I Capuleti e i Montecchi

I Capuleti e i MontecchiIL REGIO SI RIAPRE CON LA CELEBRAZIONE BELLINIANA I Capuleti e i Montecchi Senza virtuosismi oratorii,prazealvoDio, ma con bella musica belliniana, e I clacon uno spettacolo improntato di scm-ito plice volcnterosità, e stata iersera inau- ! tugurata la stagione del Regio e insieme j mcelebrata la ricorrenza del primo cen-: cotenario della morte di Bellini. In omag-1ragio alla prescrizione del Comitato pre-1 L'sieduto da S. E. Starace, / Caputeti e;tej Montecchi ricordavano ai torinesi il j allgrande artista e una delle tappe più tuimportanti del suo divenire. toAvendo già accennato alle più belle:nepagine di quest'opera e al pregio della le,sua drammatica e stilistica unità, con-1 rileluderemo con qualche considerazione sulle caratteristiche di essa, in rela-;cilzione alle opere contemporanee. I buLa rappresentazione dei Caputeti, desegui quella del Guglielmo Teli di otto j nemesi. Questa contemporaneità precisa |sèla posizione storica dì Bellini e del suo,uomaggior contemporaneo. Benché so- • covenie si trascuri, nel riassumere le ca-| rattenstiche rossiniane, 1 osservazione ; [•edelle sue opere serie, della loro am-i piezza melodica, della loro complessi-! tà strumentale, sinfonica, anche del ri- i frlievo dei caratteri e dell'ambiente, eie- abmenti sempre più forti e culminanti dunell'ultima fatica, infine della loro | leini! st; tusi|e neacrerecogl'pcomposizione. niuno saprebbe riscon-i trare nei Caputeti tracce di una influenza formale e stilistica di colui che j allora rinunciava al lavoro su quegli | che era soltanto alla vigilia della gloria. Bellini che, giovanissimo aveva quasi disperato di sè e dell'avvenire, nell'ammirazione della Semiramide,] mora, a ventotto anni, presentava definiti la sua fisionomia d'operista, il suo stile, diremmo anche la sua statura. Le opere successive ai Caputeti recarono una maggior quantità di bellezze, di forza, di esperienze. Le tendenze, gli accenti, le capacità eran già precise nel 1830, nè egli ebbe poi il tempo di irrobustirsi assai, di autocriticarsi, di eliminare discontinuità e convenzionalismi. Al moto romantico, come palpito caratteristico del suo tempo, come espressione psicologica, Bellini aveva adeguato il tono e il moto d'ogni sua arte, ne aveva già animato i maggiori personaggi. Sempre più ne sostanziò i suoi canti e le sue concezioni, distinguendosi attraverso l'originalità del sentimento sia da Donizetti, sìa dai minori romantici italiani del primo Ottocento, enfatici più che intimi, sia dagli operisti tedeschi e francesi. Immersa nel romanticismo, la lirica belliniana. ne emergeva con la virtù delle alte immagini, dei grandi superamenti, delle sublimi catarsi, non rinunciò mai alla sua fonte, il cuore dell'uomo. La tensione della psicologia, la ricerca dell'umano, eliminarono l'artificiosa complessità operistica, semplificarono le linee e Ja stesura della composizione, annobilirono la melodia, che via via ripudiava gli schemi più usati, e le ampollosità alla moda. Nel confronto col Pirata, un drammone quasi meyerberiano, con La Straniera, episodica e disuguale, / Caputeti erano il primo saggio di sintesi dinamica, di puro romanticismo, di correttezza, di eleganza. Avrebbero potuto anche costituire il primo tentativo di un'opera drammatica svincolata dai convenzionalismi melodrammatici italiani. La forzata dipendenza dal librettista e lo stato del teatro, del pubblico, della cultura, non consentivano un tale evento. Eminentemente drammatico più che lirico, il Bellini dei Caputeti non aveva ancora trovato quelle melodie della Sonnambula, della Norma, dei Puritani, in cui risuona la più miracolosa ingenuità fantastica, in cui i periodi e le strofe sembrano cominciare, progredire, spegnersi col ritmo dell'anima. Il sentimento romantico, sempre più intenso, determinò anche una migliore eloquenza degli ìstrumenti, ne distinse l'uso, la loro nobile servitù; romanti- ziclaaeLl'l'mcpudfmcfettpaeerntcLslpldavelir,cismo strumentale, che nulla sapeva di > weberiano, nè di berlioziano, ed era colorito e determinato quanto e come occorreva. Al tempo dei Caputeti la scrittura belliniana era già divenuta varia, pronta alle occasioni. Non più ripetizioni di formule ritmiche, accordali, modali, quasi parole e modi di dire ricorrenti nella penna dell'inesperto un limitato vocabolario, non più dise gnl quasi pianistici, ma, a volta a voi ai ta, e appropriatamente la ondulazione carezzante delle sestine (già frequenti | ln Rossini), delle terzine, le armonieipiene e semplici, serrate o radi, con- vulse o mollemente arpeggiate, le hgu- razioni varie. La tensione dell'anima romantica si rifletteva nel recitativo come nella romanza, nell'arioso come nella cavatina, e le cabalette eran soltanto moti più concitati dell'espressione. Senza lentezze, tutto tendeva alla densità, alla concitazione. Romantico, non travolgente, nè mai sregolato, Bellini aveva trovato l'equilibrio in sè stesso. E l'ardore, la «passione» (una didascalia a lui cara) non devastavano la bellezza, ma dal cuore andavano al cuori con quella compostezza che, per oerdir perfetta, si suo] denominare i assica. Lontano dall'accademia quan- della convulsione, era giovanile, mauro. Interpretazione della vita come ancanza o difficoltà di felicità. Malinonia non tristezza, dolore non esaspeazione. La ragionevolezza imperava., ineluttabile non sconvolgeva la men-j , induceva alla rassegnazione, non l'esaurimento nella disperazione. E utto ciò con molta umanità, con molo cuore, senza astrazioni. Popolare, el senso di umano universale. Cordia, non pietoso, nè lagrimoso. Anzi vilmente fermo, anche animoso e baldo, E. assai bello ammirare come il grale chè egli non tu atleticamente rousto, tendesse tutti i muscoli, al pari ello spirjto, nella lotta con la materia, elrimpeto creatìVo, nella coscienza di è| nen'amore dell'arte. Il piccolo esile omo ci appare un dio, per le grandi ose compiUte Infi ua,cne consid0razione sulesecuz|one Il maestro Ghione, valoroso e stimato ra i buoni direttori, concertò con la bilità che gli è propria, rese concorde, uttile, pronto il contributo orchestrae. collegò con giuste proporzioni to-,iche le voci corali e solistiche e quelle trumentali. Crediamo pertanto che utta a partitura dei Caputeti, dalla infonia ala chiusa, sia da intendere da eseguire con maggior concitano- e romantica, con maggior virilità di ccenti. Certe formule melodiche, ar-d'accompagnamento, appa entemente lievi nella soverchia scorevolezza e comuni ai compositori ontemporanei, possono trarre in inganno. Occorre ricordare lo stato delespressione tragica e comica al tempo di Rossini e i tentativi di differen- moniche 1_ iazione. Operando esclusivamente nelampo tragico, Bellini riesci un po' a!-a volta ad abbandonare l'eloquenzaambigua e a formarsi un suo discorsominentemente proprio e appropriato,Le intenzioni devono dunque guidare'interpretazione di certi passi che, al-'apparenza, quasi futili, recano certa-mente ben altra significazione. E l'ac-cento del fraseggio e il peso sonoropossono mutare, si sa, l'espressione diun passo. L'uso sempre più frequente,dali' Adelson ai Caputeti, di episodii af-fidati agli istrumenti più cari ai ro-mantici, perchè malinconici, oscuri, ilcorno, il clarinetto, il violoncello, con-ferma nei Caputeti la tendenza allaespressione patetica. Ma questo paté-tico non è languido. Tutta l'opera, no-tammo, è serrata. E se ne vorrebbe unapiù concitata e virile espressione. Anche nella concertazione vocale,accettandone per necessità di cose glielementi, il maestro Ghione ottenneeffetti concordi. Va innanzi tuttoriconosciuto che i recitativi, sì bellinella melodiosa energia, furono da tut-ti i solisti scanditi ottimamente, conchiara dizione, con giuste inflessioniLa signora Anna Masetti Bassi mise aservigio della parte di Romeo, che vuo-le una potente vocalità — il mezzo so-prano, nelle opere di quel tempo e nel-le parti maschili, faceva quasi le vecidel baritono, un registro, questo, nonancora molto diffuso - la sua Plccolavoce, certo impari al grande compitoe la tese fino alle ultime possibilità, ma con garbo, con impegno, con intelligenza di ogni momento. La signora Adelaide Saraceni, che ha già datobelle prove nel repertorio drammaticoQff!„ooQ,Ì,„„to io hall» tra sostenne efficacemente la bella e gagliarda parte di Giulietta. Ma un appunto. e accoratisaimo, non sappiamotacere e a lei, e anche al maestro concertatore: quello d'aver falsato qualchepasso nella grande romanza « Oh quan te volte >•, preceduta dal possente reci tativo <: Eccomi in lieta vesta ». Fra lievi tocchi dell'arpa, non dovrebbe elevarsi assai dolce la voce, sulle parol« dove inviarti i miei sospiri ? ». E qul'acciaccatura non dev'essere cangiata m un ampio gruppetto, poiché l'acciaccatura è un elemento tipico dellae un~vocalizzo disinteressato frettoloso, ma una vera e propria can«lena, morbidamente e pateticamentmodulata, una proiezione melismaticvocalità belliniana, derivato dalla vocalila meridionale, non un vezzo vocale ma un mezzo delicatissimo dell'espressione patetica. Alla fine della romanza, poi, c'è una fioritura, uno depiù soavi saggi della liricità bellinianae non del sentimento. Bellini non la vuol misurata a tempo, ma librata «a piacere ». E il piacere non può derivar che dalla espressione: nostalgia e desi dei-io. Perche dunque farne uno svolaz zQ ,.apido e rude ? E perchè tradire ancora la lettera e lo spirito, lanciandun acuto, là dove Bellini ha prescrittun intervallo discendente, un flebile accento, che mollemente cade sul piano staccato della lieve conclusione strumentale? In queste delicatezze sta unbuona parte della bellezza di Bellini. ronoiiin 11 Vikj-jo nuilio TorneCome Capelho, il basso Giulio Tornefece assai bene, vigoroso e sobrio nella voce, signorile nell espressione e negesto. Il tenore Renzo Pignì, Tebaldoera evidentemente impreparato. Vit torio Baldo sostenne decorosamente la parte di Lorenzo. Senza accorgercene, abbiamo scritto a lungo dell'esecuzione vocale. L'occasione era buona. Le questioni stilistiche belliniane hanno per loro centro l'espressione e la vocalità. Il successo fu modesto. Qualche ap¬ plauso ai più bei pezzi, qualche chiamata al maestro Ghione e ai principali cantanti, alla fine di ciascun quadro.a. d. c.