia. Che mano sicura, quel giovinetto, così esile, e quasi femmineo all'aspetto; e che occhio, e che prontezza, nelle svolto, per le discese. Ma questo soddisfaceva meno alla signora Giuliani e al cocchiere: quella lo trovava troppo ardito, il giovinetto, imprudente; e questi si lagnava che gli sfiancava i cavalli, col volerli sempre far correre. A Klagenfurt, quei due giorni di riposo, Francesca, ma diciamo, per la sua continuata e fortunata finzione, il signorino Francesco, venne abilmente riprendendo un discorso, sul cui ar- gomento era replicatamente tornato, durante il viaggio, accennandolo e prospettandolo in vario modo; però tendendo sempre a un'unica conclusione. Come d'accordo col padre, a malgrado di qualche opposizione, ben comprensibile, della madre, ella, no, egli aveva in animo di darsi alla carriera delle armi, diventare ufficiale. Perciò il padre aveva intrattenuto quella corrispondenza epistolare col dottor Haller, chirurgo maggiore all'Accademia militare di Wiener-Neustadt. — E lei deve proprio farmi questo favore, signor Giuliani: con le sue conoscenze, con le sue aderenze, con la sua altissima autorità... — Oh, non tanto che credete, amico mio: un modesto segretario d'ambasciata... — Mi lasci dire. Lei lo può, e sa che lo può: mi deve raccomandare al dottor Haller, prima, accompagnandomi lei a visitarlo, quando ci fermeremo a Neustadt; e poi deve raccomandarmi a Vienna, a chi lei ritenga più utile, perchè mi accettino all'Accademia, mi facilitino le pratiche, mi ajutino all'esame, insomma, mi facciano entrare all'Accademia. — In quanto a questo... L'ho detto a don Giuseppe: per ciò che posso, io mi metto a sua disposizione, e per la sua lite, e per quest'altra questione, che voi adesso mi prospettate. Interveniva la signora Giuliani: — E' strano che don Giuseppe, e nemmeno voi, Franz, non ci abbiate mai. parlato a Venezia di questo vostro progetto, che vedo vi sta cosi a cuore. — Probabilmente — rispondeva tranquillo il giovine — non s'è mai presentata l'occasione, cldccpmnusrvlpvavdpt*tdalsvsrsipcdi parlarne. Papà, poi, era sempre colla testa I pa quella sua benedetta causa... Ma no, signora: forse lei non ricorda, o non ci badò: la mattina, precisamente, che partivamo da Venezia, papà mi diceva... sì, lei era lì presente... E' vero, ricordo: il vostro signor padre, o rtcsvoi stesso, parlavate di Neustadt, del chirurgo ; Smaggiore dell'Accademia — Ecco. E bisogna che spieghi un piccolo precedente. Il giorno prima, quando per il loro così cortese invito, fu deciso che io verrei con loro, papà mi disse, — beninteso, fino a WienerNeustadt. — E io gli aveva objettato, che non mi pareva garbato distaccarmi da loro, così, a mezza strada... — Oh, per questo... — protestarono i Giuliani. — Anche, confesso, io avrei una gran voglia di vedere Vienna, spassarmela qualche giorno in quella capitale di cui ho sentito mirabilia... E papà, ancora quella mattina della partenza, insisteva, perchè io mi fermassi invece a Neustadt, andassi dal dottor Haller... dm— Già, già, avete ragione — confermò il Giù- ; liani: — ricordo perfettamente che vostro padre, proprio mentre vi congedava, insisteva che cer- ' caste di codesto dottore, si, si, a Neustadt. j Come sapeva snocciolare le bugie quella ra- gazza, con quella sua aria candida con quel ! tono convinto e convincente e rigirare i fatti come conveniva a lei, e approfittare degli equivo- ! ci, e risuscitare e illuminare a suo modo i ricordi I altrui, necessariamente piuttosto nebulosi e ap-1 prossimativi. C'entrava, in quella sua non pregevolissima abilità, ma pur indispensabile, in questo caso, per raggiungere il suo scopo, c'entrava, oltre il naturale ingegno, fantasioso insieme e perspicace, quel tanto d'arte di commediante, che aveva appresa, appena fanciulla, da mademoiselle, l'istitutrice francese, ex-attrice; e c'entrava, bisogna riconoscerlo, il tirocinio del convento, l'educazione delle monache, quel tanto d'infusa bacchettoneria, che prendeva forma nuova, vivacemente estrosa e creativa, dal-1 l'individuo e dalle circostanze. Sul tardi, quel giorno, il signorino Francesco senti il bisogno di sgranchire le gambe, di muoversi; e andò a passeggio sulla riva del lago; e si soffermò a contemplare, specchiati nelle acque calme, 11 cielo luminoso del tramonto, e le arrossate nuvole, che lente passavano. Poi si chinò, a rimirare se stesso, il suo volto, nello specchio limpido dell'acqua. Francesca? madamigella Francesca? Macché. Un giovinottino, un giovinotto bene in gamba, e che si sentiva straordinariamente ardito, e che concepiva con volontà inflessibile e foggiava pertinacemente il suo avvenire. Le gonne, che obbrobrio, che schifo: mai più, mai più. Sullo sfondo di quel cielo soave, riverso nel lago, e di quelle accese nuvole vaganti, si vide vestito dell'agognata divisa militare, allievo di Neustadt, alfiere, ufficiale... I sogni vagavano lontano, come le nuvole, splendevano all'infinito, come il cielo; mentre all'intorno turbinavano disordinati i voli ed echeggiavano i rauchi stridi dei gabbiani. L'architettata manovra e le ribadite dichiarazioni di colei ch'essi, i Giuliani, non conoscevano che per — il nobile giovinetto Francesco Scanagatta, — o confidenzialmente, l'amico Franz, portò che quando, il 15 febbrajo, ch'era un sabato, arrivarono, sulla sera, a WienerNeustadt, il segretario d'ambasciata decise che si sarebbero fermati almeno la mattinata seguente; e per ascoltare la Messa, giacchè era domenica, e per accontentare l'amico, e andare a cercare questo dottor Haller. Tanto, ripartendo nel primo pomeriggio, si sosterebbe la sera a Leobersdorf; e il giorno dopo, lunedi, partendo la mattina presto, si sarebbe a Vienna prima di notte; cioè senza perdite di tempo nè ritardi sul programma prestabilito. Francesca avrebbe abbracciato il bravo signor Giuliani. E fece sùbito chiamare il padrone dell'albergo, dov'erano scesi; e seppe che il chirurgo Haller abitava una casetta isolata, oltre la via detta — dei Mulini, — e di là del canale che alimentava quelli, appena fuori cfalla città, dalla parte orientale, già un po' in campagna; da quella parte stessa, dove, poco più in giù, si trovavano gli edifici della caserma militare e dell'Accademia. — ... Quello alto — descriveva l'oste, — col naso rosso, coi favoriti brizzolati, e che zoppica un tantino, per una ferita di guerra, come ho sentito dire; e quando si cava il cappello, la parrucca gli va di sghimbescio; e si vede che è calvo come una zucca. Il chirurgo maggiore dell'Accademia: non c'è che lui: dottor Haller, proprio. Vuole che lo faccia avvertire? Grazie, bastava l'indirizzo. Ma non ci voleva niente di meno dell'età sua verde, perchè Francesca quella notte riuscisse a dormire, col tumulto interno che l'agitava. Aveva la percezione che il domani sarebbe stato decisivo per lei. E se l'occhio del chirurgo, tanto più esperto e penetrante, avesse di primo acchi- to scoperto il suo segreto, riconosciuto il suo*,.,■„„„•> c> i. « ^ i j ■ j trucco? Segll semplicemente le ridesse ™-t™-da, — torna alle tue lezioni di musica e di ballo, ai tuoi ricami e ai rammendi, ragazza discola — ? Che smacco, davanti ai Giuliani, e per se stessa, il fallimento totale d'ogni elaborato e vagheggiato progetto, l'irrimediabile, senza possibili risorse, senza più speranza. Alto, il naso rosso, i favoriti grigi, la parrucca di sghimbescio, la ferita di guerra... Sognò, nell'incubo, che il chirurgo Haller aveva una gamba di legno, perchè mutilato di netto da una cannonata: e che quando, presentata dal Giuliani, lei gli com pariva davanti, quello sì mptteva a sghignazza- re; poi si toglieva la gamba, e pam, gliela sbatteva sulla testa. Si svegliò di soprassalto. Le campane suonavano la prima messa, dalla chiesa vicina. Cercò di riprender sonno; ma non le riuscì. Si levò a sedere sul letto; poi, saltò giù, abbrivi- dendo dal freddo. S'infilò le pianelle, si buttò un mantello sulle spalle, s'accostò alla finestra, e ripulì col palmo della mano i vetri appannati. Sottostante, s'apriva oscura quella piazzetta, dove s'erano fermati la sera avanti, arrivando, le case grigie sui quattro lati irregolari, con qualche finestra illuminata: gente mattiniera; che il giorno non spuntava ancora, di tra labruma incombente. La patria di Massimiliano I, Imperatore, che vi nacque nel 1459, non parevaostentare attrattive di sorta, in quella rigida esquallida mattina invernale; ma la ragazza avreb-be dato, senza riflettere, dieci anni di vita, per lacertezza che vi sarebbe rimasta, che quella sa- rebbe stata la città del suo soggiorno, per iprossimi mesi, per un pajo d'anni avvenire. Quel- la viuzza, là, di faccia, che s'insinuava tra le case, portava alla via dei Mulini: di là. lei sa- peva, tirando dritto, si attraversava il canale, si raggiungeva la casetta del dottor Haller, al li- mite dell'aperta campagna... Ansia, apprensione,! angoscia lancinante, come una febbre. E piegan- do invece a destra, si trovava l'Accademia, Im- Perial R<*ia Accademia Militare, quella fonda- ta dall'imperatrice Maria Teresa, nel 1752, e 1 dove circa quattrocento giovani, insigniti del grado di cadetto, s'istruivano nelle lettere, nelle1 matematiche, nelle lingue, nel codice militare, nella fortificazione da campagna, in ogni disciplina militare, si addestravano nelle esercitazioni particolari della fanteria, della cavalleria, dell'artiglieria, e si preparavano a diventare ufficiali... Spasmodico ardore, aspirazione anela, sogno inebriato: come una febbre. Mario Bassi (.Continua;