Regalità romana e fasto spagnuolonelle nozze dell'Infanta Beatrice col Principe Torionia

Regalità romana e fasto spagnuolonelle nozze dell'Infanta Beatrice col Principe Torionia Regalità romana e fasto spagnuolonelle nozze dell'Infanta Beatrice col Principe Torionia Roma, 14 notte. La Chiesa del Gesù, dove ha avuto luogo stamani la celebrazione degli sponsali fra l'Infanta di Spagna Donna Beatrice di Borbone y Battemberg e il Principe di Ci vitella Cesi Don Alessan- dro Torionia dei Duchi di Poli, è di origine spagnuola. Fu il cardinale Alessandro Farnese ad edificarla nel 1568, in quello stesso luogo dove il grande Sant'Ignazio di Lojola aveva fondato la Compagnia di Gesù, dopo il vario errare nei diversi rioni di Roma. E ne fu architetto il Vignola, a cui seguì il Della Porta, che posero in questo modo sopra salde basi di travertino i canoni dell'architettura gesuita. Chiesa ricca di marmi preziosi, di argenti, di ori e di pietre dure e alle cui decorazioni hanno messo mano i più grandi artisti del periodo barocco, quasi per fermare una base degna a quel prestigioso affresco del Baciccia che, rompendo cgni regola architettonica, sembra veramente aprire un empireo agli uomini aspettanti. Chiesa d'origine spagnola, dunque, ma anche di tradizione torloniana, giacché si deve a Don Alessandro Torionia l'ultimo grande restauro, che vi fece fare nella prima metà del secolo scorso rivestendo le pareti della navata centrale con marmi policromi di gran pregio e sostituendo al primitivo pavimento di mattoni quello attuale di marmo, onde si vede un po' da per tutto lo stemma dei Torionia, affiancato a quello dei Colonna, perchè i Principi di Paliano non avevano sdegnato di dare in sposa la loro figlia al più ricco fra i signori di Roma. Mantiglie e pettini Per fortuna nostra, i paramenti furono pochi e sobri, sicché le belle pietre policrome non furono guaste dai tratti tessuti scoloriti: un gran luccichio di candele, una duplice siepe di rose bianche, e dietro, una grande folla di invitati. Erano questi venuti per la maggior parte dalla Spagna, con tutti i mezzi di trasporto che la civiltà moderna ha messo a disposizione degli uomini erranti, con i piroscafi con le automobili con le ferrovie, a gruppi e isolati; Grandi di Spagna tutti scintillanti di decorazioni, operai in semplice giacchetta « delle feste », dame di palazzo che avevano sul petto il nastro vermiglio sostenente la cifra regale, e semplici ancelle nei loro umili vestitini domenicali. Ma une ed altre, sfoggiavano tutte fieramente il pettine di tartaruga e la mantiglia, che è l'acconciatura femminile per eccellenza: pettini altissimi e preziosi, mantiglie di trine finissime e degne di figurare in un Museo, accanto a piccoli pettinini modesti che sollevavano appena un più modesto merletto di cotone, commoventi .".ella loro semplicità paesana. E che grande spirito di fratellanza fra tutti quei connazionali, che un'unica fede e un unico pensiero radunava in terra straniera! Ma, in fondo, era così straniera la terra che li ospitava ? A giudicare dai loro volti, dai loro modi, dalla maniera di muovers: di camminare e di gestire, si poteva credere che un improvviso pellegrinaggio lesionale avesse trasportato a Roma uomini e donne delle Puglie, della Calabria, del Molise, della Sicilia. E nemmeno l'accento del loro linguaggio differiva molto dal nostro, sicché, a poco a poco, spagnuoli e italiani finivano col comprendersi, i primi Italianizzando le loro frasi e cercando le parole che più si avvicinavano alle nosire, i secondi facendo lo stesso con le loto, di che una grande amicizia s'improvvisava fra i due gruppi degli invitati. •< Noi spagnoli siamo molto affini agli italiani », diceva una signora dai grandi occhi andalusi ad un ufficiale dei Granatieri che le spiegava il ceri-monile del corteo. Certo la frase non |,era in perfetto castigliano; ma la siEi.va si faceva capire e capiva la risposta, sicché concludeva poco dopo: Bc don i francesi è un'altra cosa ». ■ E poi Kr.raa, che è veramente caput et :i: di tutte le genti cristiane, conserva per gli spagnoli qualcosa di più materno, sia anche perchè in fondo, con la Spagna, non sono mai stati nè con•tiasti violenti nè occupazioni guerre E- he. Anche nel 1849, dopo essere sbarbicati a Fiumicino, gli spagnuoli ritorcala rono indietro contentandosi di quelPia maniì'estazione di principio e lasciando ad r't-'i un più spiacevole compito I! corteo recale Ben venuti, dunquj, tra noi, i tremila o.spiti che hanno voluto vedere la loro Infanta — che era stata sempre la prediletta del popolo — unirsi ad un giovane figlio di quella Italia che si presentava loro tutta ridente di sole — oggi la giornata era veramente gif , rioaa — e tutta rinnovata di gioventi E Ben venuti, dunque, e bene accolti, « giacché l'ordine è stato perfetto e quel" ti folta moltitudine di gentiluomini, di nvtsdnucuvssq grandi dame, di professionisti e di operai venuti da noi con passaporti rudimentali, con una selezione necessariamente superficiale, ha potuto circolare liberamente, affollarsi nelle navate della chiesa, mischiarsi senza distinzio- ne di grado o di casta, di titoli o di vestiario, con quella semplicità che è tutta latina e tutta cristiana, quella semplicità popolana — non voglio dire democratica, perchè i veri democratici non sono nè semplici nè fraterni con gli umili — la quale fa si che il più umile contadino sa essere, quando occorra, un grande signore, conscio dei suoi doveri e orgoglioso della sua origine. Bisogna dire che le autorità di pubblica sicurezza sono state preveggenti e che il servizio d'ordine per quanto durissimo e fastidioso, è stato da loro ordinato senza che la folla se ne accorgesse, con una cortesia e una gentilezza alla quale — io ne sono certo — molti di quegli ospiti non erano abituati. E si trattava di una folla di migliaia di persone chiuse in un tempio che non era dei più grandi di Roma, che aveva solo tre uscite centrali e senza nessuna di quelle porte secondarie che sono la provvidenza delle nostre Chiese. E le porte, per evitare che la funzione fosse disturbata, furono chiuse appena gli sposi e il loro corteo, entrati dalla sacrestia, ebbero raggiunto attraverso le cappelle del lato sinistro, la grande por ta centrale da dove quel parterre de Princes si avviò maestosamente verso i seggi preparati nel transetto di fronte all'aitar maggiore. E la processione regale si svolse in quest'ordine: primi di tutti, ad aprire il corteo, il Visconte de l'Armeria, maggiordomo della Casa Reale di Spagna, con ai lati il Principe Pio di Savoia, nominato per l'occasione Capo della Casa di S. M. il Re Alfonso XIII, e il Conte de los Andes, Grande di Spagna di servizio. Poi venne il Re, che dava il braccio alla figlia Donna Beatrice; e subito dopo di lui, Dorma Elsie Torionia — bellissima nel suo vestiario cinereo — che conduceva all'altare il figlio Don Alessandro. Seguono gli altri Principi, che accompagnano gli sposi al transetto, dove il Re abbandona la figlia' che ritroverà sposa, e va a sedersi a destra, accanto alle Loro Maestà il Re e la Regina d'Italia, che avevano già preso il loro posto insieme con tutti i Principi di sangue reale. E questi sono: le LL. AA. RR. il Principe e la Principessa di Piemonte, il Duca di Spoleto, il Duca di Genova, i Duchi di Pistoia, il Duca di Bergamo, la Principessa Bona, la Principessa Maria Adelaide, l'Infante Don Carlos, l'Infanta Donna Luisa, Don Alfonso di Borbone, il Principe Don Carlos, la Principessa Donna Dolores, la Principessa Donna Esperanza, la Principessa Donna Maria, il Principe Don Gabriel de Borbon, l'Infante Don Fernando di Baviera, l'Infanta Donna Maria Luisa, l'Infante Don Luigi di Baviera, l'Infanta Donna Mercedes, il Principe Adalberto di Baviera e la Principessa di Baviera, il Principe Jorge di Baviera, la Principessa Pilar di Baviera, il Principe Federico Hohenlohe e la sua consorte, il Principe e la Principessa di Borbone-Caserta ed il eBdtpcCMmmsMm Principe e la Principessa Filippo di Borbone, la Principessa Beatrice Massimo, il Principe e la Principessa di Orléans Braganza con i loro figli Pietro, Gastone, Teresa e Francesca; il Principe e la Principessa Cristoforo di Gre- eia, la Principessa Caterina di Russia, il Principe e la Principessa Saverio di Borbone. Nella navata centrale, ai due lati dello spazio lasciato libero per il corteo regale, è l'aristocrazia romana, che per la maggior parte è imparentata con la Casa Torionia, dai Colonna ai Chigi, dai Borghese agli Orsini, dai Marignoli ai Bourbon del Monte; e molti rappresentanti del Corpo diplomatico, invitati come semplici privati, all'infuori dei loro titoli ufficiali. Intanto il Cardinale Segura, arcivescovo di Toledo e Primate di Spagna, rivestiti gli abiti pontificali, benedice gli anelli; dopo di che incomincia la Messa celebrata dal Padre Giovanni Pastias, cappellano della Famiglia Reale di Spagna, mentre dall'alto del coro la musica diretta dal maestro Armando Antonelli, con all'organo il maestro Ferruccio Vignanelli, eseguisce l'Ave Maria del Vittoria, il Cantate Dominum del Perosi, un Larghetta del Vivaldi, ed alla fine della cerimonia l'Estate fortes del Marenzio e il trionfale Alleluia dell'Haendel. Con belle parole, in un discorso denso di dottrina e alato di poesia il Cardinale Segura ha poi salutato gli sposi e ha ricordato loro i più grandi doveri cui per il rango sociale erano tenuti maggiormente ad osservare; dopo di che la grande porta centrale si è spalancata e un gran fascio luminoso ha inondato la chiesa. Ed è in quel fulgore del più bel sole di Roma, che gli sposi si sono avviati verso la loro nuova esistenza fra i voti commossi del presenti, spagnuoli e italiani, uniti tutti in un unico sentimento augurale: quei due sposi che rappresentano le due più alte cose della vita: la gioventù e la bellezza. Diego Angeli GLI SPOSI ESCONO DALLA CHIESA DOPO IL RITO NUZIALE I PRINCIPI Dl PIEMONTE ALLA CERIMONIA (PER FILO ALLA STAZIONE TELE FOTOGRAFICA DE LA STAMPA)