Idillio nella steppa di Riccardo Forte

Idillio nella steppa VIAGGIO IN ALGERIA Idillio nella steppa (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) LAGHOUAT, gennaio. Approfitto di una sosta a Laghouat, di ritorno dallo M'zab, per stendere su carta, prima che il ricordo se ne cancelli, le impressioni di questa indimenticabile corsa in corriera attraverso l'interno dell'Algeria. Il lettore troverà qui una visione fotografica del paese. Solo viaggiando nelle terre fiorite della Mitiggia, nella steppa, e poi giù attraverso il vero deserto per cui l'Algeria confina direttamente con la Tripolitania, si può avere un'idea della multiforme e complessa colonia che la Francia della Restaurazione lasciò — invidiabile retaggio — alla Repubblica. La colonia per eccellenza Quest'idea io pure me la sono formata, come tutti i viaggiatori. Vedo oggi l'Algeria come la colonia per eccellenza. I Francesi la chiamano la loro colonie-reine; in un certo senso la si potrebbe definire una colonia modello. E' quella che meglio d'ogni altra compendia gli aspetti più diversi della vita coloniale affricana; è la più completa delle colonie, per la quantità delle sue faccette, per la varietà feconda delle sue produzioni, perchè insomma riunisce senza disordine le forme dì vita che a ciascuna latitudine son proprie. Inferni di terra donde fuggono anche gli uccelli di preda, vastìsshne aiuole lussureggianti di ogni sorta di vegetazione, steppe che sembrali dar ragione ai pessimisti del 18S0 e dove pure un popolo indigeno numeroso vive la vita nei suoi termini più essenziali, facendo tesoro di tanti piccoli elementi, di qualche filo d'erba per il pascolo, di qualche rigagnolo d'acqua per la coltivazione di due o tre legumi, di qualche eolla di terra perchè, non si sa come, da un paio di secoli vi cresce un albero: stabilendo la propria economia sul falso pistacchio e sullo sparto covie altri popoli la stabiliscono sugli aranceti e sulla polpa di pomodoro. Ma poi l'Algeria è anche così interessante e attraente perchè qui solo la Francia ha dato la somma dei suoi sforzi, che in fondo avrebbero potuto essere mai/- mmvnaBacgdasRdglori ma che in tutti i modi non sono \trascurabili: poco importa che il paese vi si prestasse. Partito alle quattro del mattino da Algeri. Un addio, nella piazza del Governo, buia di fronte al mare, alla Grande Moschea che biancheggia nella Iure di potenti riflettori — oh l'adulazione della Francia ai costumi e alla religione degli Arabi! All'alba, siamo \ a Bufarik. E' una maìrie francese della ;»Scine-et-Oise, salvo gli Arabi, i sidi, come dicono spregiativamente lassù; ma il paese ha un interesse grandissimo perchè è il più grosso centro sorto in sessant'anni in tutta una landa sterile restituita alla vita e al lavoro, e può essere considerato quindi come la capitale della colonizzazione nella Mi¬ 'Uggia, Non vi è pregiudizio di colore Sporgendo il mio viso e alzando il naso fra i barracani lanuginosi e su- [dici dei niiei"iicin"ì "(in tutta l'Algeria j Arabi ed Europei occupano gli stessi posti sui treni, nei locali pubblici, perfino all'Opera d'Algeri; non è riconosciuta a nessun effetto l'esistenza della « questione di colore », e capita più volta di vedere un colonnello francese far la coda dietro a una folla di quei tali sidi; e capita pure, come in questo nostro viaggio, di vedere l'autobus rallentare, rallentare fin quasi a fermarsi sulla strada perchè gli Arabi, semine un po' sordi, di quei sordi che non 00glion sentire, non si scostano che all'ultimo momento, dignitosi, orgogliosi, come per far notare, con quella voluta lentezza, che i padroni della strada sono in fondo loro, perchè sono in fondo loro i padroni del paese) vedo i bassissimi filari di viti, che strisciano lungo la terra, rossi, e da qualche metro di distanza sembrati palle di cavoli, tanto le piante sono piccine e ravvolte su sé-stesse; e di tanto in tanto qualche casa colonica interrompe la monotona.serie dei viticci. Sorgono nel mio spi- rito le jigure dei primi coloni avventu-rosi del secolo passato, e poi quelledei coloni pazienti e metodici, i padndegli abitala attuali, che fecero far-tana su queste terre; e dopo aver pro-scingalo gli acquitrini e dissodato il terreno, quando la malaria non li aveva uccisi, dovevano lottare ancora con la pigrizia e la resistenza passiva degli Arabi, e insegnar loro quel lavoro di cui essi non sentono il bisogno, poiché vivono anche con un po' d'erba cotta. Oggi tutta la Mitiggia è un'immensa e rigogliosa fattoria. Le grandi cantine sono organizzate all'americana; mi si indica un deposito che raccoglie ogni anno il succo d'un migliaio di ettari di vigna, cioè bene o male centomila ettolitri di vino; qua e là lo sterminato vigneto è interrotto da stabilimenti in cui si fabbrica la pregiata marmellata algerina d'aranci, di cedri e di prugncApoi sono estensioni coltivate a grano, aorzo e ad avertale piccoli orti di piantearomatiche. Mi dicono che vi sono ne/ta sola Mitiggia più di cento grandi case di floricoltura industriale. Pian piano, la terra s'increspa. Sia- mo sulle pendici dell'Atlante; sono montagne basse, in gran parte coltivate. No, nulla di quel fascino che il nome esercita sull'immaginazione; è un appennino. A 50 chilometri dalla costa, Blida, la « piccola tosa » (Urlda, in arabo), città di 40.000 abitanti, di cui più di diecimila europei, fontane, giardini, verzieri, piante di mimosa e d'arancio. L'Atlante ed il predeserto Mordiamo in pieno l'Atlante. Su fino a 1250 metri sul mare, per intricate spirali: Medea, l'alpestre cittadina di Richcpiu. in un paesaggio svizzero. Rapida discesa sull'altro versante. Questo era l'Atlante! A 160 chilometri da Algeri la terra si fa già più arida. Ora ci si innalza, ma adagio adagio, nel cuore dell'altopiano stepposo nel « predeserto ». E' un paesaggio dalle linee vaghe, perdentisi all'infinito, di una grandiosità triste. La terra sembra terracotta, tanto è secca, nudalucida; e ai due lati dell'immensa pianura che s'eleva a poco a poco insensibilmente (solo la Spagna possiede l'equivalente di questo scenario maestosissimo) delle colline tagliate col coltello, appiattite col dorso della mano; proprio quelle che circondano Alcalà de Henarcs, la piccola città castigliana del cardinal Cisneros, a mezz'ora, di treno da Madrid. I pochi Europei che erano sull'autocarro sono scesi; alle fermate, sempre più rare, non salgono più- che indigeni, poveracci il cui turbante è un fazzolettame sporco avvolto intorno al capo, e il cui abito è tela di sacco. Il cielo è d'una lucentezza ossessionanteLa terra uguale, ferma, senza cosesenza nulla. Ma c'è dell'erba, sì, dell'erba bassa, dura e magra, disseminata in cespugli, in ciuffi che si succedono a perdita d'occhio. Non cade mai pioggia qui, non scorrono fiumi, non vi sono villaggi che a intervalli immensi. Sulla terra arrovellata undicmesi all'anno il calore e la luce, una luce d'nn'intensità pericolosa, producono i miraggi. Me n'avevano annunciato uno. proprio qui. dalle partid'Ain-Vssera; avevo dimenticato l'an nuncio, e solo pensavo a. imprimere fortemente nella mia mente questo spettacolo d'una selvaggia e sconfinata grandezza — Vcr vie forse il più grandioso fra gli spettacoli della natura — ac„m. si vede cj,i ,nmM/0 d(l quel lttgo 0 d„ auei marc quando ceco all'orizzonte, a destra, un miraggio, un autentico miraggio. Non c'è dubbio: c'è lì acqua, moltaMaro l'orlo della terrache forma un semicerchio disposto per storto, sì da farci apparire i due braccd'una piccola baia, intorno alla quale s'ergono delle collinette. Quando con gli occhi ebbri da questa sensazione nuova, stordito, felice, guardo la carta per fissare il punto della scopertaprovo una leggera delusione nel vedere „ stlldUn. u carta e a guar.dar lontano, lontano, quella fila circolare di monti, quell'insenatura, quel vache li appunto c'è un lago! C'è un grande sciott, che però, m'assicurano, è sempre secco; non v'ingannate, mi dice il conduttore, quello è proprio unmiraggio. Ma io resto poco persuaso e go azzurro di mare e di cielo che smaglia lo sfondo del fantastico paesaggiofinché l'irreale apparizione si dilegua dietro di noi. Decido di verificare aritorno se i monti, il porto, le nuvole e l'acqua sono ancora lì. (Difatti, aritorno troverò tutto allo stesso postotutto come prima: era dunque davvero uno sciott, e c'era proprio tant'acqna in questa regione desertica, e c'erano tanti colli in questa regione squadrata da un'implacabile pialla?). Una Uled Nail Sono </ià le nove e corriamo da cinque ore'. Il Sahara è ben lontano. Non arriveremo alle sue soglie che alle dudi domattina. La mia ipercloridria s'aggrava; debbo scendere in uno di queglstambugi ' fumighinosi nei quali glArabi si pigiano come sardine e dovposso sorbire un po' di latte di cui mc _. ;i .— V. i,nl\i ,,. -■ [sforzo di non sentire il sapoi e. Risalit\in vettura, trovo - o meiaxiglia. — a ìposto alla mia sinistra ^cupa^dauna \creatura di uno >£Wf££L'£*£ \*ore: una dannaesorta>«£#■""*» ™£ \da una pagina delle Mille e una noiMe Mi guarda con aria di malizia.come s {sapesse già che ti suo vicino dovevo essere io, che sono — perdinci.' — micancora troppo anziano; gira discreta mente verso di me la pupilla, ma seni pie fingendo di guardare avanti, nellsteppa. Non è velala, è la prima donna indigena non velata che vedo in AlgeriaIl suo abbigliamento è d'una inauditricchezza di colori, un groviglio sontuoso di trine e di merletti, su cui s'impenna un busto serrato, che fa spiccarun petto fermo; è alta, molto mora iviso, con un che di slanciato e di te»guido, che me la rende piacente, e unAmaestà tutta sua dovuta, forse, a queall'abbigliamento di fata e dall'aria ue'po' assente, conseguenza probabile de | Z'hasehisch. Ma quello che più ni'incu 1 riosisce è la triplice collana di luig \ d'oro e di monete auree italiane, belghe francesi, di ogni epoca, di ogni re, ch circonda il suo collo; le guardo a una una, tanto quel callo moretto e snello m'è vicino, quel collo che invita... E la birbona, quando le scosse dell'autobus camsulle pietre della steppa me la buttano] gnè più nè meno che sulle mie braccia | U(non lo fo di certo apposta; ma, curio so, i vicini non dicono nulla e non sorridono neppure) la briccona non fa resistenza nè mostra, Dio ne guardi, compiacenza alcuna, nè sorride neppur lei, nè si ritrae, nè provoca; non è imbarazzata, sa benissimo che l'autobus è galeotto, io mi sforzo di ritrarmi indietro, lei senza un gesto si lascia sballottatale dal veicolo con una silenziosa ed enigmatica docilità. Dietro a lei, c'è una donna orribile, dall'aspetto di megera, sdentata, il volto incartapecorito, solcato da rughe profondissime; anch'ella col collo cinto di monete d'oro e, come la figlia, silenziosa e grave. Mi volto verso un giovanotto mozabita, un olivastro dall'aria intelligente che con me viene da Algeri e va con me a Ghardaya, e a voce bassa, indi- qfrmsttedpdil risechmmchnrail de ando la mia bella vicina, gli sussurro: — E' una Uled Nail ? Lui sorride, forse non m'ha capitoma mi risponde per Ini la carta geografica. Siamo entrali nei monti deglUled Nail, dei figli di Nail. Le donne duesta tribù sono sparse in tutta l'Africa settentrionale francese. In quamodo le valorizzi la propaganda turitica, organizzata- di certo in modo noevole, e come il loro sedicente sacerozio venga circondato dagli Europei, er fini essenzialmente pubblicitari, 'un rispetto che fa ridere e che eccita l disgusto degli Arabi, assai meno ceimoniosi di noi con le Veneri del deerto, dirò in un altro articolo. Per ora hiudo gli appunti nella sleppa, fra le montagne basse, minuscole, tristi, in mezzo a cui vive questa strana razza he fornisce guerrieri /Serissimi e don- ne gravemente accoglienti, di qui iraggianti in tutta l'Affrica del nord per ristoro e spesso la rovina del Nomae, stanco e assetato. Riccardo Forte A 700 Km. da Algeri: uno spaccio di legumi, frutta e... in un'oasi M'zabita. mosche

Persone citate: Cisneros, Medea